Forca fienaia
Descrizione
Ambito culturale: ambito austriaco; Austria
Cronologia: sec. XX prima metàsec. XX metà
Categoria: attività agro-silvo-pastorali
Tipologia: forca fienaia
Materia e tecnica: ferro (riscaldamento, battitura, forgiatura, foratura, foratura, ribattitura, tempratura); legno (taglio, scortecciatura, levigatura)
Misure: 15 cm. x 189,5 cm.
Descrizione: L'attrezzo è costituito di un lungo manico in legno, a sezione rotonda, che all'estremità inferiore è inserito nell'anello cilindrico della parte lavorante, terminante con due rebbi appuntiti in ferro a forma di U
Notizie storico-critiche: P. Scheuermeier (1980, vol. I, pp. 58-60) riferisce che la forca fienaia poteva essere costituita da una forcella naturale di legno, che si biforcava in due o tre lunghi denti, oppure da una forca dal lungo manico con denti in ferro. Quest'ultimo tipo era generalmente di moderna fabbricazione.
A. De Battista (2000, pp. 174-175) informa che, dopo il taglio, l'erba era rimasta in andana ed era necessario spargerla sul prato (#spantegåla#) con la forca fienaia a due denti (#furchèt#) o con quella a tre denti (#furcón#), la stessa che si utilizzava per caricare il fieno sul carro. Se il tempo era bello, l'erba tagliata al mattino veniva sparsa sul terreno verso le dieci e restava così fino al primo pomeriggio. A quel punto si andava a girare il fieno (#vultàl#) e lo si lasciava fino a sera. Quando si lavorava al primo taglio di maggio, in virtù della maggiore quantità di erba e del sole, l'essiccazione poteva richiedere anche tre giorni; in occasione del secondo taglio di agosto, poteva avvenire anche il giorno stesso del taglio. Alla sera, con un rastrello (#restèl#) i contadini riunivano l'erba in piccoli mucchi (#maregnöö#/ #möc'#/ #muntón#), che dovevano essere di dimensioni ridotte per evitare che l'erba non ancora secca fermentasse in modo improprio. Alla mattina verso le dieci, quando il sole aveva asciugato la cotica del prato, si andava a spargere nuovamente l'erba con la forca (#tra gió i maregnöö#). Durante la giornata si voltava ancora, finché il fieno non era ben essiccato. Determinante era l'andamento climatico e il nemico principale era naturalmente la pioggia. Incappare in un maggio troppo piovoso poteva significare compromettere la qualità del primo taglio e la perdita del fieno, che poteva anche marcire. Perciò, a ogni avvisaglia di pioggia, la famiglia correva a rastrellare e fare mucchi, anche più grandi del normale, per proteggere al meglio l'erba dalla pioggia. C'era però il rischio che l'erba, così ammucchiata, perdendo umidità cominciasse a scaldarsi e a fermentare (#bói#): per questo motivo, di tanto in tanto e approfittando dei momenti senza pioggia, si dovevano aprire i mucchi per far raffreddare l'erba (#fa sùra#) ed evitarne la fermentazione. Quando il fieno era abbastanza secco, lo si raccoglieva e lo si trasportava direttamente al fienile. A questa fase di lavoro partecipava tutta la famiglia, con una divisione del lavoro che vedeva di solito donne e bambini raccogliere il fieno con rastrello e la forca a due rebbi, mentre gli uomini a caricare il carretto (#carèt#) con la forca a tre rebbi, oppure a trasportare il raccolto a spalle, con la fraschera (#fraschéra#) o con la gerla (#gàbia#/ #bèrla#).
L'informatore Romeo Riva (2024) ritiene che il manico dell'oggetto sia realizzato in legno di castagno o nocciolo.
Fonti di documentazione: 2/ 3
Collocazione
Galbiate (LC), Museo Etnografico dell'Alta Brianza - MEAB
Credits
Compilazione: Capra, Michela (2024)
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/beni-etnoantropologici/schede/SWDO1-00049/
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