Domuscima srl [numero REA: 22971 Lc] (1926 -)
Sede: Lecco
Tipologia ente: ente economico/impresa
Progetto: Centro per la cultura d'impresa: censimento descrittivo degli archivi d'impresa della Lombardia
Numero REA: 22971 Lc
Ragione sociale/forma giuridica/capitale sociale e settore di attività iniziali:
Società Anonima Ferriere Giuseppe Cima - Società anonima - 800.000 (lire) - v. Note
Ragione sociale/forma giuridica/capitale sociale e settore di attività finali:
Domuscima srl - Società a responsabilità limitata - 102.000,00 Euro - 31.3
Profilo storico
Le origini della società risalgono al maggio del 1926, quando la Società Anonima Fili e Cavi Acciaio in liquidazione, il cav. Felice Cima, l'avvocato Guido Cima (quest'ultimi entrambi appartenenti ad una delle principali famiglie del 'ferro' lecchese già attive nel settore a partire dal XVIII secolo), Giovanni Malugani e l'avvocato Vittorio Rigoli procedevano alla costituzione della Società Anonima Ferriere Giuseppe Cima allo scopo, come recitata l'atto fondativo, 'la produzione, la lavorazione ed il commercio del ferro e metalli di qualsiasi genere'. L'impresa, con sede a Lecco e impianto produttivo ad Acquate in località Besonda (che ospitava un numero di operai superiore ai 120) nasceva proprio grazie al conferimento dell'impianto produttivo della società in liquidazione, integrato dai contributi in denaro degli altri quattro soci, tra i quali spiccava per importanza quello apportato dal cav. Felice Cima. Fin dai primi anni, l'iniziativa, tra le maggiori del panorama meccanico lecchese, avrebbe prodotto risultati interessanti, tanto che già a metà degli anni Trenta era in grado di esportare fili, punte, reti, molle e altro ancora in Europa centrale e in molti paesi del Mediterraneo, mentre un discreto quantitativo di filo in acciaio elicoidale per il taglio dei marmi raggiungeva alcuni paesi dell'America centrale. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale, tuttavia, avrebbe interrotto la fase espansiva a causa delle gravose difficoltà nell'approvvigionamento delle materie prime, dell'aumento dei costi per la manodopera e dei ritardi nei pagamenti da parte di alcuni enti statali italiani, coinvolti progressivamente nella dissoluzione del regime fascista. Già dalla fine degli anni Quaranta, tuttavia, la società era in grado di riprendere quel cammino ascensionale in grado di porla tra le principali realtà del comparto del territorio. A metà degli anni Cinquanta, in seguito alla scomparsa del presidente, l'avvocato Guido Cima, veniva nominata al suo posto la vedova, la signora Nelida Rainoldi. Il nuovo presidente, tuttavia, si sarebbe dovuta fin da subito confrontare con una congiuntura ben diversa da quella che aveva caratterizzato gli anni precedenti. La concorrenza sempre più accentuata da parte dell'industria siderurgica ai danni di quella trafiliera pura, tributaria della prima, per la vergella e la mancata definizione di accordi sui prezzi dei derivati, infatti, stava mettendo in seria difficoltà non solo la Ferriere Giuseppe Cima ma anche l'intero comparto lecchese. Inoltre, la perdita del mercato egiziano, tra i primi per importanza, non faceva altro che acuire i problemi dell'azienda. A cavallo degli anni Sessanta, visto anche l'incapacità dell'impresa di ridurre adeguatamente i propri costi complessivi, si decideva di avviare un radicale processo di riorganizzazione produttiva (attraverso la chiusura di qualche reparto e la riduzione del personale) affiancato ad un programma di rinnovo degli impianti e dei macchinari. Già alla metà del decennio, l'operazione aveva dato buoni risultati, riposizionando l'azienda lecchese sugli standard del passato. I primi anni Settanta, tuttavia, si sarebbero presentati come una battuta d'arresto di quel processo di crescita iniziato da qualche anno. Le rivendicazioni salariali unite al crescere della concorrenza interna ed internazionale, infatti, facevano sì che i bilanci del periodo si chiudessero con dati non soddisfacenti. Il trend negativo, peraltro, sarebbe proseguito per tutto il decennio e anche per i primi anni Ottanta a causa, da un lato, della difficile congiuntura economica e, dall'altro, per le difficoltà finanziarie incontrare da due dei maggiori clienti (Enel e Sip). Con il 1983 si registrava per l'impresa (forte di una sessantina di dipendenti) una certa ripresa sia sul mercato nazionale che su quello estero. Anche questa volta, purtroppo, si sarebbe trattato di una falsa partenza, visto che nella seconda metà sia Enel e sia Sip riducevano di molto gli ordinativi, mentre anche dal mercato orientale e africano non arrivavano segnali confortanti. A contrbilanciare la situazione soltanto l'accordo con l'austriaca Berndorf per la produzione di trefoli in ACS destinati al mercato italiano. E ancora una volta, nel tentativo di migliorare l'organizzazione interna, veniva predisposta ' come segnala la relazione al bilancio del 1990 ' la ristrutturazione del ciclo produttivo per migliorarne qualità e quantità, accompagnato dalla sostituzione di alcuni macchinari con altri tecnologicamente più avanzati. I risultati non avrebbero tardato ad arrivare e già alla metà degli anni Novanta l'utile sarebbe via via cresciuto. Nel frattempo, sul versante societario, erano entrati a far parte del Consiglio di amministrazione la signora Silvia Cima (con la carica di presidente) seguita ormai sul finire degli anni Novanta, dai figli Guido e Luisa. Nel corso del 2004, la Ferriere Giuseppe Cima spa ha scorporato il proprio ramo produttivo dalla gestione degli immobili. Il primo è stato conferito alla Ferriere Giuseppe Cima srl, mentre l'impresa storica della famiglia Cima ha modificato la ragione sociale in Domuscima srl.
Data aggiornamento: 01/09/2006
Autore della scheda: Geoffrey Pizzorni
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-produttori/ente/MIDB0019C1/