Dipinti da Roma
Una significativa testimonianza di opere giunte da Roma è la Sacra famiglia con Dio Padre di Giovanni Baglione collocata sull’altare della cappella di San Giuseppe in San Vincenzo a Gravedona.
Committente della pala, intorno alla fine del primo decennio del Seicento, fu probabilmente Giovanni Antonio Curti, appartenente alla nobile casata originaria di Gravedona in parte residente a Roma, dove vari suoi membri ottenne cariche amministrative e religiose di grande rilievo.
Per la cappella di famiglia nella chiesa del paese natale Giovanni Antonio scelse un pittore in voga nella Roma di primo Seicento, noto alle cronache per il processo di vilipendio intentato contro Caravaggio. A dire il vero il Merisi e il suo profondo naturalismo segnarono indelebilmente l’artista che a tutti gli effetti può essere considerato uno dei primi caravaggeschi. Lo dimostra anche la Sacra famiglia gravedonese, dove emerge anche un’impaginazione piuttosto rigida e statica di retaggio tardomanierista. Affiora pure un carattere squisitamente devozionale nella chiara e didascalica scelta compositiva con le figure dominanti della Madonna e di san Giuseppe che fiancheggiano Gesù sotto lo sguardo di Dio Padre.
Forse ancora per il tramite di un membro della famiglia Curti residente a Roma pervenne a Gravedona un’altra opera di Baglione. Si tratta dell’Immacolata con san Michele arcangelo e san Vincenzo dipinta nel 1637 per l’altare maggiore dell’oratorio del Santissimo Sacramento annesso alla parrocchiale. Qui il taglio è ancora più marcatamente devozionale: Maria, raffigurata nell’iconografia tipica dell’Immacolata, e san Vincenzo, con la veste diaconale, guardano al calice eucaristico mentre l’arcangelo è colto nell’atto di trafiggere satana.
Grazie al fenomeno delle rimesse degli emigranti opere di grande pregio sono pervenute a piccoli oratori di paesi defilati. E’ il caso della Lactatio sancti Bernardi con san Lorenzo, san Rocco e san Sebastiano di Giovan Francesco Romanelli (Viterbo, 1610 – 1662), attualmente esposta nel Museo Valtellinese di Storia e Arte di Sondrio, dov’è pervenuta in deposito dall’oratorio di San Bernardo a Scheneno, una località oggi disabitata sita nel comune di Ardenno. Si tratta di un dipinto di colta iconografia, volta a sottolineare la natura soprannaturale dell’oratoria di san Bernardo, attraverso l’immagine della Madonna che gli versa in bocca alcune gocce del suo latte. In questo caso il santo di Chiaravalle è accompagnato da san Lorenzo, in palese omaggio alla chiesa matrice di Ardenno, e dai santi Rocco e Sebastiano, in genere invocati a protezione del morbo pestilenziale. Costruita con uno studiato schema di diagonali sullo sfondo di un colonnato corinzio e siglata da una tavolozza particolarmente vivace negli accostamenti dei blu, dei gialli e dei rossi, l’opera tradisce i caratteri peculiari della piena maturità espressiva del Romanelli, che fu uno dei principali seguaci della corrente cortonesca, alla cui fortuna contribuì soprattutto la potente famiglia Barberini.
A volte i regali degli emigranti offrono l’unica testimonianza concreta di pittori noti solo a livello documentario. Nella chiesa di Santa Maria Nascente a Balzarro, piccola località del comune di Castione Andevenno, si trova una Madonna con Gesù Bambino, san Gregorio, sant’Antonio abate e sant’Antonio di Padova , la sola opera reperita di Filippo Bruni (Rieti, 1687 circa – ?) che la realizzò nel 1723, a spese dell’emigrato Pietro Gaggi. È un dipinto che collega direttamente Bruni all’indirizzo più ufficiale della pittura romana nei primi decenni del Settecento. Su una matrice classicista il pittore innesta spunti tratti dalla tradizione barocca romana (Pietro da Cortona in particolare) e richiami alla pittura contemporanea di Pier Leone Ghezzi e di Sebastiano Conca, coniugando il tutto con un linguaggio schietto, palpabile e cromaticamente levigato, in grado di assorbire alcune defiance formali.
Accanto al san Gregorio, avvolto in un piviale reso con un diligente esercizio descrittivo, vi sono le figura di sant’Antonio abate accompagnato dai consueti attributi del campanello, della tau cucita sul mantello e del fuoco e di sant’Antonio di Padova in abito francescano e con il giglio simbolo di purezza. Da notare, in basso a destra, lo stemma del committente.
Giunge in Valtellina da Roma, come dono degli emigranti, anche una bella tela con la Madonna incoronata tra san Pietro, san Paolo, san Leonardo, san Bonaventura e due figure depositata, negli anni sessanta del secolo scorso, presso il Museo di Sondrio dall’oratorio di San Bonaventura a Cataeggio (frazione di Val Masino). Reca l’iscrizione “BENEFATTORI DI CATTAEGGIO E FILORERA. IN ROMA P. LORO DEVOTIONE PALAZZETTIUS PINXIT N. 1748” che informa sul suo autore. Si tratta di Filippo Palazzeschi (1711- ?), pittore originario di Macerata che le fonti celebrano come un fedele interprete della “così rara, vaga e saporita maniera” di Francesco Trevisani. Nel segno di questo maestro istriano e della sua personalissima interpretazione del classicismo marattesco è la matrice figurativa della tela, siglata da pennellate fluide, da morbidi modellati, da un cromatismo vivace e abilmente contrastato nei passaggi chiaroscurali.
Le espressioni ingentilite, i gesti e le pose delicate suggeriscono una teatralità leziosa, all’interno di un’atmosfera soffusa, resa ancora più avvolgente dalla quinta architettonica sullo sfondo e dal disporsi delle figure attorno all’immagine mariana. Maria, posta su un piedistallo, allarga le braccia con un gesto che richiama la Madonna della Misericordia sotto la cui protezione si dispongono san Leonardo, con le catene che evocano la sua azione in favore dei carcerati, e san Bonaventura in veste francescana con il cappello che rimanda al titolo cardinalizio conferitogli da Gregorio X.
Ultimo aggiornamento: 5 Novembre 2020 [cm]