Vanga

ambito camuno, bottega di fabbro ferraio

Vanga

Descrizione

Ambito culturale: ambito camuno, bottega di fabbro ferraio; Italia, Lombardia

Cronologia: sec. XX

Categoria: attività artigianali

Tipologia: vanga

Materia e tecnica: ferro (riscaldamento, battitura, forgiatura, tempra)

Misure: 25.6 cm. x 40 cm. x 4.3 cm.

Descrizione: L'oggetto è formato da una pala trapezoidale con i margini arrotondati. Dal centro della base maggiore si sviluppa, in linea con la pala, una lamina ripiegata a formare un occhiello cilindrico per l'inserimento del manico. Accanto al margine della base maggiore è visibile un foro circolare. La lama presenta una costolatura di rinforzo centrale esterna

Notizie storico-critiche: Il signor Tomaso Fedriga, nato il 01 aprile 1937 a Malegno in Via Maffeo Gheza, ricorda l'aspetto del Museo "Le Fudìne", le attività della ferrarezza, gli strumenti ed i prodotti.
Il padre Stefano ed i quattro fratelli abitavano la casa in Via Gheza, un grande caseggiato, e lavoravano alla Metalcam. Accadde però che il padre mostrò all'anziano imprenditore milanese Castelnovo la forgiatura di un bullone esagonale; l'uomo, colpito dalla bravura dell'artigiano e conscio della grande domanda del prodotto realizzato, decise di impiantare una prima bulloneria (poi seguita da altre altrove) a Esine, in via Sottostrade, nella quale Stefano trovò posto. Il lavoro era molto ma Castelnovo, per colpe non sue, si trovò a fallire.
Nel frattempo Tomaso, dopo l'infanzia a scuola e il lavoro in segheria durante le vacanze (all'età di nove anni circa lavorava all'assemblaggio di cassette per la marmellata), frequentò a Breno le scuole professionali, terminate nel 1951 e trovò poi impiego fino al 1964 presso la Selva di Malegno. In quell'anno l'attività venne trasferita a Como, ma Tomaso rimase con il padre, che aveva bisogno di aiuto nella fucina di famiglia, aperta nel 1961 in via Arca a Esine e dedicata alla produzione di pezzi industriali. Il lavoro, negli anni '70, si trasferì in una nuova fucina, in Via Manzoni. Entrambe le fucine ora sono dismesse: la prima è stata sostituita da un edificio residenziale, mentre della seconda rimane la struttura, utilizzata come magazzino da Bellini Giòto di Bienno.
Dell'aspetto degli opifici di Malegno ricorda alcuni particolari: in Via Lanico, ad esempio, dove ora sorge il condominio che ospita la Banca di Vallecamonica, esistevano tre fucine, di due delle quali conserva memoria. La prima produceva secchi ed era gestita da due fratelli Ercoli, mentre la seconda apparteneva a Bellicini Francesco, poi emigrato in Svizzera.
L'edificio che ospita il Museo era diverso, essendo diviso in due fucine distinte.
Una apparteneva, dagli anni '60, ai Serini, ma in precedenza era sempre stata gestita da fabbri di Bienno: Panteghini Lolo prima, Moglia Andrea poi (intorno alla metà degli anni '50).
L'altra era istituzionalmente dei Nani, la famiglia Bontempi, ai tempi di Tomaso condotta da Giovanni, un uomo molto buono e gran lavoratore. Il sig. Fedriga ricorda che, a settimane alterne, il giovedì era il giorno dedicato al mercato di Cividate. Allora, da Borno, Ossimo e Lozio, scendevano molte donne che portavano al mercato polli da vendere. Al ritorno esse portavano a casa una buona quantità di baccalà, allora poco costoso. Il signor Bontempi dedicava la giornata a queste donne, pestando loro il pesce in modo da renderlo più sottile e gradevole.
L'approvvigionamento della materia prima, intorno agli anni '60, passava attraverso i "commercianti del ferro", i Pastorelli e i Bellicini Pì del Frà, che compravano rotaie dismesse, le tagliavano ad ossigeno in barre di lunghezza predefinita e le vendevano alle fucine. Qui venivano tagliate nuovamente in due parti: la parte superiore, cordone, era utilizzata per cordoni e mazze, mentre quella inferiore, la splagèta, serviva per i badili.
Il signor Tomaso nota che l'oggetto non è terminato.
P. Scheuermeier (1996, vol. I, pp. 90-92) riporta numerose tipologie di vanga, distinte per la loro forma in base all'uso, anche se l'utilizzo principale era per tutte l'atto di rivoltare la terra al posto dell'aratro o della zappa. Questa tipologia era diffusa soprattutto al Nord.
G. Sebesta (s.d., p. 84) spiega che la vanga era formata da un manico con doccia su cui si innesta la lama. Il modo di lavorare era diviso in tre fasi: affondamento verticale nel terreno, sforzo per staccare la zolla, sollevamento della zolla e rotazione per lo scarico.
Fonti di documentazione: 2, 3

Collocazione

Malegno (BS), Le Fudine di Malegno - Civico Museo Etnografico del Ferro

Credits

Compilazione: Bassi, Sara (2011)

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

NOTA BENE: qualsiasi richiesta di consultazione, informazioni, ricerche, studi (nonché documentazione fotografica in alta risoluzione) relativa ai beni culturali di interesse descritti in Lombardia Beni Culturali deve essere inoltrata direttamente ai soggetti pubblici o privati che li detengono e/o gestiscono (soggetto o istituto di conservazione).