Le deportazioni dall’Italia
Dopo l’8 settembre 1943, le forze di occupazione tedesca deportarono dall’Italia oltre ventimila persone per la loro opposizione al nazi-fascismo. Tra loro erano antifascisti, partigiani, scioperanti, membri attivi della Resistenza, ostaggi prelevati al posto del familiare partigiano, ma anche renitenti alla leva, militari fascisti disertori, detenuti comuni, militari italiani sotto processo, chi aveva aiutato gli ebrei. Lo sterminio dei deportati politici era condotto prevalentemente mediante lo sfinimento con insostenibili condizioni di lavoro.
A questi si devono aggiungere i circa ottomila deportati razziali italiani (quasi tutti ebrei), che furono condotti a morire prevalentemente ad Auschwitz, mediante l’eliminazione nella camera a gas. Se ne salvò circa il 10%.
Vi furono inoltre circa seicentomila militari italiani, che rifiutarono di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e di combattere a fianco dei tedeschi, e che furono, quando non passati per le armi, costretti a vivere in campi di internamento in condizioni di lavoro forzato e di schiavitù. Sono ricordati come gli IMI, Internati Militari Italiani. Le loro condizioni, spesso meno gravose di quelle dei deportati perché non sottoposti a una strategia sistematica di eliminazione (potevano per esempio inviare lettere a casa), erano comunque disumane e spesso di costrizione a subire angherie e violenze, al punto che ne morirono circa settantamila.
Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre 2020 [cm]