Le scatole dei suoni – la Collezione Cutrupi al Museo delle Industrie e del Lavoro Saronnese
Ci possono essere varie ragioni per cui una persona si trova a collezionare radio, riempendosene la casa con problemi di spazio e di rapporti familiari. Alcuni raccolgono anche per rivendere, altri dicono di volere mantenere in vita una cultura che altrimenti sparirebbe, altri ancora, oltre a ciò, hanno anche la passione di rendere funzionante qualcosa che non lo è da molto tempo. Ma come si inizia? Io ho iniziato cercando la radio di famiglia, comprata da mio padre nel 1936, che da piccolo avevo distrutto. L’ho trovata solo quest’anno e nel frattempo ne ho portate a casa altre duecento.
Domenico Cutrupi
La donazione di una preziosa collezione di radio d’epoca da parte dell’ing. Saverio Cutrupi, figlio del prof. Domenico, già insegnante di fisica presso i Licei di Novara che, spinto da una autentica passione per le radio, le ha raccolte per tutta una vita costituendo un ingente patrimonio, si aggiunge alla nutrita collezione museale Fimi-Phonola-Philips e di altre minori aziende del settore, tutte presenti ed operanti nel saronnese.
L’acquisizione della collezione ha richiesto la ricerca di nuovi spazi espositivi, che si sono individuati all’interno delle carrozze ferroviarie, che costituiscono un’originale collocazione.
Gli apparecchi radio coprono il periodo dalla fine degli anni Venti alla fine degli anni Cinquanta, quando inizia la ricezione in modulazione di frequenza, appaiono le prime transistor e le valvole si avviano al loro declino.
Nel periodo iniziale i ricevitori sono somiglianti più che altro ad apparecchi di laboratorio, con valvole e bobine bene in vista, e gli altri componenti – batterie, antenne, cuffie e altoparlanti – separati e collegati con un intrico di fili.
Quando la realizzazione dell’altoparlante permette l’ascolto collettivo, l’apparecchio radio diventa un vero e proprio mobile che si uniforma al gusto e allo stile dell’arredamento. L’attenzione dei produttori si focalizza nella produzione di mobili sempre più gradevoli, che racchiudono al loro interno tutte le parti che prima erano esterne. In accordo con la rapida evoluzione del gusto, nel giro di pochi anni i modelli passano dal barocco al liberty, all’Art Nouveau, al neoclassico. Col passar degli anni la radio acquista la funzione di un elettrodomestico e diventa anche oggetto di design.
Anni Venti
Sia in America che in Europa si installano stazioni trasmittenti di tecnologia evoluta che iniziano un servizio stabile di radiodiffusione circolare ‘broadcasting’ con trasmissione di notiziari, concerti, opere teatrali che suscitano un enorme interesse. Nel 1920 negli Stati Uniti nascono la KDKA della Westinghouse a Pittsburg e la RCA Radio Corporation of America. Nel 1921 in Francia si installa una trasmittente sulla cima della Tour Eiffel e l’anno successivo in Inghilterra nasce la famosa BBC British Broadcasting Company. In Italia, nel 1923 a Roma sono attive le prime stazioni, private, come Radio Araldo, Radiofono, Sirac. L’anno successivo vengono fuse in un unico Ente, l’URI Unione Radiofonica Italiana che inaugura le trasmissioni il 6 ottobre 1924 ed ha come prima famosissima annunciatrice Maria Luisa Boncompagni (madre di Gianni Boncompagni). Stazioni analoghe a quella di Roma furono installate nel 1925 a Milano e nel 1926 a Napoli. Nel 1925 l’URI inizia le pubblicazioni del Radio Orario, settimanale di programmi, corrispondenza con gli ascoltatori, pubblicità e proposte di concorsi a premio per aumentare il numero di abbonati alle radioaudizioni, che all’inizio erano molto scarsi. Nel 1930 il Radio Orario si chiamerà Radiocorriere. Il 15 gennaio 1928 nasce, soprattutto per problemi economici, un nuovo Ente concessionario delle radioaudizioni: l’EIAR Ente Italiano Audizioni Radiofoniche.
La radio è un oggetto molto costoso ed era considerata col rispetto per gli oggetti di lusso; per l’aspetto sembra però più un oggetto da laboratorio di Fisica che di uso casalingo. Può essere un apparecchio semplice come la famosa galena, che ha avuto una diffusione incredibile in uso fino al 1940, o un apparecchio più complicato magari formato da una base in legno, con tutti i componenti in vista, comprese le ingombranti batterie, oppure con valvole e bobine all’interno di una cassetta in legno pregiato, di fine fattura con intarsi, provvista di coperchio per accedere all’interno. Restano comunque all’esterno molti componenti: le batterie – se non c’era l’alimentatore da rete elettrica – l’antenna, la cuffia o l’altoparlante. L’altoparlante, detto altisonante, a collo di cigno fino circa il 1927, poi viene sostituito dai tipi a cono vibrante.
Il mobile è caratteristico della Philips: ha una struttura in ferro con i pannelli in philite, cartone pressato bachelizzato usato solo da questa ditta. Il coperchio superiore ha una serratura a chiavetta. La forma è la classica cassetta ma siamo nel 1929 e altre ditte avevano già superato questa tipologia, che la Philips ha mantenuto alcuni anni in più. L’altoparlante esterno è di marca Philips, modello 201.
Anni Trenta – dal 1930 al 1935
In molti paesi i costruttori cominciano a sostenere che la radio debba essere perfettamente inseribile nell’ambiente domestico, considerata un pezzo di arredamento. Il 1930 registra una svolta importante dal punto di vista tecnico ed estetico: tutti i componenti entrano in un mobile unico, molto curato, adatto ai salotti dell’epoca. I mobili a consolle e a cattedrale caratterizzano questo periodo, le radio non hanno più bisogno delle precedenti antenne ingombranti: i circuiti hanno raggiunto una sensibilità tale che bastano un paio di metri di filo di metallo, occultabile facilmente (tappetini, quadri, etc.).
Altra grande innovazione è il circuito supereterodina, cioè a conversione di frequenza, comparso già negli anni Venti, che diventerà lo standard di tutti gli apparecchi radio prodotti da qui in poi. L’utilizzo di questo circuito ha permesso la taratura della scala di sintonia in lunghezze d’onda e non più in semplici numeri, rendendo più semplice e intuitiva la selezione delle stazioni radio.
Anni Trenta – dal 1935 al 1940
Sempre nell’ottica di migliorare la leggibilità e intuitività di utilizzo, la grande novità di questi anni è la comparsa della scala parlante, comoda indicazione, su lastra di vetro retroilluminata, dei nomi delle stazioni trasmittenti.
Tra il 1935 e il 1940 lo sviluppo tecnico e commerciale è al massimo e il mercato è in evoluzione. La radio si dimostra più efficace del giornale e di ogni altro mezzo per raggiungere le famiglie. La frase ‘l’ha detto la radio’ diventa sinonimo di verità e di indiscutibilità della notizia.
Nel modello Philips si noti la scala parlante (e le manopole) posizionata in basso con indice ruotante, di selezione delle stazioni mentre l’altoparlante si trova in alto.
Anche questo apparecchio ha il mobile a sviluppo verticale e la scala parlante molto ampia, che facilita la lettura del nome delle stazioni. A differenza del modello precedente però l’indice scorre in orizzontale, l’altoparlante è in basso mentre la scala parlante e le manopole sono poste in alto. Si noti come in questo modello ora si possono ricevere anche le onde corte, suddivise, talvolta, in due o tre sottogamme.
Anni Quaranta
Ai grandi apparecchi radio da salotto l’industria affianca la produzione di piccoli ricevitori i mignon da tenere in cucina o sul comodino.
Le prime materie plastiche, commercializzate già durante gli anni Trenta, la caseina formaldeide o galalite, la bakelite, le resine ureiche, si dimostrarono adatte alla costruzione di questi piccoli mobili, data la libertà di poterle stampare facilmente, anche in forme inusuali e accattivanti. Fra tutte,la bakelite si impone come materiale migliore per le doti di inalterabilità estetica e meccanica. Usata dapprima come materiale sostitutivo del legno, imitandone colore e venature, diviene poi materiale pregiato di per sé. Le successive plastiche si rivelarono un fallimento estetico e di valore assai inferiore.
Il legno continua ad essere sempre presente nella costruzione dei mobili delle radio, soprattutto di quelli di dimensioni maggiori. Abbandonati i preziosismi di ebanisteria dei primi tempi si passa già dagli anni Trenta, a realizzazioni di fattura più industriale, con mobili più sobri impiallacciati in noce, mogano e radica e lucidati a gommalacca. Negli anni Quaranta il mobile, da verticale, diventa orizzontale con forme arrotondate. Le variazioni sono tante, ma la tipica radio con altoparlante a sinistra, grande, a volte molto grande, scala parlante a destra e manopole in basso è diventata, nell’immaginario collettivo, la ‘vera autentica radio di un tempo’.
Anni Cinquanta
Subito dopo la crisi, dovuta alla guerra, la produzione di apparecchi radio riprende con un livello qualitativo più basso per quel che riguarda rifiniture, materiali e tecnologie. In parecchi casi si utilizzano, in questi primi anni di ripresa, materiali avanzati nei magazzini.
In Italia sorgono associazioni fra le varie ditte per produrre modelli economici ma con standard di qualità concordati e soddisfacenti per l’utente medio. Si riprende a produrre contemporaneamente anche modelli di pregio.
La più famosa di queste associazioni di controllo di standard di qualità è la ‘Associazione Nazionale Industrie Elettriche che siglava i propri apparecchi ‘Radio ANIE’.
La novità si ha fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta quando la RAI (subentrata all’EIAR alla fine della guerra nel 1945) completa la rete per la trasmissione in modulazione di frequenza, che permette una ricezione più ‘pulita’ perché insensibile ai disturbi elettrici. Gli apparecchi radio posseggono ora, nel circuito, uno stadio in più, per poter ricevere queste trasmissioni. La tipologia della tipica ‘radio di casa’ diventa quella di un mobile più o meno squadrato, lucidissimo perché rifinito con vernici poliuretaniche, in cui compare un cambio gamma a tastiera che prevede oltre ai tasti per le gamme d’onda a modulazione di ampiezza, anche quello per la modulazione di frequenza. In genere, vi sono anche dei comandi per riprodurre al meglio alti, bassi, musica, voce.
Si inizia il cammino verso l’alta fedeltà, ma la vera rivoluzione di questi anni è l’avvento del transistor, che cambia per sempre il modo di produrre, disegnare e utilizzare la radio.
Gli apparecchi a valvole cercano allora di sopravvivere inventandosi miniaturizzazioni di valvole e compattamenti di circuiti in piccoli mobiletti, il più piccoli e leggeri possibile, ma la competizione era impari.
Con gli anni Sessanta la radio a transistor conquista tutti, decretando la fine dell’era delle valvole negli apparecchi di comune utilizzo.
Testo tratto da Le scatole dei suoni – I quaderni del museo n. 8.
Pubblicato: 30 Marzo 2021 [Rita Gigante]