Archinto, famiglia (sec. XII -)
Altre denominazioni:
Archinto Panigarola dall'inizio del sec. XVIII
Progetto: Archivio Archinto
Titoli: conti di Tainate, marchesi di Parona
Le prime notizie certe relative alla famiglia Archinto risalgono al XII secolo e riguardano Manfredo, benefattore dell'abbazia cistercense di Chiaravalle nel 1171, considerato il capostipite del casato. Giunti a Milano dalla pieve di Mariano in Brianza, gli Archinto si distinguono rapidamente tra le più importanti famiglie patrizie della città, sommando alle proprietà territoriali i lauti proventi del commercio. Nel corso del XV secolo la famiglia si struttura in più rami derivanti dai quattro figli di Giuseppe, figlio di Beltramolo: Giovanni Ambrogio, Giovanni Stefano, Bartolomeo e Cristoforo. Alla metà del Seicento la salvaguardia della continuità genealogica e di patrimonio è garantita dal solo ramo di Cristoforo, che darà vita con i nipoti Carlo ed Orazio, figli del questore Alessandro, alle due linee dette di Tainate e di Barate. Estinto il ramo di Barate nel 1740, tutti i suoi beni fedecommissari passano a quello di Tainate, titolo comitale di pertinenza dell'unica linea proficiente giunta fino ad oggi.
In epoca visconteo-sforzesca alcuni membri del casato iniziano a distinguersi nella vita pubblica con ruoli amministrativi di responsabilità nel governo del Ducato, ma è in epoca spagnola che la famiglia Archinto raggiunge il vertice della sua affermazione sociale ed economica con uomini d'arme, alti prelati, giureconsulti e amministratori della cosa pubblica. Tra i rappresentanti della famiglia votati alla carriera ecclesiastica si annoverano: Filippo (1495-1558), vicario apostolico della città di Roma e arcivescovo di Milano, Filippo (1549-1632) e Aurelio (1588-1622), vescovi di Como, Romolo (1533-1576), vescovo di Novara, Giuseppe (1651-1712), legato apostolico in Italia e a Madrid ed infine arcivescovo di Milano, Gerolamo, arcivescovo di Tarso e legato apostolico a Colonia e in Polonia (1672-1721).
Tra gli esponenti secolari degli Archinto, le cariche di rilievo ricoperte nell'amministrazione cittadina e dello Stato di Milano in epoca spagnola sono molteplici e costanti nel tempo: luogotenenti e vicari di Provvisione della città di Milano (Alessandro, 1500-1567, Pietro Giorgio, ?-1622, Cristoforo, ?-1518, Carlo, 1670-1732), decurioni del Consiglio generale dei sessanta (Bartolomeo, ?-1617, Pietro Giorgio, ?-1622, Cristoforo, ?-1518, Ottavio, 1584-1656, Orazio, 1611-1683, Carlo, 1670-1732), questori (Orazio, 1533-1599, Giuseppe, 1553?-1610), giureconsulti e rappresentanti delle più prestigiose magistrature cittadine, senatori dello Stato con incarichi di fiducia da parte dei regnanti della Casa degli Asburgo (Gerolamo, ?-1542, Giuseppe, 1553?-1610, Filippo, 1644-1712).
In famiglia si distinguono attenti mecenati e uomini di cultura. Ottavio (1584-1656), primo conte di Barate, noto erudito e collezionista, raccoglie nella sua dimora in porta Orientale, lungo la fossa interna dei Navigli in via Fatebenefratelli, un'importante raccolta di marmi ed iscrizioni sepolcrali, oggi confluita nelle Civiche raccolte del Castello. Carlo (1670-1732), intellettuale e letterato, colleziona una ricchissima biblioteca citata da Serviliano Latuada nel 1738 nella sua Descrizione della città di Milano "...ma quel che corona la magnificenza di tutta la casa ... si è la biblioteca ... ricchissima di libri rari in tutte le lingue". La raccolta di volumi, oggi perduta nella sua integrità, era conservata nella dimora di via Olmetto, ereditata dai Visconti d'Albizzate, costruita dall'architetto Francesco Maria Richini e arricchita da dipinti ed affreschi di Tiziano, Parmigianino, Procaccini, Magnasco, Tiepolo, attuale sede dell'ASP Golgi-Redaelli, fortemente danneggiata durante la Seconda guerra mondiale.
In epoca spagnola giungono anche i primi riconoscimenti di natura onorifica e feudale. Nel 1625 Paolo Nicolò Varese, conte di Rosate, ottiene la facoltà di cedere i suoi possedimenti di Tainate e Barate a due membri della famiglia Archinto: a Carlo, figlio di Cristoforo, Tainate e a Ottavio, figlio di Orazio, Barate. All'acquisto di queste terre si associa, nel 1634, il riconoscimento, da parte di Filippo IV di Spagna, del titolo di conte ai due rami, trasmissibile ai discendenti maschi in infinito con ordine di primogenitura. Altro titolo di natura feudale è quello di signori di Erba, Incino con Villincino, Rovere, Orsenigo con Parzano, Lezza e Carpesino, diritti acquistati nel 1647 da Carlo Archinto, capitano di giustizia dello Stato di Milano, a cui seguono altri diritti sui borghi di Vill'Albese, Molena e Saruggia sempre nella pieve di Incino, acquisiti nel 1656. Carlo (1670-1732), figlio di Filippo e di Camilla Stampa, già nominato come intellettuale e mecenate, è insignito da Filippo V del titolo di cavaliere del Toson d'oro nel 1700 e di Grande di Spagna nel 1702. È lui a raccogliere, oltre a tutte le fortune fedecommissarie delle linee estinte Archinto, anche i titoli e i beni provenienti dai legami matrimoniali con le famiglie Carcano, Panigarola, Visconti Stampa e Landriani, per i rami estinti in Archinto. Tra i titoli feudali ereditati vanno ricordati il marchesato di Parona in Lomellina e la signoria di Albizzate, di provenienza Visconti Stampa, attraverso il matrimonio, celebrato nel 1668, tra Filippo Archinto e Camilla Stampa, figlia di Cesare e di Anna Visconti.
In epoca teresiana l'importanza e la ricchezza della famiglia Achinto si consolidano attraverso il prestigio dei riconoscimenti pubblici: tra i figli di Carlo, Filippo (1697-1751) è gentiluomo di camera e consigliere intimo attuale di Maria Teresa, Ludovico (1704-1774) è questore, consigliere di Stato e senatore, Alberico (?-1758) cardinale e segretario dello Stato pontificio.
Tra i cinque figli maschi di Carlo, la discendenza prosegue con la sola linea del terzogenito Giuseppe (1700-1777), nobile milanese accolto alla corte degli Estensi, attraverso il figlio Luigi (1742-1821) e il nipote Giuseppe (1783-1861); questi ultimi infatti, pur avendo scelto all'arrivo dei francesi di spostare la loro dimora a Pisa, diventano alla morte dei cugini Carlo nel 1804 e Ludovico nel 1809, unici eredi di tutti i beni e titoli raccolti nei secoli dalla famiglia Archinto. Obbligati dalle disposizioni testamentarie a ristabilire il domicilio a Milano, gli Archinto, già insigniti del patriziato di Pisa nel 1816, rientrano in Lombardia solo dopo il restaurato governo austriaco. A metà dell'Ottocento Giuseppe è probabilmente il più ricco tra i patrizi milanesi, grazie alla politica familiare di conservazione dei beni in Archinto, senza dispersione nelle linee femminili e cadette, privilegiando il gruppo familiare agli interessi dei singoli membri.
Ma nel corso del XIX secolo le sorti finanziarie della famiglia vacillano proprio con Giuseppe, collezionista raffinato e dedito ad uno stile di vita di "asiatica splendidezza", il quale spende cifre considerevoli chiamando da Parigi architetti e decoratori per la costruzione e l'arredo del nuovo palazzo in via della Passione, dimora del conte e della moglie Cristina (1799-1852), nata dei marchesi Trivulzio, luogo d'incontro della migliore nobiltà cittadina fino all'avvento dell'Unità d'Italia. Benché politicamente molto conservatore Giuseppe ha interessi imprenditoriali moderni, attento agli sviluppi dell'attività industriale e manifatturiera. Dopo un tentativo di istituire un Monte delle Sete per il sostegno dei produttori lombardi, fallito perchè osteggiato dal governo austriaco, investe nella Società delle strade ferrate lombardo-venete e nel 1858 acquista la Manifattura Sioli, Dell'Acqua & C., un opificio tessile per la produzione di fustagni e velluti a Vaprio d'Adda, ridenominato Stabilimento Nazionale Archinto.
Giuseppe, educato a Vienna e fedelissimo all'imperatore d'Austria, disapprova le simpatie democratiche ed antiaustriache del figlio Luigi (1821-1899), la cui partecipazione alle Cinque Giornate di Milano provoca un'insanabile rottura tra padre e figlio. Fallito il moto d'indipendenza e tornati gli Austriaci, Luigi si trasferisce in Piemonte, dove si arruola nella cavalleria sabauda e partecipa alle guerre d'indipendenza del 1848 e 1849. Solo con la morte di Giuseppe nel 1861, il figlio Luigi viene a conoscenza delle gravissime condizioni finanziarie in cui versa il patrimonio familiare amministrato con eccessiva prodigalità. Il conte è costretto a svendere la totalità dei suoi beni nel corso di una lunga vertenza con i creditori del padre riuniti in Consorzio (1864-1871), che mettono all'asta i suoi beni, tra cui il meraviglioso palazzo Archinto di via della Passione, oggi Collegio delle fanciulle Emanuela Setti Carraro Dalla Chiesa di proprietà dello Stato italiano.
I destini e la discendenza della famiglia saranno comunque garantiti dal matrimonio di Luigi con Giulia Gargantini (1839-1913) e del loro figlio Giuseppe (1863-1934) con Erminia Sacerdoti (1866-1929).
L'arma gentilizia è d'argento a tre fasce ondate di verde, con una principessa per cimiero che tiene tra le mani un nastro con il motto familiare Archintea laus; con privilegio datato 26 luglio 1678 dell'imperatore Leopoldo I d'Austria è concesso al conte Filippo e alla casa Archinto di ornare l'arma gentilizia con la duplice aquila imperiale.
Bibliografia
- CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico = CROLLALANZA (di), G.B., Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, (rist. anast. Bologna, Forni, 1965), 3 voll.
- Enciclopedia storico-nobiliare italiana = Enciclopedia storico-nobiliare italiana, a cura di V. Spreti, Milano, Stirpe, 1928-1935
- Forte 1932 = Francesco Forte, Archintea Laus, Milano, 1935, pp. 1-255
- Litta, Famiglie celebri = Pompeo Litta, Famiglie celebri d'Italia, 1819 - 1883, Milano, 16 voll.
Compilatori
Cortelazzi Mariasilvia, Archivista
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-produttori/famiglia/MIDD0002AF/