Le immagini come documento storico

Prigionieri sopravvissuti nel campo di concentramento di Mauthausen danno il benvenuto all’arrivo delle truppe americane. Secondo P. Serge Choumoff, storico e sopravvissuto a Mauthausen, questo evento è stato ricreato il giorno dopo l’effettiva liberazione (5 maggio 1945), su richiesta del generale Eisenhower

Prigionieri sopravvissuti nel campo di concentramento di Mauthausen danno il benvenuto all’arrivo delle truppe americane. Secondo P. Serge Choumoff, storico e sopravvissuto a Mauthausen, questo evento è stato ricreato il giorno dopo l’effettiva liberazione (5 maggio 1945), su richiesta del generale Eisenhower (link alla scheda)

Attraverso le immagini che ci hanno raccontato la storia, costruendo un immaginario collettivo, abbiamo elaborato nel tempo la memoria della deportazione. Questo strumento di comunicazione non deve, tuttavia, diventare univoco, col rischio di irrigidire la memoria in stereotipi, deve invece aiutarci a scrivere la storia, dialogando con ogni altra fonte.

Come sostiene G. Didi-Huberman, «L’immagine funziona sempre – almeno nell’esperienza che ne ho e che risponde, naturalmente, a una scelta, a una propensione per un certo tipo di immagini – in maniera doppia, dialettica o duplice. La stessa immagine ci mostra qualcosa e ci nasconde qualcos’altro allo stesso tempo. Qui essa rivela e la ripiega. Essa porta una certa verità e apporta una certa finzione. […] Occorre, sebbene non sia sufficiente, spiegare le immagini. Si deve anche comprendere in cosa ci riguardano, ci guardano, ci coinvolgono».

<strong>1.</strong> Donne, uomini e bambini ebrei arrestati dalle SS durante la rivolta del ghetto di Varsavia <strong>(<a href="https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-o9010-0000691/?view=ricerca&amp;offset=2"><strong>li</strong>nk alla scheda</a>)</strong>  <strong>2. </strong>Deportati ebrei dall’Ungheria appena arrivati con i vagoni bestiame sulla banchina del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau vengono smistati dalle SS <strong><a href="https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-o9010-0000530/?view=ricerca&amp;offset=65">(link alla scheda)</a></strong>  <strong>3.</strong> Donne ebree deportate nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, giudicate idonee al lavoro, rapate e in divisa. <strong><a href="https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-o9010-0000554/?view=ricerca&amp;offset=70">(link alla scheda)</a></strong>  <strong>4.</strong> Prigioniero politico scheletrito sopravvissuto nel campo di concentramento di Sandbostel <a href="https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-o9010-0000570/?view=ricerca&amp;offset=0"><strong>(link alla scheda)</strong></a>  <strong>5.</strong> Gambe di una donna seduta su una sedia: la gamba destra presenta un’incisione e una grossa cicatrice. La donna probabilmente è Wladislawa Karolewska, testimone durante il processo di Norimberga ai medici nazisti (dicembre 1946-agosto 1947) <a href="https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-o9010-0000052/?view=ricerca&amp;offset=2"><strong>(link alla scheda)</strong></a>

1. (link alla scheda) Donne, uomini e bambini ebrei arrestati dalle SS durante la rivolta del ghetto di Varsavia   2(link alla scheda) Deportati ebrei dall’Ungheria appena arrivati con i vagoni bestiame sulla banchina del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau vengono smistati dalle SS)  3. (link alla scheda)  Donne ebree deportate nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, giudicate idonee al lavoro, rapate e in divisa. 4. (link alla scheda) Prigioniero politico scheletrito sopravvissuto nel campo di concentramento di Sandbostel 5. (link alla scheda) Gambe di una donna sopravvissuta nel campo di concentramento di Ravensbrück dove si facevano esperimenti medici su tessuti muscolari, ossa e nervi dei detenuti.

Queste immagini circolarono ampiamente durante i processi ai criminali di guerra. Anche grazie all’Aned, a partire dalla mostra sulla deportazione tenuta a Verona nel 1957, le immagini furono sistematicamente raccolte, mediante la ricognizione delle stesse in archivi stranieri, e fatte circolare in varie esposizioni e pubblicazioni, divenendo così patrimonio comune. A questo lavoro di raccolta (tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta) e di conservazione sono strettamente collegate le personalità di Albe Steiner e di sua moglie Lica, che collaborarono fin da subito alle iniziative dell’Aned. Scopo della loro ricerca era recuperare immagini e documenti da usare in mostre, volumi e convegni, che mantenessero viva la memoria dell’esperienza concentrazionaria. «Le immagini erano per Albe e Lica Steiner materiali preziosi, da non disperdere, perché, “un giorno”, scomparsi i testimoni, qualcuno avrebbe certamente tentato di negare la storia” […] Albe e Lica ritenevano che documentare e comunicare fossero inscindibili. Quanto più la documentazione è importante, tanto più è necessario studiarne le modalità comunicative, che devono favorire la leggibilità e la comprensione, corrispondere ad una “concezione non retorica” della documentazione, per indurre a riflettere: “Pensaci, uomo!”» (Pensaci, uomo!, a cura di Piero Caleffi e Albe Steiner, Feltrinelli, 1960).

Copertina del volume “Pensaci uomo!” di Piero Caleffi e Albe Steiner. Feltrinelli, 1960

Copertina del volume “Pensaci uomo!” di Piero Caleffi e Albe Steiner. Feltrinelli, 1960

Albe Steiner e Piero Caleffi usarono questa fotografia per la copertina del libro Pensaci, uomo!, che è un viaggio nella memoria della deportazione attraverso le immagini. L’impaginazione, i brevi capitoli, il repertorio fotografico, sono per quegli anni una proposta potentemente drammatica e innovativa: ci danno conto, obbligandoci a riflettere, del funzionamento dell’organizzazione della macchina della morte.
Le fotografie selezionate da Albe Steiner sono state il frutto della sua continua ricerca di massima chiarezza e leggibilità del linguaggio visivo, sostenitore quale era della necessità di una relazione tra l’arte e l’impegno politico e sociale.
La storia di «quel bambino» e di «quella foto», la possiamo leggere nel libro Dan Porat, Il bambino. Varsavia 1943 fuga impossibile dall’orrore nazista, Rizzoli, 2013.

 

Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre 2020 [cm]