Comunicazione per immagini. La fotografia come icona dell’orrore

Campo di concentramento di Ohrdruf subito dopo la liberazione. Il generale Eisenhower con i generali Bradley e Patton osservano i resti carbonizzati dei prigionieri bruciati su una sezione del binario ferroviario durante l'evacuazione del campo. Germania, Ohrdurf, 12 aprile 1945 Fotografia scattata da U.S. Signal Corps photographers

Il generale Eisenhower con i generali Bradley e Patton osservano i resti carbonizzati dei prigionieri bruciati su una sezione del binario ferroviario durante l’evacuazione del campo di concentramento di Ohrdruf ( link scheda alla scheda)

All’apertura dei campi gli Alleati si trovarono di fronte a qualcosa che andava oltre ogni possibile immaginazione, allo shock di uno scempio indicibile. Ricorsero quasi subito all’immagine, per poter cercare di comunicare quello che le sole parole non potevano raccontare: furono la fotografia, i filmati a mostrare per la prima volta, perché non si sapeva dire ciò che non si poteva dire. Vedere fu una prima forma di conoscenza.
Dall’aprile 1945 la presa di coscienza collettiva dei campi fu quindi di tipo emotivo, le immagini che circolavano divennero in maniera indistinta icone dell’orrore, generando non solo un senso di smarrimento in chi le guardava, ma anche una serie di storici fraintendimenti. Nell’orrore generale, per esempio, si persero di vista le differenze tra campo e campo e con esse le diverse storie di deportazione.

Cumuli di cadaveri rinvenuti dagli Alleati all’interno dei campi di concentramento (link scheda 1, link scheda 2, link scheda 3)

 

 

Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre 2020 [cm]