Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno
Ritornati in stazione e ripreso il treno verso Erba è possibile continuare l’itinerario esplorativo delle ville di delizia briantee scendendo a Cesano Maderno, dove si trova uno dei più bei palazzi seicenteschi di Lombardia. Percorrendo via Santo Stefano e via Giuseppe Ronzoni in direzione est per circa 300 metri, si gira a destra in via Borromeo dove, dopo 300 metri, si giunge a Palazzo Arese Borromeo .
Il palazzo fu edificato per desiderio di Bartolomeo III Arese nel secondo quarto del XVII secolo. Dopo la morte di Bartolomeo l’edificio pervenne in eredità alla figlia Giulia, che convolò a nozze con il conte Renato Borromeo, costituendo la famiglia Borromeo Arese alla quale il palazzo è debitrice del nome.
A Carlo IV Borromeo Arese è da ascrivere il primo significativo progetto decorativo di trasformazione, caratterizzato da un evidente linguaggio settecentesco. Al nipote Renato II, invece, è da attribuire il rinnovato interesse per le sale del palazzo, “ammodernizzate” in stile rococò.
Con il periodo della dominazione austriaca l’intero complesso architettonico cadde parzialmente in disuso e il palazzo fu trasformato in caserma. Dopo un periodo di disinteresse della famiglia Borromeo per il palazzo e il parco annesso, l’area a verde fu affittata con finalità agricole, mentre nelle strutture architettoniche vennero locati alcuni uffici comunali e la scuola.
All’inizio del XX secolo i proprietari diedero avvio ad un’attività di recupero del Palazzo che, tuttavia, non tornò mai agli antichi fasti.
Al termine del primo conflitto mondiale alcuni ambienti annessi al palazzo ospitarono famiglie profughe provenienti dal Veneto.
Dopo un rinnovato interessamento per il destino della nobile dimora di famiglia dimostrata dal conte Guido, la villa fu nuovamente abbandonata ed essa divenne oggetto di furti ed atti vandalici. Nel 1987 l’amministrazione pubblica acquistò il Palazzo e diede immediatamente avvio al restauro del parco e delle strutture architettoniche.
Oggi il Palazzo è adibito a sede di esposizioni temporanee e di eventi culturali ed è oggetto, nei fine settimana, di periodiche visite guidate.
La struttura architettura dell’edificio
Palazzo Arese Borromeo si presenta con un impianto planimetrico a corte chiusa e una serie di cortili di servizio di minore dimensione. All’edificio è anteposta una scenografica piazza a doppia esedra con elementi in cotto, pinnacoli decorativi in pietra artificiale, lesene e nicchie di ordine rustico. Attraverso un doppio porticato, la cui volumetria è dettata dalla sequenza di tre e sette crociere corrispondente alla tradizione dell’architettura nobiliare milanese, si accede alla corte nobile a forma quadrangolare, con i corpi di fabbrica dimensionalmente maggiori e riconoscibili per la semplice sequenza di aperture quasi simmetriche.
Ai fianchi minori due porticati si fronteggiano, sostenendo gli ambienti superiori occupati, ad occidente, dalle stanze di grande rappresentanza e, ad oriente, dall’appartamento del Conte Renato III e dalla loggia,.
Oltre l’ala settentrionale una sequenza di volumi architettonici segna la principale area di sevizio, in cui trovavano collocazione le cucine, e la zona del piccolo Ninfeo. L’ala meridionale, oltre alla Galleria delle statue situata nel piano nobile, ospitava il Cortile delle scuderie e l’Oratorio di San Pietro Martire con le relative dipendenze.
Alle spalle del Palazzo si estende il grande parco, che ospita numerose statue e fontane, oltre che alcuni esempi di “architetture da giardino”.
Alcuni aspetti artistici del palazzo
Tra i numerosi artisti che hanno lavorato a palazzo lasciando importanti testimonianze del loro operato si annoverano: Giuseppe Nuvolone, autore, tra l’altro, dell’affresco raffigurante La morte di Semele; il Montalto, che operò nella Sala del Ninfeo e nella Sala Aurora; Ercole Procaccini il Giovane, autore di numerose decorazioni a sfondo mitologico e di alcune scene del Salone da ballo; e Giovanni Ghisolfi, artefice di alcuni dipinti realizzati nel piano nobile.
Negli ambienti di rappresentanza del primo piano si possono ancora oggi ammirare significativi soffitti a volta, con cornici a stucco e medaglioni, e i maestosi affreschi fatti realizzare dai principali rappresentanti del classicismo milanese-lombardo. L’impianto generale mira, attraverso un complesso programma iconografico, a commemorare il potere, la saggezza e la genialità politica ed economica del casato, che trova il suo vertice espressivo nel Salone d’onore, emblematicamente denominato Salone dei “Fasti Romani”, in cui si ritrovano scene dipinte dai citati Ercole Procaccini il Giovane, il Montalto e Giovanni Ghisolfi.
Dalla loggia del corpo di fabbrica principale lo scenario che si offre al visitatore contemporaneo è quella di un elegante teatro naturale che funge da proscenio all’asse prospettico che un tempo collegava l’esedra antistante al palazzo con il Portale del Serraglio per proseguire nell’asse urbano principale di Cesano Maderno.
Tra le sale principali di Palazzo Arese Borromeo vi è la Sala Aurora con pitture di Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto (1608-1690) e Mattia Bortoloni (1695-1750)
Collocata al centro dell’edificio di massima rappresentanza, sotto la loggia scenografica dell’appartamento di Renato III, Sala Aurora costituisce il vertice di un articolato apparato iconografico che sapientemente unisce i temi della mitologia classica alla cultura biblico-giudaica e politico-sociale del Seicento.
La scena principale, posta al centro della volta, raffigura l’Apparizione del Carro solare all’Aurora. In essa il giovane Giulio Arese III è rappresentato con la fiaccola della conoscenza accesa, mentre Minerva lo orienta verso il carro di Apollo che governa una quadriga trainata da impetuosi cavalli bianchi, preceduta dalla figura di Aurora e da amorini danzanti. La pittura simboleggia la salda conoscenza e la grande saggezza raggiunta dalla famiglia Arese, che governa e amministra con sapienza perché fonda il suo operato sulla tradizione e sulla storia che la legittima e che conducono Cesano Maderno e lo Stato di Milano verso una nuova Aurora fertile e giocosa.
Il medaglione centrale è inserito in una decorazione in oro e corniciature azzurre di origine settecentesca attribuibile a Mattia Bortoloni, eseguita, probabilmente, per celebrare le nozze tra Renato III Arese Borromeo con Marianna Odescalchi (1743).
L’impianto decorativo unisce il tema classico dell’iconografia dei satiri danzanti agli amori delle divinità mitologiche. La decorazione costituisce dunque un ciclo che, dall’angolo nord orientale in senso orario comprendeva una serie di vele maggiori alternate a lunette di più modeste dimensioni, non tutte conservatisi fino a noi.
La sequenza delle vele comprendeva: Apollo e Dafne, Bacco e Ariana (scena quasi completamente scomparsa), e la raffigurazione di Eroti e la Capra Amaltea. La serie di lunette, invece, era composta dal Trionfo di Arianna (scena scomparsa), Diana e Atteone, Orfeo ed Euridice, Venere e Adone, Arianna e un erote, Trionfo di Galetea, Arione, Giove e Callisto, Pan e Siringa sorpresi da Apollo, Divinizzazione di Arianna.
Ninfeo
Nel ninfeo, invece, sono presenti pitture di Giuseppe Nuvolone (1619-1703), Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto (1608-1690) e Giovanni Ghisolfi (1623-1683). Esso è collocato sul fianco settentrionale della Corte Nobile e comprende la Galleria fatta a mosaico, la Saletta dei Bagni e la Sala del Cortile del Mosaico. Si tratta di ambienti riccamente decorati con pitture e con mosaici in acciottolato di fiume bianco e nero a motivo geometrico-floreale.
Nei secoli passati le sale dovevano comprende anche un ricco apparato scultoreo, di cui rimangono solamente le testimonianze documentarie e gli elementi basamentali.
Tra le parti più significative del Ninfeo vi è la Galarietta (sala 7) che presenta un’importante piccolo ciclo di affreschi realizzati nella volta da Giuseppe Nuvolone e Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto. Al primo è da ascrivere la scena raffigurante il Saggio che, recuperato il tempo con l’allontanamento delle passioni grazie alla Solitudine, si dedica alla Cultura.
Al Montalto, invece, sono da ascrivere la rappresentazione dell’Ingegno favorito dalla Quiete e la Carità moderata dalla Temperanza. Questa sala si pone, dunque, come luogo di mediazione tra i temi religiosi e quelli mitologici e come ambiente dai poliedrici impieghi: cenacolo umanistico, luogo di meditazione e spazio dello stupore, in cui mostrare ed esporre alcune opere collezionate dalla famiglia Arese Borromeo.
Il Ninfeo si pone anche come luogo di mediazione tra i volumi architettonici del Palazzo e gli ambienti naturali dei giardini, e si pone come fondamentale tappa di un lungo processo di definizione tipologico-architettonica non solo di matrice lombarda.
Nelle sale che compongono questa area del Palazzo troviamo anche un scenografico affresco parietale raffigurante un paesaggio bucolico. Si tratta di una decorazione che possiede evidenti riferimenti alla Bosareccia realizzata nel piano nobile e che può conseguentemente attribuirsi a Giovanni Ghisolfi. L’affresco seicentesco fu coperto nel corso del XVIII secolo, perché ritenuto di gusto obsoleto e non più confacente al programma estetico e iconografico al quale il palazzo doveva tendere.
All’ultimo quarto del XVII secolo risalgono le pitture del Salone d’Onore, dipinto da Ercole Procaccini il Giovane (1596 c.-1676 c.) e da Giovanni Ghisolfi (1623-1683). Posto sopra l’atrio di ingresso il Salone d’Onore a doppia altezza costituisce una delle maggiori espressioni artistiche presenti nel Palazzo.
L’intero volume è stato dipinto dal Ghisolfi, dai Marliani, dal Montalto e da Ercole Procaccini il Giovane e le partizioni decorative sono impostate in rispetto delle ampie aperture vetrate e della finta architettura dipinta. Il tema iconografico principale è la storia di Roma, idealmente connessa alla storia della famiglia Arese Borromeo e sormontata da una finta imponente balconata avvolgente, sulla quale parrebbe affacciarsi una moltitudine di persone, composta da dame di corte, musici e uomini incuriositi da quanto accade nella sala.
Gli affreschi sono suddivisi in quasi venti scene principali, costituite dal racconto di episodi emblematici della storia di Roma e dai personaggi simbolo della avvenimenti romani, in un elaborato costante richiamo alle caratteristiche morali, storiche e politiche della famiglia proprietaria del palazzo.
Due scene si impongono per intensità, dimensione e localizzazione. Entrambe sono poste al centro delle pareti minori, all’interno di analoghe incorniciature architettoniche. Sulla parete settentrionale il Montalto ha raffigurato Iulo Ascanio che abbandona Lavinio per fondare Alba Longa, mentre sulla parete meridionale vi è il Trionfo della Religione eseguito da Ercole Procaccini il Giovane.
Il ciclo di affreschi comprende numerose scene minori e raffigurazioni di imperatori e putti con le ali spezzate, in memoria dei tragici eventi accorsi alla casata.
Gli affreschi sono da inserire in un attento programma didascalico molto raffinato e colto che mira a sottolineare alcune necessità della società contemporanea e le qualità dei bravi governanti. Tra queste l’importanza del legame tra lo stato e la religione, la necessità di anteporre sempre il bene pubblico alle proprie passioni ed affetti, l’urgenza di amare la cultura, il bisogno della pace e l’importanza del Senato della Roma antica, chiara allusione all’importanza del Senato milanese, di cui Giulio e Bartolomeo Arese erano divenuti presidenti rispettivamente nel 1619 e nel 1660.
Il parco
Alle spalle del Palazzo si estende l’ampio parco privato, oggetto di un significativo intervento dell’amministrazione pubblica che lo ha acquisito ed aperto al pubblico come prima fese di un lungo processo di recupero del bene monumentale.
Complemento inscindibile dell’architettura, originariamente esso offriva al visitatore spettacolari giochi illusionistici di architetture e paesaggi, in alcuni casi “in stile boschereccio”, capace di instaurare con l’edificio nobiliare un interessante dialogo colto, oggi parzialmente non più leggibile.
Il progetto generale del parco è attribuito a Francesco Maria Castelli da Castel San Pietro, uomo di fiducia della famiglia Borromeo. A lui è da ascrivere anche il disegno del Casino, oggi denominato Tempietto del Fauno, della Fontana del Mascherone, della Voliera e del Serraglio con il relativo portale. Per accrescere l’imponenza monumentale e scenografica del parco in questo stesso periodo fu deciso di inserire numerose statue, collocate lungo il viale interno principale, e alcune sculture zoomorfe in ceppo.
Nella seconda metà del XVII secolo Carlo IV Borromeo Arese fece costruire la Roggia Borromea, con lo scopo principale di far giungere l’acqua all’interno del palazzo (Ninfeo) e di alimentare un mulino. Egli volle fosse abbattuto il muro che suddivideva in due porzioni il parco, aggiungendo, nel contempo, numerose nuove statue e riorganizzando la disposizione di quelle esistenti.
All’interno del Parco oggi si può ammirare la semplice ma significativa Fontana a gradoni, anch’essa voluta da Carlo IV, ornata da due sculture zoomorfe e dalle chiare reminescenze romane.
Poco distante dalla fontana si trova la coeva Peschiera o Vasca dei pesci rossi, oggi contornata da salici piangenti, ma un tempo decorata da sculture marine non più esistenti eseguite da Giovan Battista Rainaldi.
Ultimo aggiornamento: 13 Luglio 2017 [cm]