Basilica di S. Michele Maggiore
Pavia (PV)
Indirizzo: Piazza San Michele (Nel centro abitato, integrato con altri edifici) - Pavia (PV)
Tipologia generale: architettura religiosa e rituale
Tipologia specifica: chiesa
Configurazione strutturale: Considerata il massimo esempio dell'architettura romanica pavese, è caratterizzata dal singolarissimo apparato plastico decorativo della facciata in arenaria. La facciata a vento, con terminazione a capanna, è inquadrata da massicci contrafforti e tripartita da eleganti lesene polistili corrispondenti alle navate interne. La pianta a croce latina è scandita da massicci pilastri cruciformi alternati che reggono volte a crociera. Sopra le navate minori si aprono i matronei illuminati da finestre. Il transetto molto sporgente sul perimetro rettangolare, e provvisto di facciata autonoma sul lato nord, è voltato a botte e sull'incrocio si innesta la cupola chiusa esternamente dal tiburio ottagonale decorato da una loggetta analoga a quella di coronamento della facciata e dell'abside. Sotto al presbiterio è situata la cripta suddivisa in tre navate.
Epoca di costruzione: 1117
Descrizione
Partendo dalla testata absidale, va segnalata la plastica modulazione dell'abside scandita da possenti contrafforti polistili in tre campi, ulteriormente frazionati da esili semicolonne che salgono fino a contribuire alla scansione ritmica della galleria di coronamento. Va però notata la dissimmetria della scansione, giacché il settore meridionale risulta di un modulo più grande di quello settentrionale. La cosa è certamente voluta e dettata da un sapiente studio dei costruttori romanici sui punti di osservazione del monumento: data la posizione della basilica entro un'insula del reticolo ortogonale romano e l'ubicazione a nord degli ambienti canonicali addossati alla chiesa (ove a tutt'oggi restano molte tracce, ancora non studiate, della fase romanica) l'abside poteva essere vista solo da sud-est, e da qui, grazie al correttivo "ottico" apportato, la sua scansione decorativa appare perfettamente equilibrata. L'osservazione vale anche, come già notato da Peroni, per alcune irregolarità della facciata maggiore che non si prestava in origine a una visione frontale, e soprattutto della testata del braccio sud del transetto, allineata al lato sud dell'insula, e visibile solo in forte scorcio.
La facciata, una delle più belle del romanico pavese (si veda a riguardo Peroni 1980), risulta costruita in modo perfettamente simmetrico da un semplice reticolo di linee verticali e orizzontali, ed è stretta da due enormi contrafforti angolari con effetto di suggestivo inquadramento dello splendido portale centrale. Il tiburio è decorato da cinque arcate sui lati maggiori e tre su quelli minori diagonali; sopra la loggetta una teoria continua di fornici funzionali all'appoggio del tetto sull'estradosso della volta. Un sistema di arcatelle su colonne fu pensato e predisposto inizialmente anche per il cleristorio, ma si ritrova solo nella sua porzione più orientale (a sud, mentre a nord se ne vedono le tracce) corrispondente all'antica seconda campata maggiore.
Si noti infine che mentre l'interno della chiesa è costruito in mattoni e la pietra è utilizzata per le parti "resistenti" della struttura, il paramento esterno è lapideo, salvo nel tiburio nel cleristorio, nella testata orientale del coro e nelle parti alte del transetto, dove si vede una bella muratura laterizia, con mattoni graffiti, sicuramente coeva al resto della costruzione e da non intendersi quindi come voleva de Dartein, alla fine del XIX sec., come restauro.
Negli ultimi anni studi storici e archeologici hanno dimostrato una certa diffusione nel corso dell'XI secolo della tipologia ottoniano-salica a transetto e coro sporgenti modulati sul quadrato dell'incrocio ed il dato più interessante e per certi versi rivoluzionario che ora emerge è la possibilità di datare entro la metà dell'XI secolo anche l'impostazione dello chevet della cattedrale di Parma, a cui poi si collegherebbe, a distanza di pochi anni o decenni, quella di Reggio Emilia. Ecco che precedenti tanto nobili potrebbero iniziare a costituire dei riferimenti "forti" per San Michele Maggiore di Pavia, che va però meglio inquadrato, come giustamente osservato da Peroni, in una più ampia prospettiva europea entro cui riteniamo si possa confermare il ruolo di modello assunto da Spira.
Soprattutto, vien quasi il sospetto che in un primo momento si intendesse seguire il modello tedesco più a fondo, anche nell'approntamento delle coperture del transetto, perché gli enormi contrafforti angolari che troviamo nel San Michele, ovviamente inutili in relazione alle volte a botte di tradizione pavese, sembrano proprio pensati per delle crociere.
I rapporti, di dare e avere, con il mondo germanico, con l'area renana ma anche con cantieri della prima metà del XII secolo non può che intendersi come frutto della "circolazione di maestranze, variamente riscontrabile per tutto il Medioevo, bene spiegabili all'interno di quanto sopravviveva dell'Impero germanico, in particolare all'epoca di Enrico IV e dei suoi successori.
Notizie storiche
La chiesa dedicata all'arcangelo ricordata in due occasioni da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum: la prima volta all'anno 662 come rifugio dell'arimanno Unulfo seguace di Pertarito e perseguitato da Grimoaldo; la seconda per un episodio simile all'anno 737 sotto il re Liutprando. Secondo il grande studioso dei Longobardi il culto micaelico sarebbe stato incrementato a Pavia proprio dal duca beneventano Grimoaldo come ricordo della sua vittoria del Gargano, e in funzione riconciliatrice tra ariani e cattolici.
Se nei documenti dell'età post-longobarda, da una parte è ribadita la contiguità spaziale della chiesa con il quartiere residenziale del sovrano, non ci si dovrà fare ingannare dal termine monasterium essendo accertato che nelle fonti pavesi esso, come i consimili abbatia, coenobium o claustrum, non si riferiscono necessariamente a una comunità monastica ma anche a un collegio canonicale (Forzatti Golia 1998). Come abbatia infatti compare San Michele Maggiore in alcuni documenti del X secolo ma la chiesa non ospitò mai monaci e secondo Forzatti Golia una comunità di canonici residenti a vita comune dovette instaurarsi in San Michele almeno a partire dall'età carolingia e dalla promulgazione della regola di Aquisgrana.
Il documento di Rodolfo II del 924 interessa particolarmente, poiché giunge all'indomani di uno degli eventi più traumatici nella storia della città di Pavia, l'assedio e l'incendio degli Ungari, descritto da Liutprando da Verona, da Flodoardo e dalla Cronaca della Novalesa con toni particolarmente drammatici. A differenza del successivo incendio del 1004, la cui portata non fu forse catastrofica, quello del 924 devastò soprattutto il quartiere orientale della città, con ingenti danni al palazzo regio: negli anni successivi diversi quartieri del palatium erano in restauro e forse anche la vicina basilica di San Michele Maggiore ebbe bisogno di riparazioni per trovarsi pronta, nel 950, per la cerimonia di incoronazione di Berengario II e Adalberto, o già nel 929 per il temporaneo deposito delle reliquie di san Colombano giunte a Pavia.
Per Cordero di San Quintino (1828) i due incendi distrussero completamente la chiesa altomedievale e i caratteri stilistici della chiesa, del tutto dissimili da quelli di epoca longobarda, inducevano lo studioso a proporre una datazione, straordinariamente lucida per l'epoca, tra la metà dell'XI e la metà del XII secolo. I cugini Sacchi (1828) abbracciarono invece la datazione ad epoca longobarda di Séroux d'Agincourt (al VII sec.), identificando nella basilica e in particolare nel transetto meridionale e nell'area absidale tre distinti materiali di costruzione sovrapposti in elevato in modo irregolare (calcare, arenaria, mattone), vi riconosceva le fasi di restauro dovute ai danni dei due incendi.
"La palese affinità delle decorazioni con quelle del San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia stessa, chiesa che fu consacrata nel 1136, mi persuadono a credere che il San Michele di Pavia sorgesse appunto nel principio del secolo XII, e forse dopo il famoso terremoto del 1117 - così come sostenne Raffaele Cattaneo nel 1888 - che abbatté tante chiese dell'alta Italia e provocò quindi tante ricostruzioni".
Da queste voci inizia la moderna vicenda storiografica del San Michele che trova il suo acme nella monografia di Adriano Peroni del 1967, la più completa opera dedicata al monumento, ancora perfettamente valida per le analisi dell'architettura della scultura e del mosaico pavimentale, nonché per le proposte cronologiche che precisano i tempi della costruzione tra secondo e terzo decennio del XII secolo.
Le modifiche più rilevanti furono apportate dagli interventi del XV sec. sulle volte del cleristorio e dai restauri della fine del XIX sec., volti a evidenziare le parti ritenute romaniche della chiesa.
Uso attuale: intero bene: chiesa
Uso storico: intero bene: cultuale
Condizione giuridica: proprietà Ente religioso cattolico
Credits
Compilazione: Marino, Nadia (2004)
Aggiornamento: Ribaudo, Robert (2013); Marino, Nadia (2014)
Descrizione e notizie storiche: Schiavi, Luigi Carlo
Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book; Marino, Nadia
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/PV240-00004/
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