Archivio del Comune di Bormio, Quaterni inquisitionum sorte invernale 1630-31 18 19 21 22 23 26 novembre 3 dicembre 1630
- Persone
- Giacomina Motta di Semogo, detta Mottisella
- Procedimento giudiziario
- Inchiesta su Giacomina Motta di Semogo, detta Mottisella, per stregoneria (18 novembre - 3 dicembre 1630; 2 gennaio 1631; 27 maggio 1644; ...)
Figlia di Domenica Mottisella, sottoposta a due processi per stregoneria, rispettivamente nel 1601 e nel 1608, denuncia di aver iniziato come strega la figlia Maria, la quale, interrogata dai giudici, conferma di essere stata al barilotto con il demonio.
Fu giustiziata il 30 novembre 1630. La figlia fu affidata in tutela.
Laus Deo.
Processus contra Jacobinam Mottisellam, filiam quondam Vitalis Abundii de Pedrot de Semogo, maleficam suspectam et denunciatam per Dominicam, dictam la Chieriga, carceratam et maleficam convictam, formatus per admodum illustre concilium Burmii, sub pretura illustris domini Jasonis Foliani, exsistentibus regentibus domino Gervasio Grosino et domino Joannino Nesina.
Mottisella.
Die lune 18 novembris 1630.
Coram dominis pretore et regentibus citata comparuit Magdalena, filia Laurentii Lanfranchi de Semogo.
Et interogata.
R. Domenica passata, 8 giorni fa, essendo a messa, Domenica Mottisella, parlando delle donne condotte fuori per strie, disse: O, i dissero che voglion menarne fuori ancora delle altre. Io dissi: Guardate che non vi conduchino fuori ancora voi. E lei disse: O Jesus!
I. de voce et fama.
R. Viene publicamente mormorata assai.
[I.] super generalibus, recte [respondit].
Iuravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Vitalis, filius Francisci di Drei.
Et interogatus.
R. Lei Giacomina è mormorata un pezzo fa per strega, et il reverendo padre Martino, (1) altre volte nostro curato, disse a mia madre che dovesse guardarsi dalla detta Giacomina et farla star fuori di casa, perché era stria.
Ritrovandosi otto giorni sono in casa di Bertol di Christofenin molti di noi, ove era detta Giacomina, fossimo d'accordio di fare una burla per vedere se detta Giacomina haveva paura. Et così uscissimo fuori duoi di noi, et di lì a puoco ritornassimo dentro et dicessimo: Vengono quattro o 5 a cavallo. Lei cominciò a fugire, andò di fuori a vedere, et poi ritornò dentro, et di novo uscì fuori, et poi si partì. Tutte queste notti, da che son statte condotte fuori quelle altre di Semogho, lei mai ha dormito in casa, ma credo in campagna, perché la mattina se ne veneva a casa con li panni del letto. Et d'allhora in poi mai più gli habbiamo creduto niente.
Juravit.
Die martis 19 novembris 1630.
Coram dominis pretore et regente Nesina citatus comparuit Tonius, filius quondam Laurentii del Sosio di Semogo.
Et interogatus.
R. Questa Giacomina è mormorata assai per strega. Nondimeno, essendo pregato da lei questo autunno passato, l'accettai in casa. Nel principio della Quadragesima mia moglie hebbe una creatura morta. Le genti mi cominciorno a cridare, perché teneva in casa detta donna, et in particulare mia suocera. Io la licentiai. Doppo che furno fatte prigioni quelle di Isolaccia, questa Giacomina andava fugendo, et una mattina a buon'hora la viddi con una sua figliola là davanti a un tabbiato, bene a buon'hora. Io, passando a basso, lei mi chiamò, et quando fossimo insieme gli dissi: Giacomina, questo andar fugendo non mi piace. Se hai qualche cosa di male con te, avanti dar alcun smacco alla parentela, tuotti via. (2) Lei disse: Son daben. Non verranno dentro a tuorre una persona daben. Io non dissi altro. Giacomo, figliolo di Mighina del Folonaro, mio cognato, quale ha havuto alcuni suoi luochi a fitto, mi ha detto: Se colei è daben, son daben tutte. Et soggionse che uno de suoi figlioli di detta Giacomina, gli haveva detto che momma (3) haveva non so che sotto il cendré. (4)
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Maria, uxor relicta quondam Jacobini, olim Jacobi Urbani Scalotte.
Et interogata.
R. da che detta Giacomina è venuta in casa nostra, ove stavamo in comunanza, le nostre cose andavano male: ne morsero 10 belle vacche. Quando si amalavano, si inzopavano, et mai più levavano in piedi. Le carni di detto bestiame noi di casa non ne potevamo toccare mai minga, perché subito ne faceva male, et detta Giacomina ne magnava come un lupo affamato. Se quando detto bestiame si amalava noi lo vendevamo, guariva segnandolo. Et sebene noi lo facevamo segnare, volendolo tenere per noi, subito moriva. Insomma parve che entrasse un zegh. (5) Le genti tutte mi dicevano che havevamo una maestra in casa, et che dovessi imbutarla. Io lo feci, et lei disse che nell'altro mondo lei sarebbe statta in paradiso et io, per questo, alle grande pene.
Saranno tre anni che io mi garbigliai con detta Giacomina, perché mi haveva robbato del fieno. Et lei mi fece mentire. De lì a puoco Giacomino, mio marito, si amalò nelli piedi in modo che cridava gagliardamente. Lo facessimo poi condurre a Pedenosso de lì ad un pezzo, et subito fu a letto. Mai più si è levato et ha patito per tre anni la più crudele infermità che habbi mai havuto creatura. Prima era sano, senza alcun diffetto. Il medico di Camoasco, havendolo visto, disse che havevamo havuto gran travagli nella robba, et che erano sette anni che quella infermità si era procreata. Non se gli poteva toccare neanco una minima parte delle coperte che, sebene lui non vedeva, se la coperta o lenzolo che pendevano dal letto erano toccati o con le mani o vesti, cridava dolorosamente. Le sue carni erano forate dalli cagnoni, (6) et io molte volte bisognavo mettergli del sale a medicarlo. Soleva dire costei di me: Mercé, se lei ha da curarlo, che la sua cattiva cretta che ha, l'ha fatto così. (7) Et sopra di lei potranno far esaminare Nicolin di Balsar di Berben, Giacomo Squarz et Domenico Gaglia, quale ha inteso non so che dal stroligo di Camoasco. Giacomo di Mighina del Folonaro mi ha detto che haveva visto la detta Giacomina in brutto atto. Mio suocero, Giacomo di Urbano, prima non voleva si dicesse male di lei, ma doppo disse più volte: Mi credo che la sia stria, et che la sappi vergot. Addens: La figliola di detta Giacomina ne haverà da sentire fin che la campa, et si sentirà qualche cosa col tempo.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Nicolaus, filius quondam Jacobi Urbani.
Et interogatus.
R. Io ho inteso mormorare assai di lei, da molti, doppo che mio padre la tolse [in casa]. Mio fratello Giacomino, che hora è morto, mi disse: Il padre mi ha pregato che dobbiamo andare a torgela fuori di casa. Il detto mio fratello ha patito assai, prima nel bestiame perché gli moriva tutto, poi nella vitta perché è statto longo tempo amalato, et alla fine è morto, havendo quello sempre havuto gran presontione contro di lei. A me questo san Gioanni passato morse un manzo, et una manza mi si amalò et è ancora amalata, et ho havuto gran suspicione di detta Giacomina, perché un mio figliolino la vidde, non so che giorno avanti, venire su avanti la porta di stalla, dal qual luoco non si puol passare, essendo del tutto fuori di strada et dentro un cantone. Quando mio fratello era amalato, tutte le genti mormoravano, et mi dicevano che dovessimo provedergli. Gioan Squarzetto, suo vicino, diceva male assai di lei, et che la teneva per sicura stria. Toni Valesatto si è lamentato assai di lei.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Jacobus, filius quondam Christophori Malenchi de Semogo.
Et interogatus.
R. Detta Giacomina ha habitato in casa nostra, né mai ho scoperto cosa alcuna mala di lei. Ho solo inteso la moglie di Giacomin Urbano lamentarsi. Mia moglie, chiamata Appollonia, mi disse che, andando su della strada di Cadangola (8) per il venire a casa, s'incontrò in un subito in detta Giacomina, et apena vista sparse via tanto subito, che non seppe da che parte fosse andata. (9) Menena di Gioanet di Pradella ha detto in casa mia, con la mia donna, che haveva visto la detta Giacomina nella detta strada di Cadangola, la quale haveva alzato li panni, et passò dentro per quelle rovine, luoco molto brutto et non praticato. Giacom di Madalena del Folonaro mi ha detto che, havendo havuto a fitto dalla detta Giacomina un pezzo di prato, doppo haver segato un pezzo si butò giù a dormire, et che gli apparve un gatto o altro che gli fece gran paura. Et sospettava fosse statta lei.
Gioan della Pozagliera, che hora è morto, mi disse che, passando avanti la sua casa, una sera, sentì parlare. Et facendo a mente, sentì che detta Giacomina parlò con suoi figlioli: Ti basta l'animo di andar su et forar fuori (10) dell'annell della cadena? Cioè di uno di quelli anelli.
Quando stava in casa nostra, quasi tutte le notti stava fuori di casa, et noi si maravigliavamo assai. La mattina, quando ritornava, spesso portava qualche cosa da magnare come bucelle de soldati, (11) et mene dava ancora a noi altri che gli segavamo il prato.
Et juravit.
Die jovis 21 novembris. (a)
Per magnificum concilium congregatum fuit ordinatum quod constituatur Jacobina antescripta, filia quondam Vitalis Abundii de Pedrot de Semogo.
Et interogata se sa la causa della sua carceratione.
R. Non so niente.
I. se ha havuto sospetto alcuno di questo.
R. Signor, no.
I. perché essere fugita.
R. Non ero fugita, ma il figliolo di Francesco di Drei disse: O, quelle strie che son fuori in pregione han palentato (12) di gran cosa, et vi hanno nominata ancora voi per stria. Io dissi: Per gratia del Signor, mi non son tale. Et se son fugita, fugì ancora Nostro Signore tre passi. (13)
I. se sua madre è statta sospetta per strega.
R. Signor, sì. È statta qui pregione. Né io la ho cognosciuta se non per una donna daben.
I. se ha mai havuto alcun disgusto da Giacomin suo figliastro, et sua moglie.
R. Signor, no.
I. dove allogiò la notte fugì dalla Giustitia.
R. Sotto un peccio. (14)
I. se Vasin Morzello l'ha imbutata per strega.
R. Signor, sì. Essendo andata da lui per tuorre un instrumento, lui melo diede, et poi disse: Stammi fuori di casa! Io dissi: Perché? Lui disse: Perché sei strega. Et la causa è questa che, essendo andata una volta a molino con un staro di domega, andai un giorno a vedere se era macinato. Vasino faceva sev (15) sopra un prato, et la moglie era in un prato. Io gli adimandai se era macinato. Lei rispose di sì. Io mi partii, et poi da lì a puoco ritornai et la feci venire a darmi la farina.
I. dove andò, quando si partì dalla moglie di Vasino la prima volta.
R. Andai a casa sua per vedere se vi era Vasino.
I. se ha detto che Vasino già era su a far sev.
R. Lo viddi depoi.
I. se cognosce Menena di Gioanet de Pradella, et se l'ha in concetto di essere daben, et di dir la verità.
R. Signor, sì, la cognosco, et la tengo per donna daben et di verità.
I. dov'è andata quella volta che detta Menena la vidde nella strada di Cadangola andar dentro quelle rovine, et haveva alzato li panni.
R. Andavo per legna, et se havevo alzato li panni, mi sgrafavo li pulici. (16)
I. dove andava le notti, quando stava in casa di Giacom Malencatto, perché si partiva et stava via quasi tutte le notti.
R. Mente per la gola.
I. dove andò quando, essendosi incontrata in Appollonia, moglie del detto Giacomo, nella strada di Cadangola, sparse via.
R. Mente per la gola.
I. se ha mai detto una sera ad uno de suoi figlioli, se gli bastava l'animo di passar fuori per l'anello della cadena.
R. Lengua brusada! Mentono per la gola.
I. se circa il san Gioanni passato andò alla casa di Nicolò, suo figliastro, et andò all'uscio di stalla, et a che fare.
R. Non mi ricordo.
I. se mentre stava in comunanza con Giacomino, suo figliastro, gli morsero al detto Giacomino molti capi di bestiame.
R. Signor, sì.
I. se le carni di quel bestiame erano magnate dalle genti del detto Giacomino.
R. Signor, sì.
I. se è vero che dette carni a loro gli facevano male, et a lei no.
R. Non so se a loro gli facessero male. A me fece buon pro (17) un puoco che mi diedero.
I. se è mai statta imbutata della morte delli detti bestiami et della malatia di esso Giacomino.
R. Signor, sì, una volta, dalla moglie di esso Giacomino fui imbutata. Et disse: Voi dir che Dio l'agiutti? Et io dissi: Ou! Sì, Dio l'aiutti cento volte!
I. Perché non ricorrere dalla Giustitia, essendo statta così imbutata?
R. Andai subito a confessarmi dal nostro signor curato, quale mi esortò ad haver pacientia.
I. se ha mai detto della moglie di Giacomin: Hou! Mercé se lei ha da curar Giacomino, la sua cattiva cretta ha fatto così. (18)
R. Signor, no. Ha ben detto questo Nicolò, fratello di Giacomino.
Addens: Detto Nicolò mi disse una volta che Giacomino haveva cattiva cretta di me. Io gli dissi che Dio gli perdonasse.
Et dettogli che è sospetto che lei habbi fatto male alla moglie di Toni di Lorenzin Sos, quando stava in casa sua, perché lei ebbe una creatura morta.
R. È vero che son statta in casa sua questo inverno passato, et ho inteso che la primavera hebbe una figliola morta.
Et monita dicere veritatem, alioquin proceditur ad tormenta.
R. Signor, io ho detto la verità.
Et dettogli che cosa dirà, se vi sarranno persone quali deponeranno haverla vista al barlotto.
R. Mentiranno per la gola.
Et visa eius pertinacia et negativa, fuit ordinatum et consultum ulterius esse procedendum. Et sic fuit decretum quod denudetur et induatur aliis vestibus, et ligetur, et sic denudata et ligata ponatur ad torturam, prout factum fuit. Et cum cepisset clamare quod deponatur, cum velit fateri veritatem, fuit deposita et soluta.
Et interogata chi gli ha insegnato tal arte.
R. Da mia madre.
I. quanto tempo è.
R. Un anno avanti mia madre fosse condotta in mano della Giustitia, che saranno circa 23 anni, (19) alle Morzaglie, (20) in casa nostra, nella stua.
I. in che modo.
R. Lei fece croci in terra et mi fece zappare sopra dicendo: Cià, la mia figliola, che haveremo buon tempo, non haveremo più da lavorare. Bisogna chiamare il diavolo et refudare Dio, la Madonna et Santi, et chiamare un altro signore, che è più buono. (21) Et così feci.
I. se doppo chiamato il demonio, quello comparse et in che forma.
R. Signor, sì, de lì ad un pezzo, in forma di un cavallo, et si asetò. (22) Io me gli ginocchiai avanti, et gli baciai le mani. Lui mi fece festa et disse che noi dovevamo patir fame, (23) et che ne voleva far havere buon tempo. Et poi mi montò adosso et usò meco. Et poi si metessimo a ballare lì, poi andassimo il giorno seguente in Verva.
I. quando è stata solita andar al ballo.
R. il giovedì et sabbato. (24)
I. in che modo.
R. Tolevamo un bastoncino et l'ongevamo, et poi montavamo a cavallo.
I. che cosa facevano là.
R. Vi era tanta gente et ballavamo et mangiavamo insieme. Et poi mi montava adosso davanti et alle volte di dietro, per le parti posteriori. Et era freddo. Mangiavamo poi pane et formaggio et vino, ma cattivo. Quel pane era nero et cattivo, né mi toleva la fame. (25) Et magnato ne licentiava, et ongevamo il b[astone].
Addens: Possano essere abbrugiato chi mi ha insegnato, mia madre et altri!
I. a che hora andavano.
R. Di notte, et stavamo là un'hora et mezza in circa, poi montavamo su il bastone.
I. chi era in quel luoco.
R. Molte genti, ma io non ho cognosciuto se non Domeniga et Malgherta. Dicevano che ve ne erano della Terra et di Oga, ma io non le cognosco, et in particulare della Terra non ne ho cognosciuta niuna. Di Oga vi era una certa Giacomina di Pradella, et è vecchia, et credo sia figliola di Abondio di Pradella. Ho cognosciuto quella Maria di Poz. Della Terra dicevano che fossero tre, ma non le cognosco. Le son vecchie.
I. che dica la verità, chi erano.
R. Non ho cognosciuto se non le Chierige, Domenica di Casteleri et Malgherta Pradella. Vi era ancora un huomo vecchio. Dicevan fosse di Semogo, ma io non lo cognosco. Di Oga vi era detta Giacomina et una cognata di Marta di Martino di Donà.
I. dove andavano a ballare.
R. In Verva et a Prada.
I. dove habbi l'onguento.
R. Dentro alle Morzaglie, sotto il cendré, dove è ancora il bastone.
I. in che modo faceva l'onguento.
R. Toleva terra nova et grasso et ossi di creature piccole, quali cavava su dal cimiterio, et il resto tornavo a sepelire a suo luoco.
I. se ne faceva in quantità.
R. Puoco, et ne haveva due scattole: una là dentro, et la più grande butai nel fuoco quella sera che venne dentro la Raggione.
I. se ha maleficiato Giacomino, suo figliastro.
R. Signor, sì.
I. in che modo.
R. Gli metei un puoco di onguento alla testa, comandata così dal diaulo. Et gli havevo fatto male. Mi non havevo a caro che l'havesse male.
I. perché non guarirlo.
R. Non sapevo disfar il maleficio.
I. del maleficio fatto al bestiame di detto Giacomino.
R. Solo a due vacche, quali con un detto (26) che haveva su un puoco di onguento sudetto, le toccai, et così morsero.
Die jovis 21 novembris. (b)
Dum deposita esset a tormento torture, sedens ad ignem.
I. se havea pensato a dir la verità.
R. Signor, sì.
I. Se ha insegnato l'arte ad alcuno altro, particolarmente alla sua figliola.
R. Signor, no.
I. che maleficio habbi fatto.
R. Ho fatto maleficio a mio figliastro Giacomin de Urban, con il metterli un poco d'onguento sopra la testa, con fine di guastarlo.
I. per qual causa.
R. per comandamento del demonio.
I. se havea gusto di questo.
R. Non, nonché.
I. d'altri maleficii.
R. Non ho fatto altro maleficio che far disperder (27) la moglie di Toni di Lorenz del Sosio.
I. in che modo.
R. Metei un poco di polvere nella minestra, con volontà che quella creatura morisse.
I. d'altri maleficii.
R. Non ho fatto morir che vache, cioè due nella Comunità di Bormio et 3 a Mall, (28) con toccarle con un poco di quel unguento, con fine che morissero.
I. de altri maleficii.
R. Non ne ho fatto altri su creature, fuor che far crepar qualche pietra et secar pezzuoli. (29)
I. se il demonio l'ha bastonata mai, perché non facesse qualche male.
R. Signor, sì, molte volte, perché non facevo a suo modo a far male.
I. de compagni et compagne, quanti fossero.
R. 10 o 12.
I. a dire chi fossero.
R. La Chieriga, la figliola di Domenigha di Casteler, Malgherta di Pradella, la quale deve esser convertita, le mie due lamede morte, et una Maria de Gioanin, sorela di Toni di Gioan de Pedrott, morta, due della Terra, (30) quali non conosco, et due di Oga, cioè Giacomina di Pradella et una cugnada di Martha di Martin.
I. come sappi che quella Malgherta sia convertita.
R. Ho inteso a dir issì (31) dalla gente, et l'é un pezzo che non l'ho vista.
I. novamente a dir chi fossero quelle della Terra.
R. Mi non le conosco, perché non prattico qui fuori.
I. se vi erano homini compagni.
R. Quel Giacomo di Franceschina, credo che el ghe sia. (c)
I. se lo sa di certo.
R. Signor, sì, perché l'ò conosciuto là dentro.
I. dove sia il bussolo del onguento et bastone che adoperava.
R. Ne ho abbrugiato uno quella sera che vennero per prendermi. Un altro con bachetto è sotto le platte del fogolaro.
I. se lo portava mai dreto l'onguento.
R. Signor, sì. E metevo una man in seno a toccarlo per servirmene.
I. che altri mali facesse, et se have fatto morir quelle vache a Vasin Morsello.
R. Signor, i me fan dir di quello. Mi non facessi altro mal che far andare a picca quel sasso, (32) perché mia madre me havea detto che non dovesse far mal a creature.
Rinovata l'instanza a dire se conosceva le donne della Terra.
R. Mi non le conosci. Volete che faccia torto a qualche persona? Se me ne raccordarò di conoscerle, lassem pensare su, che le dirò poi.
I. se nella vallata di Forba vi siano di streghe.
R. Signori, no, che non conosco nessuno.
I. come facesse l'onguento.
R. Pigliava terra nova (33) insieme con ossi, carne di creatura, et quelle in padella o lavezzato (34) faceva cozere a far l'onguento.
I. dove le pigliasse.
R. Andava de notte nel cimiterio di Santo Abondio et pigliava delle sudette cose, coste del ventre, del grasso et de quelle carni.
I. quanto ne facesse alla volta.
R. Un cuggiaro.
I. se quella volta che fu vista là in quella ruvina, che havea alzato i panni, che cosa faceva là, se forsi gh'era il demonio con lei.
R. Signor, sì. Havea havuto da far con lui alhora.
I. se altra volta fu in tal loco.
R. Signor, no, quella volta sola.
I. novamente s'ha insegnato alla figliola, et fattogli instanza a dir la verità.
R. Io li ho insegnato su alla Presura, nel prato, ma non ho compito d'insegnarlo. (35)
I. nel modo a insegnarli.
R. Ho fatto una croce in terra con dir che refudasse Iddio, la Beata Vergine et suoi Santi. La feci zappare la croce, il che detta mia figliola [fece] con renitenza.
I. se la figliola fu con lei al ballo.
R. Signori, sì, una volta sola, su nelle parti di Prada.
I. se sa che il demonio habbi havuto a fare carnalmente con la figliola.
R. Signori, no, perché era troppo picola, et mi cavalchò mi.
I. perché insegnasse alla figliola.
R. Mi ha rincresciuto (36) d'haverlo fatto, et per questo mi son trovata pentita.
I. quanto tempo è che ha insegnato alla figliola.
R. Sarrà un anno questo autunno in circa.
Repplicate le interogationi, a nominar quelle della Terra.
R. Signori, mi non credo che ve ne siano nisune, in conscientia mia.
Quibus stantibus, ordinatum fuit quod ducatur ad solitum carcerem, animo [prosequendi].
Eadem die, 21 novembris.
Coram ut supra citata comparuit Jacobina, uxor Christofori del Valar.
Et interogata.
R. Gioan del Valar mi disse che haveva inteso che detta Mottisella haveva detto che, se li suoi figlioli venevano grandi, voleva che andassero su per la cadena, come un gatto, et fare come un gatto.
Et juravit.
Coram ut supra citata comparuit Catharina dell'Hosteira.
Et interogata.
R. Madalena di Gioanet di Pradella dice che haveva una volta visto non so che di brutto alla detta Motta.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Magdalena, uxor Joannetti de Pradella de Semogo.
Et interogata.
R. Un giorno mi incontrai in lei per strada, et la viddi che haveva alzati su li panni sino alla coria. (37) Io hebbi rispetto (38) in suo servitio et gli adimandai, come in colera, dove andasse in tal modo. Lei disse che per legna. Et haveva le legature in braccio. Io andai avanti, et lei passò dentro. Un'altra volta lei mi mandò a dimandare per sua figliola un puoco di farina. Io dissi che se ne havessi, né haverei magnato per mi. Et l'istesso giorno lasciai fuori due mie bestie, et si amalorno di subito, et in puoco tempo, anzi l'istesso giorno ne morse l'una. Et di lì a puoco mazai la capra, et hebbi cattiva cretta di lei.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Jacobina, uxor Francisci Vitalis de Semogo.
Et interogata.
R. Saranno vinti anni che havevo un mio figliolo di età di 6 mesi, et essendo una sera in cusina che gli davo da magnare, era ivi ancora detta Mottisella, la quale disse: O, quanta mosa (39) mangia quella creatura! Et replicò due volte, che io gli risposi: Magnerà perché haverà fame. Da quella sera in poi si amalò, et stette amalato un anno, sinché feci molti voti et lo feci segnare dal reverendo prete Martino, nostro curato, (40) quale disse: O, quante forfanterie si fanno in questo Semogo! Giacom di Mighina del Folonaro dice che ha havuto gran paura di lei in tempo che segava.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Mighina, uxor Joannis del Folonario,
Et interogata.
R. Una volta l'havevo pregata che volesse un puoco voltare (41) una mia vacca su un prato. Lei non lo voleva fare, ma mi toccò con il gombito (42) dritto in un braccio, et de lì a quattro passi cascai in terra et mi perdei via.
Et doppo a un pezzo, per gratia di Dio, mi rihebbi et andai a casa alla meglio che potei, et poi guarii.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Catherina, filia Francisci di Drei.
Et interogata.
R. Io non so altro, solo che mormoravano de lei per la malatia di Giacomin d'Urbano. Et Giacom di Mighina del Folonaro si è lamentato di lei.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut ante citata comparuit Catherina della Pozagliera, uxor quondam Joannis delli Drei.
Et interogata se ha inteso de suo marito che una volta, passando avanti la casa della detta Giacomina, l'havesse sentita dire alli suoi figlioli se gli bastava l'animo di andar fuori d'uno delli anelli della cadena.
R. Signor, no.
Interogata de aliis.
R. Non so altro, solo che è mormorata.
Juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Maria, filia quondam Laurentii del Ponti de Semogo.
Et interogata.
R. Non è vero che io sia statta in casa di mio fratello, et che in cambio della cognata habbi ritrovato una scopa nel letto. Et quelli hanno riportato questo, hanno detto la bugia. (43)
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Catherina, filia quondam Laurentii del Ponti.
Et interogata.
R. Non è vero che io habbi visto una scopa nel letto di mio fratello in cambio della moglie.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citata comparuit Mighina, uxor Jacobini del Sosio.
Et interogata.
R. Venne un giorno a casa mia Giacomina Mottisella, et adimandò a mio marito che gli desse alcune cose. Io impedii, dicendo che dovesse prima pagarci il debito vecchio, che poi gli haveressimo datto altro. Lei uscì fuori borbottando. Mio marito andò a basso, et io andai in cusina. Tra tanto la Motta tornò in stuva, et mi saltò nel cuore che dovessi andare in stuva che l'ara (44) andata dentro la Motta. Et così vi andai, et la trovai in mezzo stuva, et appresso di lei era una mia figliolina tutta sana et bella. Io dissi: Credevo che Giacomina fosse partita et è ancora qui. Lei disse: Voglio che Giacomino mi dia qualche cosa. Venne in stuva il marito, né gli volsimo dar niente. De lì a puoco, o subito, la figliolina si amalò gravemente. Faceva una guardadura tanto fosca, che faceva paura. Si storgeva tutta, storgeva li ochi, piangeva et guizolava (45) stranamente. Mi venne voglia di imbutarla, che la trovai un giorno, et gli adimandai delli ovi. Lei disse che ne volevo fare. Io gli risposi che volevo andare da un medico molto savio in Valtellina per il male di mia figliola. Lei disse che mi sarrei persa per strada, che a Bormio ancora vi erano medici et che dovessi havere confidanza in Dio et la Madonna santissima, che la putta sarebbe guarita. Io dissi: Spettarò ancora un puoco, et se guarirà bene, senò voglio andare avanti. Lei disse: Dio et la Madonna la agiutti! Fatte voto a Santo Spirito, (46) che guarirà. Et così feci. Et da quel giorno in poi la figliola cominciò a guarire, et è guarita. Altro non so.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Dominicus, filius quondam Joannis Gaglia de Pedenosso.
Et interogatus.
R. Il medico di Camoasco mi adimandò se detto Giacomino era guarito, perché era statto faturato. Io gli risposi che era morto.
Ho inteso da Gioan et Gioan Giacomo Mottino che messer Gioan Francesco Mottino, essendo statto in Dosdé, magnò mascarpa, et che era tornato a casa et s'amalò.
1630. Die veneris 22 mensis novembris.
Coram illustre domino pretore, dominis regentibus et magnifico concilio, constituta fuit Maria filia Jacobi de Urbano et filia Jacobine dicte Mottiselle, in carceribus Communis detenta et malefica imputata, et a dicta e[i]us matre in processu nominata extra tormenta.
I. che cosa habbi imparato da sua madre.
R. Il Pater Noster, Ave Maria et Credo
Ei dicto: Recitate il Pater, Ave Maria et Credo.
Et ita recitavit etc.
I. a dir la verità che cosa di più li ha insegnato la madre.
R. Sarà un anno l'estade prossima passata che, essendo su al prato della Presura, la detta mia madre fece una croce di legno, la mise in terra et volse che la zapasse, come feci, dicendomi ella che non dovesse chiamare Dio, ma il demonio. Così feci. Il quale comparse in habito negro, con un capello in testa.
I. che cosa disse il demonio.
R. Non mi riccordo.
I. Doppo questo sei mai andata in compagnia della madre?
R. Signori, sì, una volta su a Prada.
I. s'andata da sé, over in compagnia.
R. Con la madre.
I. dil modo di andarvi, et come fece.
R. La madre montò a cavallo a un bastone e mi tolse in braccio, e mi condusse lasù a Prada.
I. che ritrovasse là in quelle parti.
R. Vi erano chi ballava et sonava.
I. Quando che arivasti là, che cosa facesti?
R. La madre mi presentò al demonio, il quale mi cavò il capello e mi tolse in braccio, poi mi bacciò.
I. se doppo averla bacciata li usò altro atto nella sua vita.
R. Mi mise in terra e mi venne adosso.
I. che cosa facesse di più.
R. Mi mise una mano in quelle parti, poi gli mise ancor altro, che non so cosa fosse.
I. se ne pigliò gusto o le fece male.
R. Non sentì niente. Et mia madre era presente.
I. che cosa facesse doppo.
R. Balassemo, poi mi fu dato dalla madre pane e vino, et poi venessimo a casa nel modo che vi eramo andate.
I. a dire quali persone ha conosciuto al ballo, siano della Terra o delle Vallate.
R. Non ho conosciute altre che la Chieriga et sua figliola. Vi erano delle altre che mi disse mia madre che erano di Pedenosso et Semogo, ma non le ho conosciute.
I. se fu al ballo più che una volta.
R. Signori, sì, vi son stata due volte nel modo che ho detto, et hebbi che fare con il demonio. Et fu la madre che mi faceva andar per forza, se ben mi non li andava volentiera. (47)
Repplicata l'interogatione a dir la verità, se ne ha conosciute altre che le nominate.
R. La prima volta che fui al ballo conobbi Malgherta di Christoforo dil Ponti.
I. se si sonava al ballo.
R. Signori, sì, che vi era un homo vestito di nero che sonava un flauto, ma non lo conosciuto.
Die veneris 22 novembris.
Coram ut supra citatus comparuit Christoforus, filius quondam Jacobi Malenchi de Semogo.
Et interogatus.
R. Non so dire altro, solo che una volta faceva sev alla detta Motta su alle Presure et, nell'alzare un pecciol, che non poteva essere la carica più di un peso, (48) mi scavezai la schena. De lì a puoco venne la Motta, et io dissi: Credo che questa sia la valle delle strie! Puoco fa la mia tosa si è dislogata un pè, et mi me son scavezzo la schena. Lei disse che la imbutavo per stria. Io dissi che non dicevo, numa (49) a quelle che erano che bisognaria brusarle.
Una mia figliola non poteva uscire di casa, che sempre s'incontrava nella volpe, talché prese paura et il cornatol. (d) Io mandai mia moglie con lei fuori da maestro Rafaele per farla vedere, et la moglie mandò avanti la figliola, quale, quando fu a un luoco detto La Choglieda, (50) vidde dieci o 12 volpi, quali si correvano dietro atorno a un pecciolo, eccetto una che sempre la guardava, non so se dicesse la più piccola o la più grande. Sopragionse mia moglie, et la figliola disse: Vedete le volpi? Et la mia moglie non le vidde mai, et la figliola sì. Quando furno da Rafaele, lui seppe dirgli quante erano le volpi, et in che luoco, dicendo che era statta perseguitata da quelle. Et gli dette alcuni rimedii, ma alla fine dell'anno morse.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Columbanus, filius quondam Burmii Vasini della Scala.
Interogatus.
R. Lei è mormorata assai, né altro so. So da una figliola di Adamo Paino (51) che detta Motta haveva faturato la mia donna, quale è statta amalata due mesi, né altro so.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Joannes, filius quondam Jacobi Squarzet.
Et interogatus.
R. Catherina, mia moglie, era solita a patire il male caducho et, da che venne la Mottisella a vicino a noi ad habitare, la cominciò ancora a delirare et andar alle volte fuori di cervello. Et ciò durava doii giorni. Doppo che pigliava tal male, cantava, si levava nuda et andava così fuori di casa, et bisognava tenerla insema. Quando cessava tal male, se gli drizzavano tutti li capelli, et faceva una guardatura bruttissima. Lei non poteva vedere detta Giacomina, né un'altra. La le (52) haverà viste lontane un'archibugiada, et subito cridava et gli haveva cattiva cretta adosso.
I. qual sia l'altra.
R. Loro signori non l'hanno in processo, né voglio nominarla.
Et dettogli che per suo giuramento conviene che lo dica.
R. È la moglie di Antonio Illino, detto il Sant, chiamata Giacomina, filia quondam Gioan di Francesco di Tamagnino, (53) della quale si lamentava che gli havesse datto delli capelli, et pareva che havesse capelli per tutto. Et faceva peggio con la chena (e) la Mottisella, et voleva che noi la imbutassimo. Io non lo feci, ma lei che sapeva la cattiva cretta haveva mia moglie, diceva a noi: O poveri voi, se havete questa cattiva cretta, et pensare che possi più il diavolo che Dio.
Polonin di Brum (54) di Appollonio, quale era spiritato, diceva, quando il spirito si moveva, che detta Giacomina era una stria, et che haveva imparato in terra todesca, et che haveva fatto morire suo marito Nicolò di Toni di Gioan Gioan, et che, se non si contentava (55) di essere stria, voleva tirarla per le terciole (56) giù a San Martino et publicarla, ma se si contentava, voleva lassar stare. Et credo la donna di Giacom Gesa, chiamata Madalena, sentisse che detta donna, cioè Giacomina, si acontentò et disse: Sarrei mi essa, se tu vuoi che sia. Et lu allhora disse: Va', che manco travaglio che ti posso dare, te lo voglio dare. (57) Et gli diceva detto Polonino: Non dare quel latte alla tua figliola, che è cattivo. Non vedi che la è svendumata? (f) Come in effetto era quella et un'altra, quali sono morte.
Vitale Campello fu a nozze di Malgherta di Pradella et tornò a casa amalato, dicendo che l'havevano striato et che lo facevano morire, et che sempre haveva tenuto su la cretta alle strie et hora l'havevano pagato. Faceva gran strepiti et morse in otto giorni. Essendo amalato, disse alla sua gente che dovessero abrugiare certi bindelli (58) et stringetti, quali detta Giacomina haveva datto alla sua figliola Madalena, moglie di Giacomo del Ghesa, (59) qual Madalena si era lamentata che detta Giacomina gli haveva fatto su la testa et datto li detti bindelli, et sempre ha havuto su male. Gioan Tampello suo fratello lo saprà ancora et, se potessero havere Catherina di Balsar di Rin, quale sta a Touvri, (60) direbbe qualche cosa. Nicolò di Toni de Rin sarrà ancora informato, come ancora Giacom Ghesa. La moglie di Bernardo di Vitale Tampello, chiamata Maria ***. Insomma, quando stava a Pedenosso era mormorata assai, et la lasciassimo andare volentieri a Premai.
La Mottisella mi diceva: Il mio Giacomo è vecchio, et la vostra femina è amalata e moriran. Et voi che noi duoi si pigliamo in matrimonio? Quel povero Giacomino, suo figliastro, mi ha datto causa di mormorare di lei, perché suspettava di lei, et de che lei entrò in casa di Giacom d'Urbano, quella casa andò tutta in mallhora.
Han tenuto mormorato di Giacom di Poz, perché dice Pater nostri assai, et quando sua madre fugì, detto Giacomo si andava scantonando con lei, et mio padre diceva: O che sono tutti duoi, o niuno.
Et juravit.
Eadem die.
Jacobus quondam Laurentii del Sosio citatus comparuit.
Et interogatus.
R. Son statto vicino di lei, né mai ho scoperto niente di male, solo che è mormorata assai. Il figliolo suo, quale sta col Franco, disse che la madre haveva non so che, ma che dovessero guardare a non toccare.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Joannes, filius quondam Laurentii del Sosio.
Et interogatus.
R. Lei con li suoi andamenti et guardadure si è resa sospetta, né altro so. Han mormorato della moglie di Christoforo del Folonaro, ma non so che habbi fatto male a niuno.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Jacobus, filius quondam Joannis del Folonario de Semogo.
Et interogatus.
R. Havevo un prato di Giacomina a locatione per nove anni. Il secondo anno, segandolo intorno il san Giacomo, a buon'hora venne lì detta Giacomina, quale disse non voleva che io segassi il prato. Io dissi che lo volevo segare. Et lei disse di no, et minacciava. Et poi si partì. Intorno terza, (61) essendo appresso una foce (62) che batevo la falce, venne lì un cagnaccio grande nero et stracciato, quale passò circa tre volte avanti di me. Ma perché non havevo cattiva cretta che potesse nuocermi, non poté mai appressarsi a me. Ma de lì a un puoco andò in giù per lo prato, et non baiò mai. Et io mi persi via di paura. De lì a puoco venne [Giacomina] et dimandò come mi era andato a mano, (63) et se havevo segato assai. Et per questo dubitai fosse statta lei. Ho poi inteso li suoi figlioli che gli davano della stria et della putana. Altro non so.
Et juravit.
Eadem die.
Coram ut supra citatus comparuit Joannes, filius quondam Jacobi Franceschine de Semogo.
Et interogatus.
R. Non so altro, solo che suo figliolo di Giacomina, essendo meco in pastura, mi disse che sua madre era una vera stria. Ho inteso dalla putta di Giordanin che la biadiga di Barbara Mottisella haveva detto: Mercè ti, che son stria, che mi ha insegnato l'ava.
Et etatis annorum 11, vel circa. (64)
Die sabathi 23 mensis novembris.
Dubitabatur in magnifico concilio de nominatione facta per antescriptam Jacobinam Mottisellam de persona Jacobi quondam Franceschine Petri, malefici suspecti et iam nominati per Dominicam seniorem, la Chieriga. Ad effectum cognoscendi an persistat in dicta nominatione et sciendi si sufficienter eum cognovit, fuit ordinatum quod iterum interrogetur dicta Jacobina super premissis.
Et interrogata a domino pretore se si riccorda havere cognosciuto sufficientemente detto Giacomo di Franceschina di Pedro, et in che modo, et che averti a non fargli torto.
R. Mi l'hei cognosciù (65) molto bene là dentro al ballo, et fuori.
Dicens: Non sal lu, che venne una sera a casa mia che cenava, per chiamarmi, et gli diedi della mia cena, et poi di compagnia si partissimo et andassimo su a Prada? Et prima veniva molte volte in compagnia delle mie lamede (66) Catarna et Barbara.
I. che cosa sonava.
R. Un flaiolo. (67)
Addens: Quando egli voleva ballare, il diaulo sonava lui. Et poi gli dava da bevere più a lui che ad altro.
Et dettogli che averti bene a dire la verità, perché di già lui è in palazzo, et doverà confrontarsi.
R. Mi glielo dirò in faccia, perché l'é la verità.
Die martis 26 novembris.
Coram magnifico concilio constituta Jacobina, fuit interrogata se ha qualche cosa di agiongere al suo constituto.
R. Signor, non mi riccordo altro.
I. se ha fatto maleficio a un figliolo di Francesco di Vitale.
R. Non mi riccordo.
I. se ha fatto maleficio al bestiame di Madalena di Gioan de Pradella.
R. negative.
I. se ha fatto venire giù della bruina.
R. Due volte di estate, et fu quell'anno che andarno da male le biave. (68)
I. in che modo.
R. Signor, non so.
I. se ha fatto maleficio alla moglie di Gioan Squarzet.
R. Signor, sì, la ho maleficiata lasù alle Presure.
I. in che modo.
R. Gli havevo datto minestra nella quale havevo messo un puoco di onguento del sudetto, et ciò con occasione che stavamo vicine, con intentione che andasse fuori di sentimento, come riuscì. Et è morta.
I. chi haveva in compagnia.
R. Non so se fosse Marta di Maria di Gioanin o Mighina di Giacomin di Ruinazza.
I. Chi è detta Marta, et di chi era moglie?
R. Lei è vidua, et era moglie di Urbanin di Andrea di Urban.
I. se dette donne andavano al ballo con lei.
R. Sono andata con loro 5, overo 6 volte in Platòr, et hora in Verva.
Monita che dica in compagnia di chi ha fatto tale maleficio.
R. in compagnia di quella Marta, la quale quella sera era in casa mia, et lei fu la prima la quale disse: Metti un puoco di lavor (69) nella minestra di costei.
I. che altri mali habbi fatto in compagnia delle dette donne.
R. Alle volte quelle venevano a casa mia et alle volte andavo io in casa loro et, quando si trovavamo insieme, facevamo alle volte piovere, o tampestare, o venire giù delle rovine
I. in che modo facevan far piovere.
R. Facevamo un pozzetto, et in quello facevamo una croce. Et poi mettevamo dentro dell'acqua serena et un puoco di quello onguento, et turbidavamo detta acqua, et dicevamo: Possa piovere, o tempestare, o far bruina!
I. se con quella tampesta haveva dannegiato.
R. Signor, sì. Facessimo andare da male la ravizza, (70) et facevam tempestare hora in una parte et hora nell'altra sopra quelli che ne volevan male.
I. chi era presente.
R. Dette donne, Marta et Mighina, et le mie lamade, Nicolina di Pradella.
I. se ancora faceva tampestare nelli suoi campi.
R. Quell'anno che andorno da male tutti li grani, andorno da male ancora li nostri.
I. Perché?
R. Acciò non sospettassero di noi.
I. chi cominciava.
R. Nicolina faceva il pozzo, et noi altre tutte facevamo la nostra parte. Et ciò seguiva in Platòr, hor di giorno et hor di notte.
I. se veniva alcun huomo.
R. Veneva quel Giacomo di Franceschina, quale ancora lui faceva la sua parte.
I. che averti bene a dire la verità, perché haverà a dirla in faccia delli sudetti.
R. Glielo dirò in faccia. Et a detto Giacomo darò di segnale, che venne una sera a casa mia alle Murzaglie, che magnavo ravette, a chiamarmi, et gliene diedi ancora a lui. Lui ne fece pressa, (71) et di compagnia andassimo in Verva. Et eravamo 5, overo 6, cioè Giacomo et mi, Nicolina et le mie lamade et la detta Marta.
Addens: Maria di Poz era ancora stria, ma il suo figliolo l'haveva fatta caminare via, né so se fosse Giacomo, o Borm figliolo.
I. se Martholina di Scalotta era ancora lei in compagnia.
R. Signor, no. Mi non l'ho mai vista.
I. se ha cognosciuto un certo Polonino, quale era spiritato.
R. Signor, sì.
I. chi l'haveva maleficiato.
R. Diceva che mia madre l'haveva maleficiato. Et quando lui (g) la vedeva, diceva: Al viene la striana! (72) Et una volta la brancò su li capelli, perché andava a messa.
I. se detto spiritato faceva nome a altre strege.
R. Non mi riccordo d'altre per adesso.
I. se essa ha fatto maleficio a Vitale Tampello.
R. Venendo da messa un giorno, giù de Pedenosso, sarranno duoi anni incirca, lo toccai con un puoco di quell'onguento su in una spalla.
I. se gli haveva fatto qualche cosa.
R. Mi guardava storto et mi haveva cattiva cretta che fossi stria.
I. se ha fatto maleficio a una figliola di Giacomin Sos.
R. Andai una volta in casa sua, et toccai la detta figliola con un puoco di onguento, quale portava in seno in una scattola, su in una mano. Et un'altra volta dissi che Dio l'agiutasse et la Madonna, et guarì.
I. se è vero che essa habbi detto a Gioan Squarzet: Il mio marito è vecchio et la tua femena è amalata: moriranno presto. Voglio che si maritiamo insieme.
R. Signor, sì.
I. che mali habbi adonque fatto al detto marito.
R. Niente. Et se era amalato, egli era vecchio.
I. se essa in visa di (73) volpe haveva fatto paura a una figliola di Christoforo di Giacom Malenco, et chi haveva in compagnia, et come haveva fatto.
R. Eramo otto, cioè mi, Maria di Gioanin, Maria di Poz, le mie lamade, mia madre, quelle Martha et Mighina sorelle, et Nicolina. Si voltavamo nella terra et diventavamo volpi, et gli facessimo un puoco di paura.
I. che cosa gli habbi parlato Domenica di Casteleir dalla pregione.
R. Lei mi ha domandato se ero dabene. Io ho detto di sì. Lei mi adimandò di Malgherta se l'havevo sentita. Io dissi che l'havevo sentita piangere. Lei disse: L'haveranno martoriata, l'haveranno rovinata, o bandita. Io dissi non saper altro, et lei mi ha detto: Guarda bene ti a non dir niente!
I. di Giacomo di Franceschina, se l'haveva bene cognosciuto et come.
R. Lui stava coperto sul viso, ma si cognosceva perché era piccolo, et qualche volta alzava su la visiera.
I. se parlava.
R. Alle volte, quando haveva sonato, diceva a noi altri: Vi piace questo ballo?
Denuo interrogata di Martholina.
R. Mi mai la ho cognosciuta in questo fallo.
Interrogata.
Respondit: Due volte ho fatto venir la bruina, et 5 volte la tampesta. Et ciò, hora sola et hora con li sudetti. Et facevo tampestare mez'hora.
I. se ha fatto altri maleficii.
R. A Mallo, (74) a quelli del Hans Mor mettei un puoco di unguento su una spalla a una putella.
Addens: Fu questo in casa di Filiager, a una sua figliola, con mettergli un puoco di onguento su una spalla, et ha nome Orsola. Et fu il diavolo che me lo comandò. Et allogiavamo per il più in casa sua, di detto Filiager.
Interrogata.
Respondit: Non ho fatto venir giù numa circa sette rovine, dentro la Cogliada, ma non han dato danno a niuno.
I. quante levine habbi fatto venir giù.
R. Una sola, in Valazza, in compagnia di Nicolina, le mie lamade, Maria di Poz, le [Chierighe] ***.
I. se ha fatto altro male in terra todesca.
R. Ho fatto morire delle capre con getargli un puoco di polvere o unguento adosso.
Addens: Io ho maleficiato un bove grande delli heredi del signor Rodomonte, con occasione che, andando giù per quella strada di sopra la casa, lo trovai in strada slegato, ove erano alcuni figlioli, et con un puoco di quell'unguento lo toccai nel collo, et lo lisciai fuori per la schiena.
Quibus confessis, fuit ordinatum per magnificum concilium quod ponatur ad torturam, et ibi interrogetur denuo super cunctis per eam confessis pro confirmatione habenda in tortura. Et sic constituta in tortura et elevata, fuit interrogata de omnibus per eam confessis, videlicet (h) se essa ha imparato tal arte della madre con il modo da lei palesato.
Respondit affirmative.
I. se ha insegnato alla figliola nel modo sudetto.
Respondit affirmative.
I. se essa è andata al ballo, et ivi ha atteso alle opere diaboliche come ha detto, conducendo la figliola.
Respondit affirmative.
I. se ha cognosciuto ivi Domenica di Casteleir, Malgherta del Ponti, le Chierige, Giacomo di Franceschina di Pedro, Martha et Mighina di Maria di Giovanni di Pedrot et Giacomina di Pradella, quale sta in Oga, come ancora le nominate Nicolina di Pradella, Maria di Poz, Catharna et Barbara Mottiselle, già morte, et una di Livigno detta la Gatta.
Respondit affirmative, dicens: Le ho cognosciute con il detto Giacomo, nel modo già detto.
I. se ha cognosciuto Martholina di Scalotta.
R. Signor, no, non l'ho mai vista in tal atto.
I. se ha commesso li maleficii da lei deposti, et nominatogli di uno in uno.
R. Quelli, et quanto ho deposto è vero et affermo il tutto.
Qua ratificatione habita, fuit de ordine concilii deposita et ducta ad suum locum, animo [prosequendi usque ad expeditionem cause] etc.
Die martiis tertio mensis decembris.
Coram magnifico concilio congregato, fuit denuo introducta Jacobina Mottisella.
Et interrogata se si è riccordata delli altri compagni.
R. Non so altro.
Die ***.
Fuit lata sententia quod decapitetur per manus ministri justitie, et corpus suum cremetur, et bona confiscantur.
Die 30 novembris fuit executa sententia per ministrum civitatis Merani.
(a) Vengono qui inserite, sulla base della datazione, alcune pagine finite fuori dal fascicolo originario.
(b) Quaderno staccato, senza copertina. In alto: La Mottisella. Si è passati dall'escussione dei testimoni all'interrogatorio dell'imputata, già sottoposta a tortura. Seguendo le indicazioni cronologiche, vengono qui intercalate le pagine intermedie.
(c) Nell'originale: siae.
(d) Lettura incerta. Pare si alluda a una malattia, conseguenza dello spavento. Il bormino incornì vale "irrigidito come un corno" per il freddo o anche per la paura (Longa 92).
(e) Lettura incerta. La voce borm. chèna, variante di càna vale "gola, bocca", fan una càna "essere un'allegria, farne una pelle dal ridere" (Longa 99 e 107; Monti 47; Bracchi, Parlate 151-2), dal lat. canna "canna" della gola (REW e REWS 1597). Se l'interpretazione è corretta (ma lascia dubitare il tracciato della n), il senso sarebbe "continuava a blaterare".
(f) La lettura non sembra lasciare dubbi. Ma la voce, così come risulta, non sopravvive più nelle varietà attuali. Si potrebbe forse proporre un confronto col verbo lomb. vantà "vagliare, setacciare", dal lat. *vannĭtāre "passare al vaglio" (REW e REWS 9142), ipotizzando l'accezione di "sconvolta". Si dovrebbe presupporre una formazione intermedia collettiva in -ùm, da -ūmen.
(g) Nell'originale: lei.
(h) Lettura incerta.
(1) Martino Fogaroli, parroco di Pedenosso, maleficiato dalla Chieriga senior.
(2) Borm. töt ìa "togliti di mezzo".
(3) Forma antica per "mamma", già incontrata in precedenza.
(4) Allusione al bussolo dell'unguento, custodito nel luogo della casa considerato sacro.
(5) Voce scomparsa. Si tratta forse di un deverbale a suffisso zero di zigàr "aizzare, istigare", zigadór "istigatore, aizzatore" (Longa 277). Anno 1584: s'io non era, il cane lo spediva, ma ch'io sappi chi l'habbi azegato adosso al detto putto, io non lo so; 1625: il detto Antonio mi zegà adosso due cani tre volte, che havete da far assai a diffendermi; 1653: mi diede danari aciò tacessi. Io li tolsi, che il diavolo mi cigò, et li guarnai [= riposi] subito in scarsella; 1658: un nostro cagnolino picolo gli è andato dietro baiando et l'à morduta [la capra] un tantino, et esso è venuto alla mia volta dicendo che l'havesse zagato… gli zagò un cane… hanno zagato li cani; 1662: la mi ha cigà [= sollecitato]; 1681: mi ha szagato il cane et scamburlata [= urtata]; 1705: vi era un moltone [= montone] grand che pugna [= cozza], e il figliolo zagava a pugnare quando vi erano o sassi o travach [= piante cadute], e poi quando il moltone prendeva la scorsa per darli, si bassava, pensando che il moltone pugnasse li sassi o li travach (QInq). Probabilmente da una base elementare fonosimbolica (LEI 1,576; DEG 473 e 967; DVT 1424).
(6) Borm. cagnón "verme, baco", ir tót a cagnón "andare tutto in putredine" (Longa 100), dalla metafora del "cane" (REW e REWS 1584a e 1592), a motivo della voracità, ma probabilmente per ragioni tabuistiche più profonde e più remote (DEG 251; DVT 159).
(7) Più avanti è data una variante della frase: Hou! Mercé se lei ha da curar Giacomino, la sua cattiva cretta ha fatto così. Nello stesso processo troveremo: Vitale Campello fu a nozze di Malgherta di Pradella et tornò a casa amalato, dicendo che l'havevano striato et che lo facevano morire, et che sempre haveva tenuto su la cretta alle strie et hora l'havevano pagato. Il potere del maleficio sembra legato alla "cretta", come si deduce sempre da uno stralcio di questo processo: venne lì un cagnaccio grande nero et stracciato, quale passò circa tre volte avanti di me. Ma perché non havevo cattiva cretta che potesse nuocermi, non poté mai appressarsi a me.
(8) Rin de Cadàngola la parte inferiore della val di Esòla in Valdidentro (Longa 311). Per una località omonima di Oga si ha una testimonianza antica che ne rivela l'etimologia, a. 1676: stara 12 Campo all'angolo (Estimo generale, sez. Oga). Cf. SB171, nota 5.
(9) L'improvviso sparire è considerata una proprietà stregonesca. A Tirano la farfalla notturna è chiamata sparentèl, perché in tempo antico dovette essere considerata ipostatizzazione di una strega.
(10) "Sei capace di arrampicarti su (per la cappa del camino) e di passare attraverso l'anello della catena" del focolare?". Più avanti si dirà: Gioan del Valar mi disse che haveva inteso che detta Mottisella haveva detto che, se li suoi figlioli venevano grandi, voleva che andassero su per la cadena, come un gatto, et fare come un gatto (QInq). I gatti erano spesso considerati metamorfosi di streghe. Borm. furàr int "bucare, introdurre una cosa in un foro", furàr fòra "far uscire da un buco, cacciar fuori" (Longa 76), dal lat. fŏrāre "bucare" (REW 3430).
(11) Borm. ant. bucèla "pagnotta", lat. bŭccĕlla "bocconcino", alla lettera "boccuccia" (REW 1359). Termine scomparso, cristallizzato nel toponimo Buceléir "panettiere" a Piatta e forse in la Bucelìna sul Vallecetta (Longa 303), negli Statuti boschivi Mucelina (c. 49). Anno 1494: in bucelis datis pauperibus in festo alme Virginis Marie mensis marzii; 1495: pro quolibet pane seu bucella pro denariis quattuor singula bucella; 1521: pro denariis quattuor pro qualibet micha seu buzela (QCons); 1554: tu hai tolt dele bucelle, et tut a un temp me dé de un pongio [= pugno]; 1567: ad comedendum in domo sua bucellas; 1573: li dissi a Nesa [= Agnese]: Daghli ancora della bucella insema cum la farina che li hai dato; 1601: et vien Michele della Barella con pan. Comprarno su alquante bucelle [dette più oltre: miche]; 1633: Angelinetto haveva se star fuor a mangiar bucelle; 1682: a tor una buzella (QInq). Siamo nel periodo in cui i soldati sono presenti nei paesi. A questa stessa base, forse con altre interferenze, si deve riportare la bisciöla della medi e bassa valle "specie di panettone contenente burro, fichi, uvetta, noci, che si regalava in occasione del Natale" (DVT 96; LEI 6,759).
(12) Borm. ant. palentàr "palesare, manifestare, propalare", qui "deferire, accusare". Voce scomparsa. Dall'avv. lat. palam "apertamente, manifestamente" sul tipo dei derivati dai part. pres. (REW 6155). Surselv. palentàr "rivelare, propalare" (NVS 708). Anno 1629: se tu mi palenti in qualche maniera, voglio venire et amazarti; 1675: non voria però che mi palentassero, perché son già statto imbutato da Carlo del Gris; 1675: che anche lui sia statto palentato d'haver tagliato legname su nel boscho della Reyt; 1676: che guardassi bene a non dir niente e palentarlo; 1682: prego lor signori a non palentarmi, perché non vorei pigliarmi in contro con niuno; 1698: se non fusse statto la verità, non l'haverei palentato (QInq).
(13) Non risulta chiara l'allusione. Deve riferirsi a qualche racconto non contenuto nel Nuovo Testamento.
(14) Borm. péc' "abete", lat. pĭceus "abete", "ricco di resina, di pece" (REW e REWS 6479). Poco sotto troveremo il dimin. peciòl.
(15) Borm. far séf "costruire una siepe" (Longa 222, lat. saepes "siepe" (REW 7496).
(16) Borm. me sg'grafài i pùlesc "mi grattavo a motivo delle pulci", lat. pūlex, -ĭcis "pulce" (REW 6816).
(17) Borm. far bón prò "far bene, giovare", gnur su l bón prò "venir su il rutto dopo aver mangiato", segno di buona digestione (Longa 205).
(18) Ossia "questo dipende dal fatto che egli ha nutrito una credenza malevola nei suoi confronti", e quindi ora ne subisce le conseguenze.
(19) La madre Domenica Mottisella fu inquisita per stregoneria nel 1601 e nel 1608.
(20) Morzàglia sulla sponda destra della Valdidentro e in Cadàngola sopra Semogo, negli Statuti boschivi ad mottam Merizalie, nemus Mirizalie (Longa 312), probabilmente dal lat. *mĕrīdiaāia "luogo dove le bestie sostano a meridiare nella canicola" (REW 5531).
(21) Affermazioni simili sono state dette da Caterina Petrogna nel 1610 e ripetute da Maria di Poz, come riferito da Appollonia Pradella.
(22) Borm. sentàs "sedersi" (Longa 223-4), dal lat. *sĕdentāre se (7780). La variante setàr, sedàr si è specializzata nel significato di "lasciare che i corpi sparsi in un liquido vadano a fondo e questo diventi sereno" (Longa 221), da *sĕditāre "" (REW e REWS 7780).
(23) "Eravamo costrette (fino allora) a soffrire la fame".
(24) Sono i due giorni prediletti dalle streghe. Nei dialetti resta traccia di continuatori di *iŏvia (dies) "giorno di Giove" (REW e REWS 7479), che presentano ancora risvolti di tali usi. Dal sabato prende nome il sabba (REW 4591).
(25) Il senso di freddo e di vuoto, di mancanza di sapore e di gioia è spesso sottolineato dagli imputati. Non è altro che la controprova dell'inquietum est cor nostrum di sant'Agostino, finché non trovi il suo riposo nel Signore.
(26) Borm. déit "dito" (Longa 50), lat. dĭgĭtus "dito" (REW 2638).
(27) Borm. ant. far disc'pèrder "far abortire".
(28) Mals in Tirolo.
(29) Borm. peciòl "piccoli abeti", dimin. di péc' "abete" (Longa 192 e 285).
(30) Cioè "di Bormio".
(31) Borm. iscì "così" (Longa 95), dal lat. in sīc "in questo modo, così" (REW 7892).
(32) "Far rotolare, cadere", borm. ir a pìca, liv. ir a pic(h)ia "andare a picco, cadere per terra" (Longa 196), dalla base element. *pīkk- "a punta" (REW 6494), attraverso l'accezione sopravvissuta nel verbo impichentàs "impuntarsi contro un ostacolo e rovesciarsi".
(33) Probabilmente nel senso di "non coltivata, selvaggia". I terrena nova sono quelli che si pongono a cultura dopo il dissodamento (StCBorm, c. 314).
(34) Borm. löic' più dotto lavéc', valli löisc, S. Maria Maddalena laöc' "laveggio, vaso di pietra ollare" con suff. dimin. -àt (Longa 130), derivati dal lat. lapĭdius "di pietra" (REW 4899).
(35) Non ha potuto condurre a termine l'iniziazione, perché la figlia si è dimostrata riluttante.
(36) IL verbo rincréscer ha qui l'ausiliare ör "avere". Ora si direbbe: al m'é rincresciù, con èser "essere".
(37) Borm. corìa, curìa "correggia di pelle, cintura" (Longa 113), dal lat. cŏrrĭgia "correggia (di pelle)" (REW 2253).
(38) Borm. ör resc'pèt "avere rispetto, avere vergogna", qui nella seconda accezione (Longa 211).
(39) Borm. mösa "pappa di farina" (Longa 163). Voce importata da oltre lo spartiacque, ted. svizz. Mues, ted. Mus "pappa, composta". Surselv. muosa "farinata, zuppa" (NVS 655), gergo ombrellai del Vergante mösa "minestra", gergo miner. della Valsassina polenta mosa "polenta al burro", gergo dei pastori berg. mösa "polenta".
(40) Si tratta di Martino Fogaroli, maleficiato dalla Chieriga senior. La parrocchia di Pedenosso comprendeva, fino al 1629 quando fu formalizzata la separazione, anche la contrada di Semogo, oltre quelle di Isolaccia e di Trepalle.
(41) Borm. voltàr (ìa, indré) li vàca "cacciare indietro le mucche" che hanno superato il limite di proprietà (Longa 276).
(42) Borm. gómbet, furv. gómbat "gomito" (Longa 82), dal lat. cŭbĭtu "gomito" (REW 2354; DEI 3,1841-2; DVT 491-2), (sg')gombetàda "gomitata, colpo di gomito".
(43) Il riferimento è a Malgherta Pradella.
(44) Imperfetto di tipo arcaico. Il Longa testimonia: borm. mi sèri, cep. mi éri, piatt. mi sèri, furv. mi sàri, liv. mi àri "io ero", borm., piatt. lu l'èra, furv., liv. lù l'àra "egli era" (Longa 341).
(45) Borm. sg'ghizolàr "mandare alte strida, piangere come i fanciulli e le donne", liv., sem. sg'guizolér, cep. sg'guizelèr, da una base onomatopeica del guaito.
(46) In Bormio è ancora presente una chiesa intitolata a Santo Spirito.
(47) Borm. volontéira, piatt. vulantéira "volontieri", con la caratteristica terminazione avverbiale -a (Rohlfs 3,245).
(48) Borm. pés "peso", antica misura corrispondente a circa 8 chilogrammi (Longa 195).
(49) Borm. nóma, dóma "solo, soltanto, non più", liv. damó (Longa 175-6), dal lat. non magis "non più" (REW 5228).
(50) Località della Valdidentro nelle vicinanze di Morzàglia. Anno 1698, a Semogo: il bosco della Comunità, e si dimanda [= chiama] il bosco della Cogliada… la Cugliada; 1701: nel boscho delle Cogliade o Morc[i]aglie (QInq), borm. cögliàda, piatt. cöglièda, furv. cögliéda da li bóra "caviglia di ferro con anello, che il taglialegna conficca nei tronchi d'albero per poi trascinarli con la fune" (Longa 110), anno 1659: due sampogni, piatti, due cogliade; 1676: una cogliata di ferro; 1697: facevano borelli [= tronchi] longetti e poi li mettevano dentro una cogliada e con corde li tiravano giù (QInq), dal lat. clavīcŭla "caviglia" (REW 1979). Cögliòla soprannome degli abitanti di Semogo per la loro rigidità (Longa 334).
(51) Se l'accento cade sull'ultima sillaba, potrebbe trattarsi di paìn "paparino", dimin. di pa "padre, papà". In Valfurva è ancora attestato il soprannome Paìn (Longa 331). Anno 1548: Augustinum Garaldi, Petrum Payni (QDat); 1548: Tonio dicto Scarioth de Premadio, Vitali Payni de Pedenosso (QDat); 1652: esso vene in casa de Gioan Pain dove mi trovavo; 1705: campo a Semogo, qual alias era delle Paine o Barone… delle sudette sorelle Barone o Paine (QInq).
(52) Borm. mod. al li arà vedùda "le avrà viste". Qui la frase ha valore condizionale: "se le avesse viste".
(53) Soprannome che deriva dall'ant. aggett. elativo tamàgn "tanto grande, così grande", lat. tam magnus "così grande" (REW 8552). Anno 1573: fasevano sì da sclas su quella valle, che stettero su sì tamagna peza [un così lungo tempo]; 1588: altro non poss vedere, perché era la confola tamagna [= l'affollamento tanto grande]; 1502: a Bernardo quondam Francisci Tamagnini pro certis plantis; 1506: a Iohane Tamagnini de Pedenosso, Burmo Fornere de Furva (QRec); 1526: Vitalis Motini et Bernardus quondam Christofori Tamagnini, ambo de Pedenosso (QCons); 1575: fideiussor fuit Ioan ser Tonii Tamagnii de Pedenosso; 1634: al Palancano a chiamar Antonio Tamagnino; 1700: nella Lute, vicino ad uno [prato] di mastro Nicolò Tamagnino, dove si dice il pra della Sgrinia (QInq). Blen. ant. tamagn "grande" (Monti 316), sp. tamaño.
(54) Forse variante di Bórm, per metatesi. Nome personale.
(55) Nel senso di "se avesse ammesso, confessato".
(56) Borm. treciòla, triciòla "treccia, capelli delle donne" (Longa 263), diminut. del gr.-lat. *trĭchea "treccia" (REW 8893).
(57) "Ti voglio dare meno dispiacere che mi sia possibile".
(58) Borm. bindèl "nastro, fettuccia", cep. bindèl "nastro di seta" (Longa 33), germ. *binda "legame, nastro" (REW 1110).
(59) Anno 1698: come a Vezola sia tolto dentro comunale da Christoforo Ghesa. Soprannome del quale non si conosce più il significato. Li Ghésa prati e boschi a destra di Val Cadoléna sopra Santa Lucia in Valdisotto (Longa 305).
(60) Taufers o Tobre in Tirolo.
(61) Le 9 del mattino, borm. ant. sonàr la tèrza "suonare la campana delle 9 del mattino al venerdì" (Longa 258).
(62) Borm. fósc "corso d'acqua, canale d'irrigazione" (Longa 73), lat. faux, faucis "gola, canale stretto" (REW 3225).
(63) Borm. ir dré a man "procedere con ordine", demenemàn, piatt. de menamàn, sem. demanimàn, liv., sem. damanimàn "di mano in mano, successivamente" (Longa 50).
(64) Essendo minore di età, non è tenuto al giuramento.
(65) Borm. mi l'éi conosciù "io l'ho conosciuto".
(66) Borm. ant. làmeda "zia". Catarna vale "Caterina".
(67) Voce uscita dall'uso. Ant. borm. flaöl "zufolo, flauto", dal lat. *flabeŏlum "flauto" (REW 3339). Anno 1604: si misse a passar gió per la strada con un flaiol, sonando; 1631: il demonio sonava un flaiol, et noi balassimo; 1674: vi erano genti che ballavano et sonavano un flaiol (QInq).
(68) S. Maria Maddalena la bla "la segale" (Longa 222), dal (REW ), dal gall. *blāto "fiore, frutto", alla base di un lat. reg. *blāta, forma collettiva, poi divenuta femminile che nell'it. sett. ant. si sviluppa a blàa > blava (Pfister, RIL 130 (1996), pp. 141-78, spec. 147; LEI 6,215-41, REW 1160).
(69) Borm. lór "cosa", termine generico per qualsiasi oggetto, applicabile in senso di disprezzo anche a persona, um pór lór "un poveraccio" (Longa 132), lat. labor, -ōris "lavoro", poi "prodotto del lavoro, oggetto" (REW 4809).
(70) Borm., liv. röicia "pianta della rapa, fusto o erba della Brassica rapa L." (Longa 213 e 286), lat. rapīcia "attinente alla rapa", con ritrazione d'accento in iato dalla seconda alla prima vocale, attesa nell'area bormina (REW 7052).
(71) Borm. far prèscia "far premura, sollecitare a fare in fretta" (Longa 205), lat. tardo *prĕssia "pressione, fretta, sollecitudine" (REW 6743).
(72) Variante rara di sc'trìa "strega", con caratteristico suffisso -àna, di intonazione peggiorativa (Rohlfs 2,20-1). Anno 1608: dicta Chrispina imputavit ei verbum hoc, videlicet: Stria, striana, stemmi fuori di casa… et sentì quella Cristina a dire: Vammi fuori di casa, striana che tu sei, che non ti voglio in casa! (QInq).
(73) "In guisa di", germ. *wisa "modo, maniera", ted. Weise "modo" (REW 9555; DEI 3,1892; DVT 491).
(74) Mals in Tirolo.
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/bormio/documenti/SB152/