La croce astile della chiesa di Sant’Eusebio
Il Museo del Tesoro di Chiavenna conserva una croce astile e due calici, preziose testimonianze del livello raggiunto da parte delle botteghe veneziane. Il manufatto più antico è una croce astile di proprietà della chiesa di Sant’Eusebio a Prata Camportaccio.
L’opera pervenne alla chiesa di San Carlo a Chiavenna quasi certamente come rimessa degli emigrati.
Appartenente alla tipologia da portare in processione, questa notevole croce presenta bracci decorati con motivi vegetali a sbalzo recanti terminazioni su cui sono applicate formelle figurate. Sul recto, si riconoscono la Madonna (in alto), Dio Padre benedicente (in basso), Santa Maria Maddalena (a sinistra) e San Giovanni Evangelista (a destra), mentre sul verso, gli Evangelisti con i loro attributi iconografici.
Sempre sul verso, all’intersezione dei bracci, vi è l’immagine della Madonna col Bambino. Il nodo reca quattro angioletti tra fiori e fogliami e, nel punto dove si inserisce il braccio verticale, vi sono due segmenti a cornucopia che sorreggono le statuette di Sant’Eusebio e di Sant’Agata.
Come recita l’iscrizione sul nodo, la croce giunse alla parrocchiale di Prata Camportaccio nel 1674, quale donativo di compaesani trasferitisi a Venezia in cerca di lavoro e fortuna.
Risale al 1690 il calice che il fabbriciere di Santa Maria in Borgonuovo a Chiavenna, Carlo Crollalanza, commissionò all’argentiere Giuseppe Garotti facendosi interprete dei chiavennaschi trasferitisi a Venezia.
L’opera presenta un ricco e serrato apparato di ornati in filigrana che sviluppano rosoncini stellati tra volute, intrecci e perle. Dalla nota documentaria reperita nell’Archivio Capitolare Laurenziano sappiamo che costò 304 lire milanesi, di cui oltre la metà pagate dal Crollalanza. Costui fu del resto un generoso sovvenzionatore delle chiese di Chiavenna e, in particolar misura, di quella di Santa Maria, che nel 1668 fece ingrandire e riqualificare a sue spese.
Al 1745 si data un altro calice, la cui provenienza veneziana è attestata dal punzone della Zecca di Venezia detto “Leone di San Marco in moleca”. L’opera pervenne alla chiesa di Loreto quasi certamente come rimessa degli emigrati nella città lagunare, dove i chiavennaschi si specializzarono soprattutto come “luganegheri”, ovvero venditori di carne.
Ultimo aggiornamento: 4 Settembre 2019 [cm]