La tecnica di Hayez attraverso le fonti
Lorenzo Marcucci nel suo Saggio analitico chimico sopra i colori minerali, pubblicato a Roma nel 1813, istituiva un nesso fondamentale tra la chimica e arte, all’avvio di un secolo nel quale si scoprono, si diversificano, si moltiplicano i materiali per la pittura grazie all’intensificarsi dei progressi delle scienze chimiche. L’elenco dettagliato di tutti i pigmenti disponibili redatto da Marcucci costituisce un fondamentale punto d’avvio per gli studi sulle tecniche artistiche dell’Ottocento.
Diverse fonti attestano l’interesse degli artisti verso i nuovi materiali resi improvvisamente disponibili: il diario del pittore danese Eckersberg registra l’acquisto di un’oncia di giallo di cromo a Roma nel 1815, mentre nel 1826 il chimico padovano Giordano Melandri Contessi riporta la notizia che il pittore Giovanni De Min – amico e collega di Hayez – avrebbe sperimentato il giallo di cadmio con grande soddisfazione.
Nel 1827 il verde di cobalto, gli arancioni e i gialli di cromo furono presentati all’esposizione industriale di Venezia.
Non stupisce, tuttavia, che Francesco Hayez si sia accostato ai colori di sintesi con grande cautela: impiegava largamente il blu di Prussia – scoperto nel 1704 e quindi già ampiamente testato dai pittori – ma sperimenta il nuovissimo blu di cobalto solo a partire dalla fine degli anni venti dell’Ottocento e limitatamente a piccole campiture.
Le ragioni di queste scelte sono comprensibili solo se poste in relazione a due aspetti: la lenta diffusione e commercializzazione dei nuovi prodotti e l’esigenza di garantire la stabilità e la qualità dei colori delle opere destinate ai più importanti committenti dell’epoca: dall’Imperatore Ferdinando I, ai maggiori collezionisti stranieri, fino ai più eminenti rappresentanti della nobiltà lombarda.
Il trattato di pittura di Donato del Vecchio, pubblicato nel 1842, non riserva molto spazio ai nuovi pigmenti, alcuni dei quali sono registrati con puntualità nell’inventario della bottega di Angelo Mattei, venditore di colori a Roma. Anche a Milano, dove Hayez si trasferì dal 1820, la situazione sembra attestarsi su una scarsa vitalità dei settori della produzione e commercializzazione dei materiali per artisti: nel 1823 la guida di Milano riporta un solo venditore di colori, il pittore Amos Grancini, affiancato da altre figure professionali (produttori, commercianti, droghieri) solo verso la metà degli anni trenta.
Per comprendere le scelte tecniche di Hayez occorre riflettere sull’attenzione nella selezione di materiali che gli garantissero il massimo della brillantezza, della qualità e della stabilità. Nel 1856 Pietro Selvatico, all’epoca potente presidente dell’Accademia di Venezia, lamentava che “molti dei dipinti moderni appaiono oscurati e ingialliti perché i pittori dipingono con i colori spacciati dai trafficanti senza darsi cura di sapere come tali colori siano composti”.
In questa tensione tra recupero della tradizione ed esigenza di rinnovamento si inscrive l’affermazione professionale di Hayez, orgoglioso del suo ruolo di pittore, probabilmente il più grande della propria epoca.
Per approfondimenti: La tavolozza di Francesco Hayez, a cura di E. Lissoni e L. Rampazzi, con un’introduzione di F. Mazzocca, Scalpendi, Milano 2015
Ultimo aggiornamento: 17 Giugno 2016 [cm]