cancelliere delegato del censo 1757 - 1796
Gli orientamenti da seguire nella riforma delle amministrazioni locali, preliminare all’esecuzione del sistema censuario, già chiari al Neri quando nel 1749 giunse alla presidenza della rinata giunta del censimento, si rafforzarono ulteriormente nel 1750 in seguito a un incontro che il Neri stesso ebbe con i cancellieri di tutte le comunità dello stato convocati a Milano. Alcuni di essi non furono trovati “capaci per mera imperizia” per il ruolo che si prospettava loro, altri “benché fussero periti”, furono trovati “incapaci per essere fattori, o agenti, o addetti al servizio di qualche più potente possessore del comune”, dai quali erano stati creati cancellieri. Quasi due terzi non risiedevano in loco poiché venivano eletti “a piacere” dai principali estimati, i quali gratificavano con il titolo di cancelliere, e con la retribuzione che vi era annessa,”i loro ragionati, o agenti, o altri serventi e stipendiati della loro casa”, lasciandoli risiedere in Milano o nelle altre città (Capra, Sella 1984).
Scelti i più abili e onesti il Neri cominciò a delegare loro sistematicamente tutte le operazioni relative al censo, non solo nella comunità cui erano originariamente addetti ma anche nei rispettivi circondari, di modo che ve ne fosse all’incirca uno per ciascuna pieve.
Venne così istituita la figura del cancelliere delegato dalla giunta, denominato più frequentemente cancelliere del censo, che introdotto in modo informale e occasionale, senza fissa remunerazione, divenne in seguito uno dei cardini della riforma amministrativa teresiana.
La sua introduzione suscitò inevitabilmente malumori e proteste generali. La congregazione dello stato, prima fra tutti, sostenne infatti che tali funzionari ferivano “sostanzialmente la massima e l’inveterata consuetudine del paese” secondo cui le leggi, che davano “a’ principi la facoltà d’imporre i tributi nelle circostanze da esse prescritte”, lasciavano “a’ sudditi il diritto di farne il ripartimento, come cosa spettante alla pubblica amministrazione”. A tal fine le comunità avevano i propri cancellieri “di piena loro confidenza da esse deputati alla custodia de’ catastri e all’effetto delle intestazioni”. Con l’introduzione di cancellieri eletti dalla real giunta, sarebbero stati presto sovvertiti “l’accennata massima fondata nelle leggi, e canonizzata dall’immemorabile osservanza” (Capra, Sella 1984).
Alle rimostranze il Neri rispose ottenendo, nel luglio 1753, la promulgazione di un editto in cui si ordinava a tutte le comunità dello stato di non riconoscere altro cancelliere se non quello nominato dalla giunta. Tuttavia i reclami e le proteste continuarono sino a quando il 3 marzo 1755 Maria Teresa respinse definitivamente gli argomenti sostenuti dalla congregazione dello stato e ufficializzò con la “riforma al governo e amministrazione delle comunità dello stato di Milano” l’istituzione del cancelliere del censo.
Nominato per la prima volta dalla giunta del censimento e in seguito dall’assemblea dei deputati dell’estimo delle comunità che componevano la delegazione, il cancelliere del censo doveva essere o dottore o notaio collegiato o ingegnere collegiato o ancora pubblico agrimensore, non poteva essere affittuario o agente di nessun possessore sottoposto al suo distretto e veniva remunerato direttamente dalle comunità a lui sottoposte, proporzionalmente a quanto prima le medesime pagavano il cancelliere comunale.
Come rappresentante del potere centrale di fronte alle comunità e come esecutore degli ordini del tribunale censuario il cancelliere delegato era investito di numerosi compiti: a lui spettava presiedere e sciogliere i convocati, custodire le mappe e i registri catastali di ogni comunità, ricevere e trasmettere al potere centrale le eventuali denunce prodotte dalle comunità a lui sottoposte, controllare la regolarità delle elezioni dei deputati e dei bilanci annuali, segnalare al potere centrale gli eventuali abusi, provvedere all’amministrazione delle comunità che, data la loro esigua dimensione, non erano dotate di convocato e deputazione.
In ogni delegazione, termine che poteva essere sinonimo di pieve o indicare il distretto di un cancelliere (ma assai spesso le due cose coincidevano), il cancelliere era tenuto a scegliere la sede, da lui ritenuta più idonea, per la collocazione dell’archivio e dei suoi uffici (Capra, Sella 1984).
L’aggregazione dello stato mantovano alla Lombardia austriaca fornì l’occasione per intraprendere una profonda riorganizzazione delle cancellerie del censo: con l’editto governativo 18 marzo 1785, emanato in attuazione del regio dispaccio 5 novembre 1784 (dispaccio 5 novembre 1784 a), il numero delle delegazioni venne ridotto a ottantadue (compreso il mantovano) e fu delineato il nuovo compartimento territoriale, poi ritoccato secondo quanto previsto nel regio editto 26 settembre 1786 (editto 18 marzo 1785 b). Nel contempo i salari dei cancellieri vennero aumentati e trasferiti a carico delle casse provinciali, e non più, come in precedenza, a carico delle singole comunità (editto 26 settembre 1786 c).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/100031/