VI Cappella – Orazione di Cristo nell’orto di Getsemani
Proseguendo lungo il viale si raggiunge la sesta cappella caratterizzata da un impianto ottagonale irregolare e preceduta da un semplice pronao sotto al quale passa la strada che conduce verso il Santuario e la sommità del Sacro Monte. Il prospetto principale è scandito da due lesene con basi e capitelli in serizzo che fungono da sostegno del pronao e presenta al centro una finestra con cornice in pietra dalla quale si può osservare la scena dell’Orazione nell’orto rappresentata all’interno. Le restanti pareti esterne sono completamente lisce.
Sotto la finestra vi è una piccola porticina quadrangolare che costituisce l’unico ingresso.
La cappella fu commissionata dai fratelli Antonio e Domenico Brentano Moretto di Azzano, che ottennero il permesso di inserire sopra la finestra lo stemma familiare in pietra che raffigura un’aquila, nella parte superiore, e, in quella inferiore una brenta – attrezzo utilizzato per il trasporto e la misura di liquidi, olio e vino, da cui deriverebbe il nome Brentano – affiancato da un leone e da un serpente
Come sancito dalle più severe prescrizioni araldiche della seconda metà del Seicento, nella rappresentazione dello stemma familiare non viene concessa alcuna libertà espressiva o la licenza poetica di inserirlo in un contesto decorativo più articolato.
I riferimenti per la data di costruzione sono ricavati dalla ricevuta del pittore Innocenzo Torriani, autore dei dipinti murali, che risale al mese di giugno del 1680. Dal documento si evince che a quella data probabilmente non erano ancora state collocate le statue.
L’orazione di Cristo nell’orto di Getsemani
All’interno la cappella mostra un articolato progetto figurativo fondato su un numero limitato di sculture, anch’esse opera della bottega di Agostino Silva coadiuvato in questa cappella dalla sua bottega e dal figlio Giovan Francesco.
Al centro dell’edificio, su uno spazio rialzato, si scorge Gesù inginocchiato, con le mani giunte e a piedi scalzi, assorto in preghiera. Di fronte a Cristo, addossato alla parete, si staglia un angelo su una nuvola appena accennata, che con la mano sinistra regge una grande croce in legno e con la destra stringe il calice della Passione.
A terra, sopraffatti dal sonno, si distinguono i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che hanno accompagnato Gesù e che avrebbero dovuto vegliare la notte e sostenerlo con la preghiera. Il primo è seduto, appoggiato alla parete, con il capo abbandonato tra le braccia. Poco distante il giovane e imberbe Giovanni che appoggia un gomito ad una roccia, mentre il fratello Giacomo è sdraiato su un fianco, con il capo su un masso.
L’umanizzazione e la caratterizzazione dei personaggi, sebbene costretta a contenersi per il limitato numero di opere scultoree, è ben rappresentata da quest’ultima opera. Agostino Silva, infatti, dipinge Giacomo senza un sandalo, probabilmente perduto a causa della sua stanchezza e spossatezza.
L’apparato decorativo parietale ad affresco rappresenta i sommi sacerdoti, Giuda, vestito di rosso e parte del popolo che vanno ad arrestare Gesù, preludio del suo tradimento. Nella parte destra degli affreschi una scena più piccola raffigura un momento successivo alla cattura e rappresenta il drappello degli armigeri che conduce Gesù al giudizio.
Particolare interessante negli affreschi è l’armatura di uno dei soldati chiaramente ispirata a modelli seicenteschi.
Gli affreschi presentano delle anomalie, rispetto alle altre cappelle: non fungono solo da elemento decorativo della statuaria, ma diventano gli unici protagonisti di una specifica scena.
Gli affreschi furono realizzati entro il 1680 dal pittore Francesco Innocenzo Torriani, celebre artista ticinese testimone della pittura seicentesca.
L’opera del Sacro Monte di Ossuccio, benché semplice e dimensionalmente contenuta, mostra la sua personale maniera di reinterpretare l’arte seicentesca di matrice emiliana. La qualità artistica documentata anche in questa cappella è infatti debitrice alla pittura bolognese sebbene non manchino alcuni cenni contenuti alla cultura figurativa romana, determinata dal soggiorno del padre Francesco a Roma documentato intorno al 1639, e genovese, anche a causa dei forti rapporti economici e culturali esistenti tra le valli comasche e il mendrisiotto, e Genova.
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno 2017 [cm]