Olivetti Angelo Oliviero (Ravenna 1874 giugno 21 - Spoleto 1931 novembre 17)

Progetto: Comune di Milano. Civiche raccolte storiche: fondo Angelo Oliviero Olivetti

Angelo Oliviero Olivetti nacque a Ravenna il 21 giugno 1874 da Emilio e Amalia Padovani. Il padre, piemontese, fu patriota e ufficiale nelle guerre d'indipendenza e, dopo trentotto anni di servizio, morì colonnello dell'esercito. La madre, di nota famiglia bolognese, era figlia del banchiere e patriota Angelo Padovani, vicesindaco di Bologna e triumviro nel 1848 per la consegna di Bologna da parte del comando austriaco.
Frequentò il liceo presso il Collegio Cicognini di Prato e, giovanissimo, si dedicò al giornalismo, dirigendo e collaborando con vari giornali politici.
A diciassette anni fu direttore della "Lotta" di Bologna, con Andrea Costa e Alessandro Balducci, e segretario della Federazione socialista romagnola.
Il 31 ottobre 1895 conseguì la laurea in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bologna, dedicandosi al tempo stesso a studi di letteratura, filologia, filosofia e scienze naturali.
Mentre frequentava l'Università fu coinvolto in un processo per ingiurie al ministro della pubblica istruzione Gianturco (1) e scontò diciassette giorni di carcere. Laureatosi, esercitò la pratica forense a Bologna e fra i suoi primi clienti vi furono due compagni di cella di allora.
Dal 1896 al 1899 fu iscritto all'albo dei procuratori esercenti presso la Corte di appello di Bologna.
Fu tra i fondatori del Partito socialista, della cui direzione fece parte, e fra i promotori del Congresso di Genova del 1892.
Fu difensore dei socialisti nei processi per sciopero di Molinella e uno dei consulenti legali della Sezione di Bologna della Lega dei ferrovieri.
Fra il 1897 e il 1898 fu coinvolto insieme a Giuseppe Massarenti e altri redattori del "Il Risveglio" nella causa per diffamazione mossa dall'avvocato Barbanti, successivamente espulso dal Partito.
Diresse gran parte dei giornali bolognesi e romagnoli dell'epoca ("L'Intransigente", "Amico del popolo", "Il Risveglio").
Nel 1898 riparò in Svizzera come rifugiato politico e si stabilì a Lugano, aggregandosi per l'esercizio dell'avvocatura allo studio di Brenno Bertoni. Proseguì la propaganda socialista e fece parte della Commissione esecutiva della sezione del Partito socialista italiano in Svizzera insieme ad Angelica Balabanoff. Fu inoltre nominato presidente dell'Ospedale italiano di Lugano.
Frequentò il salotto di Clelia Bariffi Bertschy dove si riunivano intellettuali ticinesi ed esuli italiani. Qui conobbe e strinse una relazione con Berta Offenhäuser, orfana di entrambi i genitori e nipote dei signori Bariffi Bertschy, i quali l'accolsero nella loro famiglia allevandola come una figlia.
Nel 1900 sposò Berta, laureata in lingue e traduttrice, e da lei ebbe due figli, entrambi nati a Lugano: Livia, nata il 9 luglio 1901, ed Ezio, nato il 17 ottobre 1904.
Fin dal 1904 avviò in Italia un'azione sindacalista su basi nazionali, svolgendo attività di propaganda socialista e impegnandosi in numerosi congressi internazionali.
Nel 1905 accettò, a condizione di non essere eletto, la candidatura socialista nel collegio di Sannazzaro dei Burgundi, impegnandosi nella propaganda in Lomellina, e nel 1908, quando ebbe la certezza dell'elezione, si dimise.
Già redattore capo della "Gazzetta ticinese" e collaboratore della "Piccola rivista ticinese" (2), nel dicembre 1906 fondò insieme ad Arturo Labriola la rivista "Pagine libere", alla quale collaborò gran parte della gioventù intellettuale italiana dell'epoca, fra cui giovani sindacalisti e letterati d'avanguardia.
La rivista, che Olivetti diresse e mantenne a sue spese per circa un quindicennio, prima a Lugano, poi da Milano, ebbe per redattore letterario il poeta Francesco Chiesa e per redattore politico Paolo Orano.
Prima di fondare la rivista, Olivetti si dimise dal Partito socialista italiano (cui appartenne fin dal 1890) per dissensi sulla questione nazionale e sindacale. Fu teorizzatore e fra i primissimi assertori del sindacalismo rivoluzionario e la sua rivista, insieme al "Divenire sociale" di Enrico Leone, si fece espressione di questa corrente rivoluzionaria, nata in seno al Partito socialista e dal quale si separò definitivamente nel 1907.
Durante il periodo da esule costruì a Lugano una villa che divenne rifugio degli italiani in Svizzera (Alceste De Ambris, Libero Tancredi, Ettore Bartolozzi, Benito Mussolini) e centro di riunione cui parteciparono, tra gli altri, Angelo Cabrini, Arcangelo Ghisleri, Novicov.
Nel 1911 sostenne l'impresa di Tripoli insieme ad Arturo Labriola, Paolo Orano e Libero Tancredi (pseudonimo di Massimo Rocca).
Nel 1912 fu colpito da un provvedimento ordinato dal Procuratore generale della Confederazione elvetica (3) che stabilì la sua espulsione perpetua dalla Svizzera per aver pubblicato due articoli che ne minacciavano la sicurezza (4). Dopo quattordici anni di permanenza, abbandonò la Svizzera e si recò con la famiglia a Milano dove continuò a esercitare la professione di avvocato e riprese la pubblicazione di "Pagine libere", sospesa a causa dell'espulsione.
Sostenne l'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto, pubblicò su "Pagine libere" il primo manifesto per l'intervento e fondò il Fascio interventista, guidando il movimento e presiedendo il Primo congresso nazionale dei fasci di Milano.
Durante la guerra rifiutò il grado di ufficiale nell'esercito e attenne come soldato semplice alle Opere federate di assistenza e propaganda nazionale, svolgendo attività di propagandista preso gli operai degli stabilimenti. A tale scopo fondò a Milano il Comitato d'azione, che diresse e presiedette per tutta la sua durata e al quale si iscrissero uomini di tutti i partiti che operavano per la resistenza interna.
Nell'immediato dopoguerra fu chiamato a far parte della Commissione del dopoguerra, pur non essendo senatore, deputato o delegato di organizzazioni.
Socio aggregato del movimento legionario collegato all'impresa di Fiume, sostenne la connessione tra il sindacalismo nazionale e il sentimento nazionale.
Nel 1921 fu autore del Manifesto dei sindacalisti (5), adottato come programma dal Congresso dell'Unione italiana del lavoro di Roma, nel quale difese le organizzazioni sindacali di Ferrara e Bologna che intendevano costituire il nucleo delle forze fasciste, contrapponendo i principi del sindacalismo alle tendenze socialiste.
In campo sindacale conferì un indirizzo nazionale all'Unione italiana del lavoro con un'assidua opera giornalistica, dapprima con Filippo Corridoni nel giornale "L'Avanguardia", poi con Edmondo Rossoni nel giornale "L'Italia nostra", organo dell'Unione sindacale milanese che patrocinò il rilancio dell'Unione italiana del lavoro.
Aderì al fascismo ma, malgrado l'amicizia con Mussolini, rifiutò costantemente la tessera del partito.
Nel 1922 iniziò la pubblicazione de "La Patria del popolo"; divenne collaboratore del "Popolo d'Italia" (dal 1924), del "Lavoro fascista", della "Gazzetta del popolo" e delle più importanti riviste dell'epoca.
Per le sue qualità di studioso di materia sindacale e corporativa, nel 1924 fu chiamato a far parte della Commissione dei quindici e nel 1925 della Commissione dei diciotto, incaricate rispettivamente dal Partito nazionale fascista e dal Governo dello studio della riforme costituzionali.
Sostenne la tesi del sindacalismo integrale e fu tra i propugnatori dell'ordinamento dello Stato su basi corporative.
Fece parte della rappresentanza italiana della Lega delle nazioni (Bruxelles, Praga, Madrid) e fu membro del Consiglio superiore dell'economia nazionale. Dal 1928 partecipò ai lavori della Commissione consultiva permanente di studi sui rapporti collettivi del lavoro e sull'ordinamento corporativo costituita presso il Ministero delle corporazioni. Nel 1930 fu nominato, tra i dieci di scelta governativa, membro del Consiglio nazionale delle corporazioni. La Confederazione nazionale fascista lo chiamò a far parte della sua Giunta tecnica consultiva.
Fu nominato professore ordinario di sistema della legislazione fascista presso la Facoltà di scienze politiche dell'Università di Perugia.
Nel giugno del 1931 si trasferì da Milano a Roma con la famiglia.
Morì a Spoleto per un attacco cardiaco il 17 novembre 1931.

Note
1. Cfr. fascicolo "Processi, condanne, perquisizioni 1897 - 1905", b. 1, fasc.3.
2. Rivista letteraria diretta da Francesco Chiesa (1898 -. 1900).
3. Decreto 24 maggio 1912.
4. Il rapporto del Consiglio federale svizzero lamenta che nei due articoli di Olivetti, pubblicati il 4 e 11 maggio 1912 sul "Giornale degli italiani", "le relazioni fra la Svizzera e l'Italia sono trattate con linguaggio arrogante e in un modo che si presta ad aizzare gli uni contro gli altri gli svizzeri delle varie lingue, a turbare le relazioni fra la Svizzera e uno Stato vicino e, per conseguenza, a mettere in pericolo la sicurezza interna ed esterna della Confederazione" (Cfr. fascicoli: "Espulsione 1912 [...]", b. 2, fasc. 2 e "Documenti archivio Svizzera", b 66, fasc. 3).
5. Il manifesto dei sindacalisti, in "Pagine libere", aprile - maggio 1921.

Bibliografia
- Andreassi 1978 = A. Andreassi, Olivetti Angelo Oliviero, in F. Andreucci, T.Detti (a cura di), "Il movimento operaio italiano: dizionario biografico (1853 - 1943)", vol. 4, Roma, 1978, Editori riuniti, pp. 11 - 14
- Perfetti 1984 = Francesco Perfetti, Introduzione in Angelo Oliviero Olivetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Roma, Bonacci editore, 1984

Compilatori
Regina Marina, archivista