I campi di smistamento, di concentramento e di sterminio in Italia
L’entrata dell’Italia in guerra comportò misure sempre più restrittive per ogni individuo, italiano o di altra nazionalità, ritenuto pericoloso. Il 4 settembre 1940 Mussolini firmò un decreto legge (Decreto 4.9.1940) in base al quale furono istituiti i primi campi di concentramento per gli stranieri presenti sul suolo italiano e provenienti da paesi nemici. In questa categoria rientravano anche gli ebrei provenienti da paesi alleati come la Germania, definiti comunque «ebrei stranieri». Furono colpiti dal decreto del 4 settembre 1940 anche i civili «pericolosi», catturati durante le campagne militari, come avvenne di lì a poco con l’occupazione italiana della penisola balcanica.
Tornando all’internamento dei civili, va precisato che le prefetture iniziarono già alla fine degli anni Venti a compilare schedari con i nominativi dei sospetti da arrestare «in determinate contingenze», come in caso di guerra. Tali schedari si arricchirono nel 1938 col censimento degli ebrei stranieri.
Con la guerra, entrarono in funzione in Italia due tipi di campi, entrambi definiti ufficialmente come «di concentramento»:
– quelli sottoposti al ministero dell’Interno, destinati agli internati civili di guerra;
– quelli di pertinenza del regio esercito, che interessavano quasi esclusivamente deportati civili jugoslavi e, poi, prigionieri di guerra.
Il più grande era situato a Gonars, in provincia di Udine, e arrivò ad ospitare circa cinquemila civili. Il campo più noto, posto in territorio di occupazione, è invece quello di Rab (Arbe) in Croazia. Tra il 1942 e 1943 vi morirono circa mille e cinquecento internati. Altro campo italiano in territorio estero, fu quello di Larissa, in Grecia.
I campi di internamento e concentramento dell’Italia meridionale – il principale sorgeva a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza – furono chiusi nei mesi precedenti lo sbarco alleato e progressivamente con l’avanzata delle truppe anglo-americane. Talvolta le strutture furono riutilizzate per la detenzione dei prigionieri fatti dall’esercito liberatore.
Al centro-nord, invece, la nascita della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione tedesca favorirono il sistema concentrazionario e la successiva deportazione dei detenuti nei campi di sterminio in Europa.
I cosiddetti campi di smistamento in Italia, anticamera dei lager europei, sono stati quattro: Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Fossoli (Modena), Grosseto e Bolzano-Gries.
Dopo l’occupazione nazista della Venezia Giulia, che divenne territorio del Reich, è stato creato a Trieste l’unico campo di sterminio operante italiano, la Risiera di San Sabba, oggi monumento nazionale.
In minuscole celle venivano stipate le vittime delle razzie, partigiani, antifascisti italiani e sloveni, ostaggi, ebrei, talvolta intere famiglie. I prigionieri erano uccisi individualmente o assassinati con i gas di scarico di camion appositamente allestiti. I loro corpi erano bruciati nel forno crematorio e le ceneri buttate in mare. Circa cinquemila furono i morti, mentre altri venticinquemila furono avviati ai campi di sterminio in Europa.
Il 29 aprile 1945 reparti partigiani jugoslavi liberarono i pochi superstiti; i nazisti prima di abbandonare la Risiera fecero saltare con esplosivo l’edificio del forno crematorio.
Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre 2020 [cm]