Archivio del Comune di Bormio, Quaterni inquisitionum foglio autografo di Vasino Morcelli 28 febbraio 6 maggio 1633
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- Persone
- Domenica Pradella di Semogo, detta Castelera
- Procedimento giudiziario
- Inchiesta su Domenica Pradella di Semogo, detta Castelera, per stregoneria (7 novembre 1630 - 16 maggio 1632; 3 - 21 febbraio 1632; ...; 28 febbraio - 6 maggio 1633; 12 maggio 1632; 25 giugno ...)
La vicenda giudiziaria che vide protagonista Domenica Pradella è tra quelle più travagliate per coloro che in quegli anni sedevano in tribunale come giudici. La donna infatti fu rilasciata in un primo momento in quanto gravida e, quando si riaprì il procedimento dopo il parto, bisognò fare i conti con la Curia episcopale di Como che, in quel difficile frangente storico, contribuì non poco ad arginare gli eccidi delle streghe, anche perché il contrasto giurisdizionale per la competenza del tribunale a giudicare coloro che avevano peccato soprattutto contro Dio creava un terreno favorevole all'insediamento, allora molto contrastato dai maggiorenti bormini, del tribunale della Santa Inquisizione.
Domenica riuscì a scampare al tragico epilogo, che invece toccò a molti altri sventurati, accusati dello stesso reato, e la sua salvezza dovette essere vissuta dai giudici come un grande scorno in quanto, come racconta un testimone «lei e[ra] tenuta da tutto il popolo per tale (ossia strega) et era più mormorata che niuno di quelli sono statti giusticiati». Maria di Colombano Guerrini di Isolaccia ribadisce nella sua deposizione: «Quando dissero la messa nova del reverendo prete Nicolò Quadrio, io fui accanto la finestra della prigione di detta Domenica, et parlandogli gli dissi: Comare, se voi non sete stria, hanno fatto torto alla metà. Lei era piccolina piccolina, et era in concetto di esser stria sino allhora, et gli dicevano la striattola di quelli di Pradella».
Copia.
[1°] Sia interrogato Vasin Morzello se sua moglie Christina habbi partorito figlioli doppo l'anno 1625 et se avanti detto anno si sia lamentata del principio di quella infirmità, della quale è morta.
2° Se lui, o sua moglie habbin havuto cattiva cretta ad altre che a detta Castelera per quella sua infirmità.
3° Et deve dichiararsi se doppo il principio della malatia ha partorito una volta, o due.
Io Vasin Morzello rispondo così per mio sapere.
[1°] Che doppo l'anno 1625 mia moglie Cristina à partorito una volta. Di più di questa non so, né sì, né no. Et avanti l'anno 1625 non mi ricordo che lei si [sia] lamentata di quella infirmità della quale è morta. Ben mi pare ricordarmi che dicesse li era restato il corpo un pocho più grando del solito.
2° In quanto a me, per quello mi ricordo, non ho havuto cativa cretta ad altra, né per quello so de mia moglie, che a detta Castelera per quella infirmità.
3° Non posso dichiararmi altro, perché non so quando si principiasse la sua infirmità, né so in che tempo abia partorito li altri figlioli, se non quello sopra nominato. Et mi è venuto in memoria, perché in quello tempo cominciai ad adoperare medici et medicine.
Die sabathi 28 mensis februarii 1633.
Coram regente Grosino citatus per N[icolò] R[ampa] comparuit in stupha domus mei cancellarii, Vasinus Maiolus, filius quondam Baldassaris Lanfranchi de Semogo, etatis sue annorum 40 et ultra, cui delato juramento veritatis dicende, prout tactis juravit, dixit et deposuit ut sequitur.
I. de voce et fama dicte Dominice.
R. Di voce et fama di detta Domenica non posso dire altro, solo che è strega, perché appresso tutto il popolo è tenuta per tale sin avanti che si maritasse. Et lo so massime che, trattando alcuni che io dovessi tuorla per moglie, mio padre per tal causa mi disse che più presto mi voleva strozare il collo.
I. da chi habbi inteso che lei sia in tal concetto così publicamente.
R. Tutto il popolo lo dice. Et sono circa 30 anni che intesi dalli pecorari di Dosdé, chiamati li Silvestri, che tenevano che lei fosse una strega delle fine, che venevan li lupi a magnargli l'agnelli et che li cani non potevano baiare contro, et che tenevano che fosse detta Domenica, loro vicina. Et ne contavano molte, ma io non me le son tenute a memoria. D'altri pecorari, et credo dal Funisello, li quali havevano compagnia in Zembrasca, (1) ove ho i miei luochi, (2) ho inteso ancora che li venevano magnati li agnelli, et che havevano visto cattivi atti in lei, et che tenevano che fosse una delle fine, la quale con altre andasse a magnargli gli agnelli.
Ho inteso ancora da Cristina, moglie di Vasin Morzello, che essendo statta a dormire con detta Domenica in Dosdé, con occasione che vi andò a pesare il latte delle sue vacche, che da quella parte che era verso detta Domenica concepì una malatia con la quale ritornò a casa, et per la quale morse. Et diceva che prima stava bene, né mai si era sentita tal cosa.
I. se sa da chi particularmente habbi inteso tal diffamatione publica.
R. Lo ho sentito da tutti che, se vi era strega nella contrada, quella era una delle fine. Et così è notorio, et perché tutti lo dicevano, non mi son curato tenerne memoria particulare.
Et monitus, recte.
Die ***.
Coram illustribus dominis pretore et regentibus citatus comparuit excellentissimus phisicus et medicine doctor ser Joachimus Imeldus de Burmio.
Qui interrogatus se esso medicò Christina, moglie di Vasin Morzello, nella sua infirmità, et di che creda che procedesse quella grandezza di corpo, per la quale morse. Et delato illi juramento pro veritate dicenda.
R. Io la visitai in quella sua infirmità, et tengo che fosse una mola, cioè carne inanimata, quale crebbe a quella maniera, et per tale male io la medicai, se bene da quello morse.
Die jovis 6 mensis maii.
Reverendus dominus Sebastianus Raisonus de licentia admodum reverendi domini archipresbiteris et vicarii [foranei], visa instantia procurationis dicte Castelere facta in scriptis ut ante, se è vero che sentendosi detta Domenica improperata, ricorreva da lui per conseglio se dovesse ricorrere dalla Raggione, et che consiglio gli desse.
Et fuit interrogatus ancora di quanto sappi et habbi altrimenti inteso a favore di questa supposta rea.
Deposuit sponte se nihil scire prorsus in omnibus. Et sic.
(1) Sgembrésc'ca tra Val Viòla, Valécia e Livigno, nell'Inventarium del 1553 Zembrascha (Longa 315). Un altro Sgembrèsc'ca è segnalato in Valfurva, oltre Sant'Antonio, negli Statuti boschivi Zembrascha (Longa 303). Valgono "bosco di cembri", da *gĭmbĕrus / *kimru- "pino cembro" (REW 3764a), entrambi con suff. di provenienza prelat. -asca.
(2) Borm. ant. löch "luogo, terra, paese", qui "proprietà, tenuta, podere", i méi löch "i miei fondi, le mie terre" (Longa 131), lat. lŏcus nelle varie accezioni (REW 5097).
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