La Madonna di Antonio Craus
La tela raffigura la Madonna così detta “del latte”, un’iconografia materna abbastanza ricorrente nell’arte sacra, volta soprattutto a sottolineare la natura umana di Gesù Cristo. Maria siede su alcune nuvole, attorniata da vivaci angioletti e illuminata da un fascio di luce proveniente dall’alto. A destra si trova san Vincenzo Ferreri (Valencia, 1350 – Vannes, 1419), tenace predicatore domenicano vissuto in un momento particolarmente drammatico per la Chiesa, divisa al suo interno dallo scontro fra papi e antipapi.
Il religioso indossa la veste del suo ordine, porta la tonsura, segno della consacrazione allo stato clericale, ed è dotato di ali che rimandano alle sue prediche così infuocate, da farlo sembrare l’angelo dell’Apocalisse. Con la mano destra indica il Cielo, mentre con la sinistra regge un libro su cui si legge il versetto dell’Apocalisse (14, 7) “Timete Deum et date illi honorem”.
A destra vi è san Gennaro (Napoli, seconda metà del III secolo), vescovo di Benevento e martire decapitato all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano. È raffigurato in abiti vescovili e con la mitra dorata, nell’atto di porgere a Gesù un’ampolla contenente il proprio sangue; il riferimento va naturalmente alla nota reliquia conservata nella cappella del Tesoro del Duomo di Napoli, oggetto, almeno dal 1389, del fenomeno della liquefazione.
Come recita l’iscrizione “Antonius Craus 1743 ex devotione fra.sci Antonij Tognini” apposta sulla tela, il dipinto è da ricondurre a un dono offerto nel 1743 alla chiesa di San Fedele di Chiavenna da Francesco Antonio Tognini che rivestiva il ruolo di fabbriciere. Questo incarico ha indotto a pensare che l’opera, giunta in museo dalla chiesa di San Bartolomeo, fosse in origine destinata a quella chiesa.
Problematica è la questione attributiva, dato che l’ipotesi di identificare l’Antonio Craus dell’iscrizione con il pittore tedesco Anton Franz Kraus non trova conferme stilistiche.
Il linguaggio della nostra tela tradisce una cultura marcatamente napoletana, ponendosi a pieno titolo nel solco dell’eredità di Francesco Solimena portata avanti fino a Settecento inoltrato da allievi e seguaci.
Purtroppo non è noto agli studi alcun pittore dal nome Antonio Craus e nessuno degli allievi o seguaci di Solimena citati dalle fonti porta il suo nome. È tuttavia lecito pensare ad un pittore tedesco formatosi e attivo nella città partenopea, che per altro, tra Sei e Settecento, fu meta di un buon numero di pittori di origine germanica.
Tognini, stabile a Chiavenna, avrebbe condiviso la commissione della tela con i suoi compaesani emigrati a Napoli, forse cofinanziandone in percentuale maggiore la realizzazione; troverebbe così ragion d’essere il contenuto dell’iscrizione, visibilmente apposta dopo l’arrivo della tela a Chiavenna.
Ultimo aggiornamento: 15 Maggio 2020 [cm]