Abbazia di Polirone - complesso

San Benedetto Po (MN)

Indirizzo: Piazza Teofilo Folengo (Nel centro abitato, distinguibile dal contesto) - San Benedetto Po (MN)

Tipologia generale: architettura religiosa e rituale

Tipologia specifica: monastero

Configurazione strutturale: L'Abbazia di Polirone è costituita da numerosi edifici che in origine erano destinati alle diverse attività svolte dai monaci. Il nucleo centrale si articola attorno ai chiostri dei Secolari e di S. Simeone. La configurazione planimetrica è irregolare, poichè molti spazi sono stati annessi nel corso dei secoli sono di proprietà diverse da quella comunale. In posizione mediana rispetto ai due chiostri vi è la chiesa, con la sacrestia e la chiesetta di S. Maria. A questa prima parte si aggiungono altri corpi di fabbrica autonomi quali il convento delle Canossiane, due fabbricati destinati a residenza, il Refettorio e la casa parrocchiale. Questi sono caratterizzati da un impianto planimetrico longitudinale regolare. I volumi chiaramente sono diversificati, sia per la presenza in alcuni casi di un piano interrato in altri di un terzo livello sia per le evidenti differenze dimensionali tra i vari edifici.

Epoca di costruzione: sec. XI - sec. XVII

Autori: Giulio Romano, ricostruzione

Comprende

Descrizione

Polirone, Abbazia di S. Benedetto Po

Giulio Romano aveva un compito di estrema difficoltà, condizionato com'era dalle preesistenze di un edificio molto antico, che era il risultato di diverse stratificazioni successive, romaniche e gotiche. L'intervento immaginato da Giulio Romano è, anche in questo caso, di grande intelligenza. Il primo problema che l'architetto deve risolvere è l'ampiezza irregolare delle campate: è necessaria una correzione ottica, che dia l'illusione di uno spazio unitario. Giulio la ottiene con una serie di tre serliane, appena variate nelle misure, che scandiscono ai lati la navata maggiore fino al punto di innesto dell'area riservata ai monaci; e la trabeazione a risalti, che poggia su paraste di ordine corinzio poste a inquadrare le serliane, rende perfetta l'illusione. L'idea della serliana permette a Giulio, tra l'altro, di usare, come i monaci gli avevano imposto, le antiquate colonne già eseguite, anni prima, per la biblioteca, e mai utilizzate. Le volte a crociera ad arco acuto e il tiburio ottagonale Giulio Romano li conserva intatti: solo, li riveste con una sottile trama geometrica di decorazioni a fresco e a stucco, con motivi di grottesche, all'antica, affidati, per l'esecuzione, allo specialista Anselmo Guazzi, che già aveva collaborato con Giulio all'epoca dei lavori per palazzo Te. Motivi identici, a fresco e stucco, Giulio usa per rinnovare il volto dell'antico deambulatorio romanico, insieme all'idea delle profonde nicchie affrontate, esterne e interne, che palesemente citano, nelle solenni proporzioni, le absidi della raffaellesca loggia di Villa Madama a Roma. Per l'esterno, Giulio cita ancora il loggiato di Villa Madama nel portico con nicchioni sui lati brevi che decide di anteporre alla fronte precedente; ma la facciata è ora alterata, purtroppo, dalla sovrapposizione di una loggia eretta nella prima metà del Settecento. A un certo punto, però, forse Giulio Romano si stanca di aggiustare, travestire, mimetizzare, e per il fianco destro della chiesa sceglie una soluzione radicalmente diversa. Non corregge, ma sottolinea deliberatamente le irregolarità, e decide di dar loro il massimo risalto. Usa, come già aveva fatto nel portico, un motivo che era di Bramante, nel cortile superiore del Belvedere: gli archi inquadrati da coppie di lesene profilate dalla trabeazione, la cosiddetta 'travata ritmica'. Giulio mantiene costante solo il modulo maggiore, e varia, invece, gli spazi tra le lesene d'ordine corinzio, volta a volta dilatati o contratti. Così, l'ampiezza diversa delle cappelle si riflette esattamente nelle diverse dimensioni del modulo minore.
Capricci, licenze, sapienti finzioni, e la disinvolta sicurezza, soprattutto, con cui Giulio Romano accosta citazioni da fonti diverse: dall'antico, da Raffaello, da Bramante. Così, quello che nelle intenzioni della committenza doveva essere un intervento di portata assai limitata, poco più che un semplice maquillage, a basso costo, e da svolgere in tempi brevi, nelle mani di Giulio diventa un'occasione preziosa di sperimentazione per temi e motivi che l'architetto approfondirà, poi, nei suoi due ultimi lavori: interventi, entrambi, in cui Giulio dovette affrontare ancora il problema del confronto con architetture già esistenti, e di enorme valore simbolico, esattamente come a Polirone (la facciata per S. Petronio a Bologna e il rinnovamento del Duomo di Mantova).
Il 3 gennaio 1541 Giulio Romano aveva firmato anche il contratto che lo impegnava a dipingere sei ancone entro due anni, di cui una destinata all'altar maggiore dell'abbazia e le altre, più piccole, per le cappelle del deambulatorio: ma ne eseguì, alla fine, una sola, con l'episodio di Pietro e i discepoli salvati dalle acque, compiuta nel 1543 e ora perduta, anche se nota attraverso una copia tarda. Le altre saranno dipinte, forse sulla base di suoi disegni, da collaboratori di Giulio, scelti tra quelli che già avevano lavorato al suo fianco nell'impresa di palazzo Te.

Le origini

L'abbazia di Polirone, pur mutilata in molte parti dopo la soppressione napoleonica (1797), resta uno dei più grandi complessi monastici benedettini italiani.
Sussistono elementi significativi della sua prima fase medievale (secoli XI-XII): numerose evidenze della chiesa maggiore (XII secolo) con relativa torre campanaria, la chiesa di Santa Maria con i mosaici pavimentali (1151-1154), le tracce archeologiche della sala del capitolo, il campanile della chiesa plebana di San Floriano (fondata da Bonifacio, figlio di Tedaldo e padre di Matilde di Canossa). A questi sono da aggiungere diversi manufatti artistici (Museo della basilica, Museo dell'abbazia) e lo straordinario nucleo di manoscritti miniati (quasi tutti prodotti a Polirone), conservati nella Biblioteca Comunale di Mantova e in altre sedi.
Purtroppo le limitate evidenze archeologiche non consentono ancora l'identificazione delle aule di culto primitive, anche se vi è qualche possibilità che la cappella di San Benedetto corrisponda a una struttura absidale, forse occidentata (cioè con abside a ovest, o in alternativa a nord), individuata al di sotto della sala del capitolo romanica, e datata con analisi di termoluminescenza all'VIII secolo. All'VIII-IX secolo pertiene anche un frammento lapideo scolpito con iscrizione, reimpiegato nel XII secolo e visibile nell'ultima cappella di sinistra della chiesa maggiore.
La chiesa maggiore era a tre navate, divise da due file di sei colonne interrotte a metà da un pilastro per parte. Un arcone nella navata centrale connotava le due zone liturgiche della chiesa: coro a est, spazio dei laici a ovest, probabilmente separati anche da un setto murario. La zona ovest della navata grande era una sorta di "chiesa" a se stante, con l'altare della Santa Croce (attestato nelle Consuetudines polironiane come frequente stazione processionale), consueto in ambito monastico come polo cultuale per le messe dei laici, fin da età carolingia (Saint-Riquier a Centula, San Bonifacio a Fulda, pianta di San Gallo). L'altare della Croce esisteva anche a Cluny ed era diffuso nelle chiese cluniacensi. Monofore illuminavano la navata maggiore solo a sud, certo per escludere i venti di settentrione. Un'alta fascia di muro a vista sovrastava gli archi longitudinali, secondo Autenrieth 1988 in funzione delle cortinae appese alle pareti nelle festività.
Le Consuetudines e altri documenti attestano che le navate della chiesa erano precedute da un vestibulum e da un paradisus, funzionali rispettivamente alle processioni monastiche e alla sosta dei visitatori laici. A est delle navate il transetto collegava la chiesa maggiore a quella di Santa Maria e mascherava forse gli assi direzionali divergenti delle due chiese preesistenti.
Le Consuetudines forniscono anche molti dati relativi alla vita quotidiana dei monaci, oggi comparabili con i risultati degli scavi della sala del capitolo e del chiostro (1989-1994).
La sala del capitolo - dove alla comunità dei monaci era letto ogni giorno un capitulum della Regola di Benedetto, dove si impartivano le punizioni e si prendevano le decisioni collettive - era posta come di consueto sul lato est del chiostro, che proseguiva verso nord con altri ambienti non identificati (forse l'auditorium e la camera).
Sopra queste costruzioni era posto il dormitorio dei monaci, di cui si leggono ancora alcune monofore rettangolari. Un corridoio con doppie arcate aperte sui lati corti, a fianco del capitolo, consentiva la comunicazione con il probabile chiostro dell'infermeria (a nord di Santa Maria, che poteva essere anche chiesa degli infermi). Una grande trifora (un portale con due aperture laterali) si affacciava dal capitolo al chiostro, perché anche chi sostava nel portico esterno potesse udire la comunità riunita.
Le Consuetudines polironiane accennano alla presenza di altri edifici, di cui non abbiamo ancora evidenza materiale: l'infermeria dei monaci con chiostro, le scuderie, le foresterie, l'ospedale.

Notizie storiche

Polirone, Abbazia di S. Benedetto Po

È di origini molto antiche l'abbazia di S. Benedetto a Polirone, presso Mantova, fondata, probabilmente, nell'XI secolo, e assai cara, da sempre, ai signori di Mantova, i Gonzaga. La chiesa abbaziale, che tuttora conserva tracce della primitiva struttura romanica, fu più volte modificata, nel corso dei secoli, fino a raggiungere un assetto pressoché definitivo nel XV secolo: nel 1419, infatti, il monastero mantovano entrò nella nuova congregazione riformata che faceva capo al cenobio di S. Giustina, a Padova; e poco dopo iniziarono i lavori che trasformarono la vecchia chiesa di Polirone in un edificio ricco di stilemi gotici, con volte a crociera ogivali nella navata centrale, una serie di quattro cappelle per lato, di ampiezza irregolare, nelle navate laterali, e un tiburio esterno ottagonale . I lavori si conclusero probabilmente attorno alla metà del secolo e per molto tempo nulla fu più modificato.
Un secolo dopo, nel 1538, era abate di S. Benedetto Gregorio Cortese, che rientrava allora nell'abbazia mantovana dopo alcuni anni trascorsi nel monastero di S. Giorgio Maggiore a Venezia: e subito dovette affrontare una questione assai delicata. Molti anni prima, infatti, nel 1500, la nobildonna Lucrezia Pico della Mirandola aveva donato alcuni possedimenti al monastero, a condizione però, precisava il testamento, che venisse distrutta la vecchia chiesa e che si iniziasse la costruzione di un nuovo edificio; un'identica condizione compariva nel testamento del milanese Cesare Arzago, del 1509, che desiderava anche una cappella privata, destinata alla sua sepoltura. L'esecuzione di queste disposizioni era stata rinviata per lungo tempo, anche se qualcosa si era cominciato a fare tra il 1525 e il 1527: ma nel 1538 Gregorio Cortese non poté più evitare il problema, anche per la pressione dei suoi superiori, e decise, quindi, di iniziare i lavori. Prima, però, stabilì una modifica: non sarebbe stata costruita una nuova chiesa, troppo costosa per le possibilità economiche del monastero, ma ci si sarebbe limitati a ristrutturare quella antica; e fu necessaria una bolla papale, giunta il 23 luglio 1538, per l'autorizzazione a quel nuovo progetto che eludeva, ancora una volta, la precisa volontà dei donatori.
Gregorio Cortese era un intellettuale legato ai movimenti per la riforma cattolica, ma anche umanista colto e raffinato intenditore d'arte e di architettura: e amico, tra gli altri, di Gaspare Contarini, di Pietro Bembo e del cardinale Ercole Gonzaga. Molti anni prima Cortese, che già attorno al 1510 aveva elaborato un progetto di rinnovamento per l'abbazia, aveva inutilmente cercato di ottenere per il refettorio di S. Benedetto un dipinto di Raffaello: fu naturale, quindi, per lui, rivolgersi al più celebre dei suoi allievi, Giulio Romano, che da lungo tempo ormai lavorava per la corte mantovana, ed era all'apice della sua fama. Contarono, naturalmente, anche i buoni rapporti dell'abate con il cardinale Ercole, e l'antica predilezione dei Gonzaga per il monastero: i signori di Mantova, infatti, non permettevano spesso al loro artista di corte di prendere impegni con altri committenti.
Giulio Romano accettò la proposta di Gregorio Cortese e tra il 1539 e il 1540 il cantiere fu avviato. Si trattava, nelle intenzioni del Cortese, di ideare una sorta di rivestimento 'all'antica' per l'edificio, e di conservare il più possibile le strutture già esistenti, per contenere le spese, ma anche perché gli elementi gotici erano un elemento fondamentale per l'identità della chiesa antica; non a caso, il progetto di ricostruzione integrale aveva provocato dure polemiche sia tra i religiosi sia tra i laici .
Qualche anno più tardi, nel 1547, si svolse la cerimonia della nuova consacrazione della chiesa, ma Giulio Romano non poté vederla; era morto, infatti, l'anno prima, nel 1546.

Le origini

Se la struttura attuale (quattro chiostri, refettorio, infermeria nuova) fu edificata soprattutto nel XV secolo, quando l'abbazia fu annessa alla congregazione de Unitate di Santa Giustina di Padova, nondimeno sussistono elementi significativi della sua prima fase medievale (secoli XI-XII).
Con un contratto di permuta del 10 ottobre 962, Atto Adalberto di Canossa otteneva dal vescovo di Mantova una parte dell'isola fluviale di San Benedetto (tra i fiumi Po e Lirone), sulla quale sorgeva una cappella dedicata allo stesso santo.
In ogni caso, fu il figlio Tedaldo, succeduto nel 982 ad Atto nei beni come negli uffici (cui aggiunse le contee di Brescia e Ferrara e il titolo di marchese), a insediare nell'isola di San Benedetto un nuovo istituto monastico nel giugno 1007. Egli trasformò in monasterium una basilica in onore di santa Maria, san Benedetto, san Michele e san Pietro, che egli aveva fatto edificare negli anni precedenti e alla quale già il 2 aprile 1007 aveva donato il "campo di Santa Maria e altri possedimenti". Il monastero resterà "privato" fino al 1077, quando Matilde di Canossa lo sottoporrà alla Santa Sede, e poco dopo papa Gregorio VII lo concederà all'abbazia di Cluny.
La basilica di Tedaldo potrebbe invece coincidere con un'aula di culto preesistente nel luogo della chiesa di Santa Maria, di cui emersero forse alcune tracce (Leali 1989). Gli scavi all'interno della sala del capitolo hanno evidenziato elementi più antichi: due vani di un edificio tardoantico in laterizio (con reperti ceramici e vitrei del V-VI secolo), poi crollato e ricostruito nel VII secolo, in età longobarda (Lusuardi Siena-Giostra 2006). Se a questo si aggiungono due pulvini scolpiti di tipo ravennate (uno perduto e uno in proprietà privata) e un'iscrizione funeraria (scoperta nel 1785 nella chiesa maggiore e conservata nel palazzo ducale di Mantova) relativa a un Thomas negotiator morto nel 540, si deve arguire anche la preesistenza in loco di una chiesa paleocristiana del VI secolo, e dunque un importante insediamento sul Po di età romana.
Molti indizi inducono poi a includere il cantiere nella prima metà del XII secolo: i legami col cantiere di Cluny III (deambulatorio a cinque cappelle radiali, abside interna con colonne su zoccolo murario continuo, braccio sud del transetto a due absidi), lo stile evoluto di Santa Maria (navata con volte a crociera trasversali oblunghe e transetto con torre ottagonale sottocupolata), la presenza di archi acuti (noti sia nel duomo di Modena - archi trasversali - che a Cluny III), l'utilizzo di colonne in pietra rossa come a Modena e nelle chiese veronesi del XII secolo. Autenrieth (1984) osservò anche l'"uso di correggere con colore qualche parte della muratura a vista" e datò Santa Maria al 1140 circa. Un utile termine di comparazione per Santa Maria è la cluniacense San Salvatore di Capodiponte (volte a crociera oblunghe, torre ottagonale sottocupolata, doppio ordine di archi e alte pareti piene a sostegno della torre), posta da Autenrieth stesso (1981) al 1110/1120 circa. Attorno alla metà del XII secolo il transetto della chiesa maggiore e Santa Maria erano già edificati perché citati nelle Consuetudines. Inoltre, sotto il mosaico pavimentale del transetto di Santa Maria (datato 1151) sarebbe stato individuato il pavimento in cocciopesto in fase con i muri del transetto stesso. Santa Maria era dunque già edificata da qualche tempo nel 1151.
La chiesa maggiore, di cui restano elementi importanti è incorporata nell'edificio attuale (del XV secolo, ristrutturato da Giulio Romano nel 1540-1544).
Il chiostro del XII secolo probabilmente "insisteva" su quello dell'XI, riconosciuto solo per pochi tratti di muro, ed era ubicato a nord della chiesa, contrariamente alla posizione più consueta (a sud). Era meno grande dell'attuale chiostro maggiore del XV secolo ma strutturato secondo il "canone" benedettino:

Uso attuale: chiostri: museo; chiostri: uffici comunali; chiostri: biblioteca; refettorio: museo

Uso storico: intero bene: monastero

Condizione giuridica: proprietà Ente pubblico territoriale

Accessibilità: Apertura: Annuale
Giorni:Lunedì Martedi Mercoledi Giovedi Venerdi Sabato Domenica
Ingresso a pagamento
Servizi
Visite Guidate - Bookshop -

Museo e Abbazia di Polirone
Piazza Folegno, 23
San Benedetto Po (MN)
Tel: 0376 623036

Per raggiungere il sito:
Prendere l'A4, fino a Verona, dove si prende l'innesto per il Brennero, dir. Modena. Si prosegue sull'A22 fino a Mantova sud, dove all'uscita è necessario prendere la SS 412

Riferimenti bibliografici

Piva P., Per la storia di un complesso edilizio monastico: San Benedetto di Polirone, Roma 1977

Piva P., Da Cluny a Polirone: un recupero essenziale del romanico europeo, San Benedetto Po 1980

Leali S., L'abbazia di San Benedetto Po. Dieci secoli di storia., Suzzara 1989

Giulio Romano, Giulio Romano, catalogo della mostra, Mantova - Milano 1989

Correggio Giulio, Dal Correggio a Giulio Romano. La committenza di gregorio Cortese, San Benedetto Po 1989

Quintavalle A.C., Wiligelmo e Matilde. L'officina del Romanico, Milano 1991

Piva P., San Benedetto Po. L'abbazia, la storia, Mantova 1991

Giovannini A./ Golinelli P./ Piva P., L'abbazia di San Benedetto Po, Verona 1997

Mantova storia, Mantova : la storia, le lettere, le arti, Mantova 1958

Chiese conventi, Chiese e conventi del contado mantovano, Firenze 1966

Fonti e Documenti

Archivio della Soprintendenza ai beni architettonici e ambientali di Brescia, Mantova e Cremona, Benedetto Po, Monastero San Benedetto, fasc. 55/G

Archivio della Soprintendenza ai beni architettonici e ambientali di Brescia, Mantova e Cremona, Benedetto Po, Monastero San Benedetto, fasc. 55/G

Percorsi tematici:

Credits

Compilazione: Carlini, Federica (2002); Catalano, Mara (2002); Moioli, Rossella (2002)

Aggiornamento: Comin, Isabella (2006)

Descrizione e notizie storiche: Monaco, Tiziana; Piva, Paolo

Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book

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