Mazzo di frasche di ravizzone

Fumagalli, Giuseppe (contadino);

Mazzo di frasche di ravizzone

Descrizione

Autore: Fumagalli, Giuseppe (contadino) (1906-1986), raccolta ed essiccazione

Ambito culturale: ambito alto-brianzolo, Lombardia

Cronologia: sec. XX prima metàsec. XIX fine

Categoria: attività agro-silvo-pastorali

Tipologia: mazzo di frasche di ravizzone

Materia e tecnica: ravizzone (raccolta, selezione, legatura, essiccazione)

Misure: 75 cm.

Descrizione: Mazzo di fraschette di ravizzone essiccate, stretto alla base con materiale vegetale e aperto in alto a formare la ‘chioma’ di un piccolo albero nel suo aspetto invernale

Notizie storico-critiche: Nella scheda cartacea FKO del reperto (2000), Massimo Pirovano riporta che durante lo sviluppo dei bachi, prima che fossero "maturi" (cioè pronti da filare), bisognava intervenire sui graticci per #imbuscài#, per preparare cioè questi sostegni, necessari a fare arrampicare i bachi (#fà rampegà i cavalée#). l mazzi di fraschette erano chiamati #bósch# e potevano essere composti da vari materiali vegetali. Ognuno usava il legno che era più facilmente disponibile, a seconda delle zone. Sul Monte Barro e in Valsassina, ad esempio, si trovava piuttosto facilmente l’erica (Calluna vulgaris L.), ma era comune anche il ravizzone (Brassica campestris L.). Seminato in novembre, era utilizzato anche come foraggio fresco, quando in primavera le scorte di fieno scarseggiavano: la sua crescita molto rapida permetteva di tagliarlo per San Giuseppe (19 marzo). Con i semi del #raüsción#, poi, si poteva fare l'olio, come accadeva ancora durante la seconda guerra mondiale. Poiché la semente è pronta alla fine di aprile, le piantine venivano private dalle silique contenenti i semi. Solo una volta seccati, però, i fusti, sarebbero serviti all’allevamento del baco da seta: erano cioè pronti #de fà sö i mazzét del bósch#. Ogni "bosco" di ravizzone serviva generalmente per una sola stagione.
L'informatore Romeo Riva (2024) informa che ciascun bozzolo dei bachi da seta era costituito da circa mille metri di filo di seta. Era compito delle filandaie, dotate di pazienza e fine abilità manuale appaiare più fili prima della torcitura. Alla metà del Novecento, le bambine, appena concluso il ciclo scolastico, venivano mandate a lavorare in filanda come apprendiste, dove potevano imparare il mestiere affiancando le filatrici più esperte.
Fonti di documentazione: 2/ 3

Collocazione

Galbiate (LC), Museo Etnografico dell'Alta Brianza - MEAB

Credits

Compilazione: Capra, Michela (2024)

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