La memoria delle immagini. Disegnare l’indescrivibile

Gli artisti sopravvissuti, già al momento della liberazione dei campi di concentramento si erano impegnati in una forma di attività artistica, che era anche la raccolta delle testimonianze e dei reperti di ciò che si era appena consumato. La produzione sembrava essere sicuramente abbondante ma molto frammentata e il tema rappresentato, almeno fino a tutti gli anni Sessanta forse scontava anche l’indifferenza del grande pubblico. Il valore dell’arte come forma di testimonianza ma anche di resistenza civile, non fu subito riconosciuto, finché non venne accettata la narrazione pubblica di quanto accaduto nei campi.

La fotografia, lo ricordiamo qui, ha aiutato molto in questo percorso e ha assunto in quegli anni la natura di testimone. La sua funzione fu delineata fin dal momento della scoperta dell’esistenza dei Lager, quando venne utilizzata per costruire il repertorio di prove attraverso l’evidenza visiva. Furono usate fotografie nei processi contro i criminali nazisti a partire da Norimberga e poi nella rappresentazione pubblica della Shoah, esempio ne è il famoso “Album Auschwitz” (che testimonia della deportazione degli ebrei ungheresi nel 1944). Fondamentale in questa direzione fu il contributo di Albe e Lica Steiner.

Fig. 1.2 – Arrivo di ebrei. Fotografia tratta dall’ “Album Auschwitz” e riproduzione di un disegno di Lodovico Barbiano di Belgiojoso

Tornando alle opere prodotte dagli artisti nei lager, esse hanno, tuttavia, una peculiarità rispetto alla fotografia: dobbiamo tener presente che l’artista che dà ad esse una forma è sia vittima che autore all’interno dell’universo concentrazionario e questo le rende uniche e per molti aspetti eccezionali. Tutte, almeno le opere di cui si sa che sono state certamente realizzate durante la permanenza nei lager, sono create in un regime di massima costrizione, qualora i deportati/artisti fossero stati scoperti avrebbero perso la vita, anche solo nella ricerca dei materiali per poter disegnare.

L’altro aspetto da avere presente sono i temi raffigurati: ritratti o autoritratti, soggetti inanimati o paesaggi; paure o speranze; aspetti della vita quotidiana nei luoghi di prigionia; morte e cadaveri; caricature o opere astratte; talvolta anche lavori su commissione richiesti dalle guardie e dalle SS per i più svariati motivi, quindi come atto di volontà non propria, ma altrui. Certamente gli stessi elementi ritornano anche nelle opere prodotte a distanza di anni, quando il ricordo del lager affiora violento nella memoria dell’artista sopravvissuto.

Fig. 2.2 – Riproduzione del disegno di Corrado Cagli che documenta gli orrori del campo di concentramento di Buchenwald, alla cui liberazione prese parte insieme alle truppe alleate (campo liberato il 11 aprile 1945)

Come scrisse Primo Levi* tutti questi disegni hanno in sé “la forza cruda dell’occhio che ha visto e che trasmette la sua indignazione”. Il loro messaggio si pone a un livello profondo, che giunge là dove la parola “si rivela carente”.

(*Arturo Benvenuti, KZ. Disegni dai campi di concentramento nazifascisti. Arte come testimonianza, prefazione di Primo Levi, Treviso, Cassa di Risparmio della Marca Trevigiana, stampa 1983).

Seguono – nel menu a sinistra – gli approfondimenti sui cinque artisti: chi erano e cosa ci raccontano i loro disegni dei campi di sterminio nazisti.

Ultimo aggiornamento: 15 Settembre 2022 [Anna Grazia Pompa]