Dipinti da Venezia
Giunge da Venezia alla chiesa di Sant’Eusebio a Prata Camportaccio una tela raffigurante San Miro intercede presso la Madonna per un gruppo devoti , commissionata al pittore veneto Andrea Micheli, detto il Vicentino (Vicenza, 1542 circa – Venezia, 1617 circa), che in basso appone la sua firma. L’iscrizione “FRATERNITA(…) VENETA D. MILO D.D. “ attesta non solo che a commissionare l’opera furono gli emigrati di Prata in Laguna, ma anche che costoro si erano riuniti in una confraternita intitolata a san Miro. È infatti il santo eremita, nato a Canzo verso il 1306 e morto a Sorico nel 1381, a essere protagonista della scena, che lo vede rivolgersi direttamente alla Madonna per presentare un gruppo di devoti abbigliati in modo elegante e ricercato. L’ambientazione è resa suggestiva da un cupo paesaggio che digrada all’orizzonte attraverso prati, boschi e promontori, dove si distinguono due chiese.
Piace pensare che quelle chiese siano lì a indicare i paesi dove nacque e morì il santo e che il tema del dipinto sia un’invocazione per la pioggia. San Miro è infatti particolarmente venerato nella regione del Lago di Como contro la siccità e, in aree più localizzate, come santo protettore delle partorienti. Andrea Vicentino conferisce all’immagine con una forte carica devozionale nei modi che gli sono propri, giocati su una particolare dinamica compositiva, un vibrante chiaroscuro che risente di Tintoretto e formule tipologiche desunte da Veronese.
È ancora una rimessa degli emigranti il Battesimo di Gesù Cristo con Dio Padre, la Madonna del Carmine e il donatore Giovanni Orsini , pala dell’altare maggiore della chiesa di San Giovanni Battista a Dasile (frazione di Piuro) in Val Bregaglia. Lo si ricava dall’iscrizione “IOANNIS URSINI Q.M. IO: ANTONII MUNUS ANNO MDCXXVI” posta accanto al ritratto del donatore e dal fatto che quest’ultimo è un valchiavennasco arricchitosi a Venezia, grazie alla professione di luganeghero e ad attività finanziarie particolarmente redditizie.
Il chiaroscuro temperato, la tavolozza vaporosa e la fluida modellazione pittorica che in alcuni brani diventa sfrangiata, nonché le tipologie delle figure, eleganti nel loro patetico afflato, rimandano inequivocabilmente a Giovanni Segala (Murano, 1673 – Venezia, 1720), rappresentante di spicco della corrente neoveronesiana che nella Venezia a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo si sviluppò in alternativa alle drammatizzazioni luministiche dei cosiddetti tenebrosi.
L’iconografia del dipinto è particolarmente complessa, con il battesimo di Cristo posto, quasi in aggetto, nel primo piano di una composizione che accoglie anche la Madonna del Carmine, a cui verosimilmente fu devoto l’Orsini. Quest’ultimo, rappresentato con la curiosa soluzione di quadro nel quadro, manifesta l’abilità ritrattistica di Segala in grado di rendere in modo efficace la fisionomia del personaggio e di animarlo di forza introspettiva.
Un altro documento significativo della committenza di paesani memori delle loro radici è la bella tela raffigurante la Madonna con Cristo deposto sorretto da un angelo che oggi si ammira nel presbiterio dell’oratorio della Madonna Addolorata a Canete (frazione di Villa di Chiavenna). E’ un’opera del veronese Francesco Lorenzi (Mezzurega Fumane, 1720 – Verona, 1787), personalità prolifica e poliedrica nel panorama scaligero di secondo Settecento, attivo anche come disegnatore per ex-libris e volumi illustrati.
L’iconografia del dipinto è coerente con la dedicazione dell’oratorio. Il dolore evocato da Cristo morto, abbandonato sulle gambe di un angelo trova infatti piena corrispondenza nell’immagine mariana, interprete dolente della sofferenza del mondo e della croce che si manifesta in alto in un vortice di nubi. La portano paffuti angioletti, uno dei quali regge anche un cuore trafitto da una spada, simbolo per eccellenza della Mater dolorosa.
Ultimo aggiornamento: 6 Novembre 2020 [cm]