monastero di Santa Maria di Monte Oliveto 1142 - sec. XVIII
Monastero cistercense maschile.
La sua fondazione risale al 1142, con la donazione da parte di Atto "Peregrinus" di Isola al monaco Enrico di Morimondo, messo dell'abate Pietro, di un terreno sito nel territorio di Lenno, in località Roncale, per l'edificazione di un monastero "in honorem beate Marie et Petri et Agrippini", assieme ai beni da lui posseduti nel vicino manso di "Premesegum" (Monneret de Villard 1914, pp. 226-227). La nascita del cenobio avvenne "in una fase di vivace espansione" dell'abbazia di Morimondo, al tempo dell'abate Pietro (attestato tra il 1139 e il 1156) (Grillo 2001, pp. 135-137).
Nel 1143 il cenobio con un'importante operazione di compravendita otteneva terre, vigne, case, un mulino e una folla nei pressi del monastero, in località Roncale, assicurandosi così beni e infrastrutture necessarie all'autosufficienza alimentare. Altri acquisti negli anni successivi portarono alla costituzione nelle vicinanze del monastero di un patrimonio fondiario forse non estesissimo, ma intensamente sfruttato (Grillo 2001, p. 144).
Nel 1150 il fondatore Atto "Peregrinus" donava all'abbazia, oltre a una casa sull'Isola Comacina, beni a Delebio in Valtellina, i quali furono "il nucleo della prima e più importante grangia dell'Acquafredda" (Grillo 2001, p. 139, 146). Nel XIV secolo la grangia delebiese comprendeva una chiesa dedicata a Sant'Agrippino, su cui l'abate esercitava la propria giurisdizione ecclesiastica così come probabilmente su una seconda chiesa, Santa Domenica, anch'essa proprietà dell'abbazia cistercense (Baroncini 1994-1995, pp. 141-143).
Il 6 marzo 1159 il monastero, che è detto trovarsi in pieve di Lenno, ottenne la protezione imperiale da Federico I (MGH, Friderici I diplomata 1158-1167, pp. 68-69, n. 262).
Il 3 febbraio 1173 papa Alessandro III accordò con privilegio solenne la protezione apostolica al monastero con i suoi possedimenti in pieve di Lenno, in pieve di Isola, in pieve di "Adolonio" (Olonio) e "in Mantello", e lo stesso giorno proibì al Comune di Como di attentare alle sue esenzioni (Papsturkunden in Italien, III, pp. 328-330). Il medesimo pontefice proibì ai canonici di Como e a quelli di Lenno e Isola di richiedere decime ai monaci (Papsturkunden in Italien, III, pp. 330-331), come pure fece il suo successore Urbano III il 20 febbraio 1187, con privilegio che menzionava, oltre ai precedenti, i possedimenti del cenobio in Bulgarograsso e in pieve di Appiano (Papsturkunden in Italien, III, pp. 335-336).
Enrico VI nel 1195 confermò la protezione imperiale sul monastero con un privilegio nel quale sono nominati i beni siti in terrritiorio di Lenno, Isola, Valtellina e Bulgarograsso, e la decima "de Ceremari" (Historiae Patriae Monumenta, XVI/2, coll. 382-383). Altri privilegi imperiali sarebbero giunti al monastero da parte di Ottone IV nel 1212 e di Enrico VII nel 1313 (Kehr 1913, VI/1, p. 411).
Con atto del 18 agosto 1204 l'abate dell'Acquafredda, "dominus loci", accordò agli abitanti di Delebio e Rogolo la possibilità di riunirsi in una "comunantia" con il patto che tenessero pulito l'alveo del torrente Lésina (Cecini 1961 a, pp. 70-73).
Il numero dei monaci presenti ai capitoli del monastero tra 1200 e 1255 oscilla tra un minimo di sette e un massimo di quattrodici (Grillo 2001, p. 160). Tra 1215 e 1253 il numero dei conversi fu pressoché uguale a quello dei monaci (Grillo, 2001, p. 169).
Il 14 novembre 1283 gli abitanti di Bulgarograsso riconobbero all'abate cistercense dell'Acquafredda la signoria del luogo, conferendogli il diritto di nominare podestà, rettori e consoli, nonché il cappellano della chiesa di Sant'Agata (Historiae Patriae, XVI/2, coll. 460-463).
Nel 1292 l'abate di Morimondo, in visita all'abbazia figlia dell'Acquafredda, dava alcuni decreti di riforma necessari al monastero (Historiae Patriae, XVI/2, coll. 464-465).
In occasione della decima papale del 1295-1298 il monastero, compreso nella pieve di Lenno, versò alla curia papale complessivamente 94 libbre imperiali (Perelli Cippo 1976, pp. 110 e 153).
Il monastero vide confermati i propri privilegi da una lettera graziosa di Bonifacio VIII del 18 gennaio 1296 (Bonomi, Acquafredda 1258-1300, cc. 792-793)
Da un atto notarile rogato a Delebio il 20 luglio 1405 si apprende che a quella data i monaci, trasferitisi da Lenno per sfuggire alla guerra, erano almeno sei: quattro professi e due conversi. Era appena morto l'abate (Carugo 2003, p. 58).
Nel 1424, ma da antica data (forse dal XIII secolo), l'abate dell'Acquafredda confermava l'elezione dell'abbadessa del monastero di Santa Maria di Varenna, aggregato all'ordine cistercense (Spinelli 1983, p. 32).
Nel 1430, per tramite dell'abate di Chiaravalle Andrea Meraviglia, papa Martino V unì all'abbazia il monastero di San Benedetto in Val Perlana (Tagliabue 1992, pp. 78-83, 91 n), che era proprietà del monastero cistercense ancora nella seconda metà del XVIII secolo (Vaccani 1988, pp. 379-383).
In un atto notarile dell'11 luglio 1450 tutto il capitolo era rappresentato dal solo abate Antonio "de Isolanis" (Atti Giovanni Zobio 1444-1458, fasc. 10, pp. 124-125).
Per morte dell'ultimo titolare, il 18 aprile 1459 l'abbazia fu conferita in commenda a Francesco Todeschini Piccolomini, nipote di papa Pio II (Ansani 1994, n. 19, pp. 140-141). Ai primi del XVI secolo il commendatario Aldello Piccolomini, vescovo di Soana, reintrodusse i monaci cistercensi cedendo loro il monastero, la chiesa, i beni posseduti nelle pievi di Lenno ed Isola e le decime di Piona e del luogo di San Benedetto (Val Perlana), riservando per sé e per i successori il diritto di abitazione nel monastero e una casa a Como, lasciandone parte in uso ai religiosi, e i beni non compresi nelle suddette pievi, ovvero quelli in Delebio, Sorico e Gera, che furono affittati al milanese Donato Carcano forse insieme ad altri in Piona, nel luogo di San Benedetto e nelle due pievi sopranominate (Acquistapace 1900, pp. 184-190). L'accordo, che prevedeva la residenza nell'abbazia di almeno otto monaci, fu approvato da Giulio II il 3 dicembre 1504 (Rovelli 1798-1808, III/1, p. 540). I religiosi appartenevano alla provincia lombarda (claravallense) della congregazione cistercense di san Bernardo in Italia, costituitasi ufficialmente nel 1497, separata dalla provincia toscana nel novembre 1501 e ad essa nuovamente unita nel marzo 1511 (Pellegrini 1992, pp. 111-115).
Nel 1523 l'abbazia, divenuta rifugio di sbandati già a servizio della Francia, fu parzialmente distrutta su ordine del governatore di Como Federico Bossi (Annali sacri 1663-1735, III, p. 546).
Nel capitolo generale cistercense del 1565 il contributo annuale richiesto all'Acquafredda fu ridotto a tre scudi, a causa dell'introduzione della commenda che aveva sensibilmente ridotto la mensa dei monaci delle congregazioni di Lombardia e Toscana (Statuta Ordinis Cisterciensis, VII, pp. 96-97).
Nel 1767 si trovavano all'Acquafredda sei religiosi sacerdoti ed un converso (Catalogo regolari 1767, diocesi Como).
Da una copia dello "stato attivo e passivo" degli anni 1767-1768, si apprende che il monastero aveva proprietà nel territorio di Lenno, in Ossuccio (San Benedetto), Como, Desio e Milano (Religiosi, Acquafredda).
I cistercensi di Acquafredda insieme a quelli di Santa Maria Maddalena di Cavatigozzi si sarebbero dovuti trasferire nella soppressa Certosa di Pavia con ordine dell'imperial regio dispaccio 1 dicembre 1783 e lettera d'ufficio del principe Kaunitz del 4 dicembre 1783 (Cisterciensi, Acquafredda); tuttavia, negli anni 1784-1785 al cenobio risultavano ascritti ancora dieci sacerdoti e due conversi (Cattana 1981, p. 135). Secondo lo storico comasco Giuseppe Rovelli, la soppressione del monastero risalirebbe all'agosto 1785 (Rovelli 1798-1808, III/3, p. 219).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Francesco Bustaffa ]
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