Passo del Mortirolo
da Mazzo di Valtellina (So) Giro d’Italia
Posto sulle Alpi Retiche, a 1852 metri sul livello del mare, il Passo del Mortirolo (o Passo della Foppa) collega la Valtellina, in provincia di Sondrio, alla Valcamonica, in provincia di Brescia, ed è raggiungibile attraverso una pluralità di percorsi: piccole strade locali, di origine consorziale o addirittura risalenti alla prima guerra mondiale, più simili a mulattiere di montagna, per sezione della carreggiata e pendenze, che non a usuali direttrici viarie. I percorsi originano dai centri abitati o da piccole frazioni collocati sul versante bresciano (Monno, Vezza d’Oglio, Lombro) e sul versante valtellinese (Mazzo di Valtellina, Tirano, Tovo di Sant’Agata, Stazzona, Grosio, Aprica).
Caratterizzato dal tipico paesaggio alpino di media e alta montagna, la zona del passo si configura come una conca ricca di aree boschive e di prati, impreziosita dalla presenza di un piccolo lago. Dal passo è possibile godere di notevoli scorci panoramici sulle aree del fondovalle, ma anche sui gruppi montuosi dell’Adamello, dell’Ortles e del Bernina. La ricettività turistica è garantita dalla presenza di un albergo attivo esclusivamente nel periodo estivo, da fine maggio a ottobre.
Il toponimo ‘Mortirolo’, più che al feroce scontro che in quest’area contrappose le truppe di Carlo Magno alle popolazioni locali nell’anno 773, è oggi legato, nell’immaginario collettivo, alla storia recente del grande ciclismo agonistico e, in particolare, alla storia del Giro d’Italia.
Il Mortirolo viene scalato per la prima volta dalla ‘corsa rosa’ nel 1990, in occasione della diciassettesima tappa (Moena-Aprica) disputata il 3 giugno. L’ascesa avviene dal versante camuno, lungo la strada che parte dall’abitato di Monno: 12,5 km di lunghezza, 960 metri di dislivello, con pendenze che raggiungono il 15 percento.
È l’ultima delle immaginifiche invenzioni di Vincenzo Torriani, storico patron del Giro: sulla carta sembra un’ascesa più agevole rispetto ad altri grandi passi scalati in precedenza, ma la realtà si rivela ben diversa. All’asprezza del tracciato in salita, dovuta alle pendenze e alle condizioni del fondo stradale, si aggiunge la difficoltà della discesa verso Mazzo di Valtellina: 11,6 km e un dislivello complessivo di 1286 metri, con pendenze massime che raggiungono il 20 percento. Sul passo transita per primo il giovane scalatore venezuelano Leonardo Sierra, che cadrà proprio in discesa, riuscendo però a salvarsi, a riprendere la corsa e a vincere così la tappa. Il giorno successivo, sul Corriere della Sera, il giornalista Marzio Breda scriverà un articolo significativamente intitolato “In picchiata verso l’orrido cercando di salvare la pelle”, in cui vengono riportate le parole di Cesare Sangalli, storico cartografo del Giro e collaboratore di Torriani: «difficoltà mai viste prima, nella storia del nostro ciclismo».
Per ridurre i pericoli in discesa e incrementare le difficoltà in salita, l’anno successivo la scalata al Mortirolo si svolge proprio dal versante di Mazzo di Valtellina, il 10 giugno 1991, nel corso della quindicesima tappa Morbegno-Aprica, poi vinta da Franco Chioccioli. È questa la salita al Mortirolo che diverrà ‘tradizionale’, perché percorsa regolarmente dal Giro d’Italia in molte edizioni degli anni successivi: 1994, 1996, 1997, 1999, 2004, 2006, 2008 e 2010.
Nel 2012 il Mortirolo viene affrontato dalla direttrice inedita di Tovo di Sant’Agata, che contempla un ‘muro’ in cemento con una pendenza del 22 percento; l’ascesa non prevede di arrivare al valico: dopo aver raggiunto il percorso tradizionale, a due chilometri dalla sommità, i corridori iniziano a scendere verso valle.
Nel 2015, in occasione della sedicesima tappa (Pinzolo-Aprica), disputata il 26 maggio, il Mortirolo torna a essere affrontato dal Giro d’Italia lungo l’usuale salita da Mazzo di Valtellina.
Pur essendo la ‘vetta’ ciclistica lombarda di più recente introduzione, entro le classiche tappe di montagna del Giro d’Italia, pur non avendo potuto ospitare le gesta dei campionissimi del periodo aureo del ciclismo italiano (Coppi, Bartali, ecc.), il Mortirolo ha assunto quasi immediatamente i caratteri tipici delle grandi salite storiche, in virtù delle difficoltà estreme proposte ai corridori, ma anche degli straordinari paesaggi attraversati e mostrati al pubblico televisivo dalle telecronache delle corse.
Un contributo rilevante alla costruzione del ‘mito’ del Mortirolo è dato nel 1994 da Marco Pantani, in occasione della quindicesima tappa del Giro (Merano-Aprica) disputata il 5 giugno. Il giovane Pantani, al secondo anno da professionista, si è rivelato al grande pubblico il giorno prima, vincendo la tappa Lienz-Merano: la sua prima prestigiosa vittoria da professionista. Gli esperti e gli addetti ai lavori sono da tempo consapevoli del suo potenziale agonistico, ma quasi nessuno si aspetta che possa ripetersi immediatamente. Invece, Pantani scatta sulle rampe del Mortirolo e fulmina gli avversari, chiudendo la giornata con una nuova vittoria di tappa. Il giorno successivo, sulla prima pagina de La Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò scriverà: «tu oscuro ragazzo sbucato da chissà dove hai inventato un nuovo Giro, stravolgendone le gerarchie della tecnica, dell’esperienza, della tradizione».
In memoria di quella grande impresa, nell’anno 2006, in prossimità del km 8 della salita (in località ‘Piaz de l’acqua’), attraverso l’apposizione di una scultura realizzata dall’artista Alberto Pasqual, il tornante n. 11 è stato trasformato in un monumento alla memoria di Marco Pantani, nel frattempo divenuto uno dei più grandi campioni del ciclismo mondiale e, poi, prematuramente scomparso in circostanze tragiche.
Ultimo aggiornamento: 14 Novembre 2016 [cm]