Lombardia Beni Culturali

Introduzione

Introduzione all’edizione a stampa

Premessa

Siamo molto lieti di presentare, a sei anni dalla pubblicazione del primo, questo secondo volume dedicato alle pergamene degli archivi bergamaschi. L’interesse con cui, nel 1989, il pubblico attento degli studiosi accolse questa prima fatica e partecipò al convegno organizzato sull’argomento nel mese di aprile, è stato, per le Amministrazioni della Provincia e del Comune, la migliore testimonianza del buon lavoro compiuto.

Se un solo volume è stato sufficiente a contenere i testi del X secolo, si è visto subito che non sarebbe stato possibile fare altrettanto per quelli ben più numerosi del secolo XI. Il materiale è stato pertanto suddiviso su due tomi: questo, che termina con il 1058, e uno prossimo, già in fase di approntamento, che completerà il secolo. Dopo di che ci si metterà al lavoro sul secolo XII ...

Nel licenziare questo volume le Amministrazioni devono esprimere innanzi tutto un sentito ringraziamento al professor Gian Pietro Galizzi, Assessore alla Cultura nel 1984, quando fu formulato il progetto, e, successivamente, Presidente dell’Amministrazione Provinciale e Sindaco di Bergamo: senza la sua sensibilità per i temi della cultura, anche la più impervia e specialistica, le pergamene bergamasche non sarebbero mai uscite dal sonno secolare dei loro archivi. Ma un ringraziamento altrettanto caloroso va ai membri del Comitato Scientifico: al suo Presidente, professor Claudio Leonardi, alla professoressa Mariarosa Cortesi e al professor Alessandro Pratesi, che in tutti questi anni non sono mai stati avari di impegno e di pazienza.

Un ringraziamento particolare va rivolto a S.E. Monsignor Roberto Amadei, Vescovo di Bergamo, e a Monsignor Antonio Pesenti, Cancelliere della Curia, per la cortesia con cui hanno sempre accolto i ricercatori, agevolando la consultazione e la riproduzione dei documenti conservati negli archivi vescovili.

Un doveroso ringraziamento, infine, va al signor Gianni Barachetti, Direttore della Civica Biblioteca “Angelo Mai”, e al dottor Silvano Gherardi, Dirigente dell’Assessorato alla Cultura della Provincia, che hanno sostenuto e seguito con viva partecipazione le diverse fasi del lavoro, dando, nell’ambito delle loro specifiche competenze, un prezioso contributo.

A noi, e agli Assessori alla Cultura della Provincia, professor Giorgio Mirandola, e del Comune, professor Giangabriele Verteva, rimane la soddisfazione di aver fatto compiere un altro significativo passo verso la sua conclusione ad un progetto di grande prestigio e di grande rilievo culturale. La pubblicazione di un patrimonio documentario così ricco giova ad una migliore conoscenza della nostra storia, e porta senza dubbio un contributo al dibattito, oggi così vivo e complesso, sui rapporti tra le diverse Istituzioni. Nel momento in cui sempre più si vede nella costruzione dell’Europa da una parte e nel recupero delle tradizioni e delle autonomie locali dall’altra il necessario e duplice punto di riferimento della nostra civiltà, ritornare ai momenti che hanno visto contrapporsi con tanta forza l’uno e l’altro ideale non può che essere utile sforzo.

Guido Vicentini (Sindaco di Bergamo) - Giovanni Cappellusso (Presidente della Provincia di Bergamo). Bergamo, settembre 1995

Per una nuova storia della città (Claudio Leonardi)

Il ruolo della città nella storia d’Italia, in particolare durante il Medioevo, è un ruolo di grandissimo rilievo, dal punto di vista politico, economico-sociale, culturale. Non si spiegherebbe altrimenti, sino in fondo, neppure la nostra storia moderna e quella contemporanea, dove il senso dell’unità dello Stato è stato forte e insieme debole, e i valori nazionali insieme esaltati e negletti. Una delle ragioni del lavoro storiografico è inevitabilmente legata alla città, e alle vicende di ognuna di esse, per comprendere e interpretare i fatti della loro storia, con l’occhio rivolto a valutare come si sviluppi l’identità cittadina o come essa venga a dissolversi, anche nel rapporto con altre città e con organismi politici più vasti.

Avendo avuto la fiducia del Comune e della Provincia di Bergamo di presiedere il Comitato scientifico, allo scopo costituito, per l’edizione dei documenti medievali che riguardano la città, l’edizione cioè di tutta la più antica documentazione cittadina, ho inteso questo compito come un momento di quella consapevolezza storiografica. Quando nel 1988 apparve il primo volume di questa iniziativa, si poteva dire che lo straordinario corpus di 212 documenti, dal 740 al 1000, copriva tutta la più remota storia medievale di Bergamo. Ora, con il nuovo volume, si affronta un momento determinante della vita della città, che porterà nel 1112 alla costituzione del libero Comune, si pubblicheranno infatti i documenti del secolo XI presenti nelle biblioteche di Bergamo. La mole dei documenti rimasti ha imposto di dividere l’edizione in due volumi, di cui questo primo presenta 288 documenti, dal 1002 al 1058. Essi attestano già, come gli storici potranno vedere, avendo nuove occasioni di riflettere, il nuovo slancio della vita cittadina.

Per arrivare a questa edizione il Comitato scientifico ha dovuto rinunciare alla collaborazione dei professori Gian Giacomo Fissore e Paolo Sambin, che avevano diretto i due gruppi di ricerca, a Torino e a Padova, responsabili del primo volume di questa iniziativa, uscito appunto nel 1988 (con i documenti compresi tra il 740 e il 1000), e ha potuto avere la collaborazione del professore Alessandro Pratesi, della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’Università “La Sapienza” di Roma. Egli, a Roma, ha diretto il lavoro della professoressa Cristina Carbonetti Vendittelli (responsabile della trascrizione-edizione dei documenti numero 1-82, 253-257, 259-268, 281, 285, 287), del dottor Marco Vendittelli (responsabile per i documenti numero 83-157, 159-169, 173, 269-271) e della dottoressa Rita Cosma (responsabile per i documenti numero 158, 170-172, 174-252, 258, 272-280, 282-284, 286, 288). A lavoro finito, al grazie sincero ad Alessandro Pratesi e ai suoi collaboratori, bisogna aggiungere quello ai prof. Riccardo Caproni e Lelio Pagani e a Vincenzo Marchetti per l’aiuto che hanno dato al gruppo romano, in particolare per l’identificazione dei toponimi.

Ma se l’opera si è realizzata, in questa sua prima parte e confidiamo che lo sia presto anche per la seconda, occorreva una ben precisa e forte volontà politico-culturale, che nel nostro caso non è mai mancata: e di questo si deve dare atto alla lungimirante politica del professore Gian Pietro Galizzi, ora sindaco di Bergamo e prima presidente della Provincia, e agli assessori professor Michele Bettoli e ass. soc. Dino Magistrati, il cui appoggio e incoraggiamento non è mai venuto meno. E va ricordata la costante opera di supporto e di guida, oltre che di assistenza e consiglio, della professoressa Mariarosa Cortesi, che ha seguito il lavoro dal momento, delicato e insostituibile, del reperimento dei documenti, sino alla fase finale, intervenendo quando era necessario a togliere incertezze, sciogliere dubbi, riempire lacune. A tutti va detto il più vivo grazie.

Ci vuole un certo coraggio a promuovere e finanziare opere di questo genere. E occorre poi superare più di una difficoltà, scientifica e organizzativa, per arrivare al risultato. Ma crediamo che questo, della pubblicazione dei documenti storici (secondo i criteri della storiografia e della diplomatica moderne), sia un momento di grande rilievo e di grande lustro per gli enti politico-amministrativi di ogni città e regione italiana, e confidiamo nella continuazione dell’esemplare iniziativa bergamasca.

Criteri di edizione (Alessandro Pratesi)

II disegno di offrire agli studiosi in edizione critica il patrimonio documentario medievale di Bergamo prosegue, a distanza di sei anni dal primo volume, con le carte del secolo XI conservate nell’Archivio Capitolare, nell’Archivio vescovile (generale della Curia e della Mensa) [1] e nella Biblioteca civica “Angelo Mai”: la quantità dei documenti ha tuttavia imposto la scissione del secondo volume in due parti, ad evitare che la mole eccessiva sia del libro a stampa sia, soprattutto, del corredo di tavole ne rendesse impraticabile l’uso. La cesura adottata non rispetta però la divisione numerica degli anni in due segmenti uguali, in quanto l’anno 1050 non rappresenta per la città o per la Chiesa bergamasca, alla quale in sostanza si riferiscono - sia pure su un piano quasi esclusivamente patrimoniale - i documenti superstiti, una data significativa: è parso quindi più opportuno protrarre questa prima parte che vede ora la luce fino al 20 settembre 1058, data di morte del vescovo Ambrogio II [2], figura di primo piano nelle vicende di Bergamo di quell’età.

Nel subentrare ai curatori del primo volume il nuovo coordinatore e i suoi collaboratori hanno cercato, in linea di massima, di conservare i criteri di edizione già in quello adottati: hanno tuttavia introdotto alcune modifiche che consentono, a loro giudizio, di meglio utilizzare il materiale edito e di offrire agli ‘addetti ai lavori’ qualche dato ulteriore pur senza appesantire la presentazione con simboli o accorgimenti tipografici troppo sofisticati.

A proposito della tradizione dei documenti è sembrato opportuno distinguere tra ‘copia autentica’ e ‘copia autenticata’, intendendo riferirci con il primo termine alla copia inserita in un discorso diplomatistico che dà praticamente vita a un nuovo documento, e con il secondo alla copia che comporta soltanto in calce le sottoscrizioni di autentica.

L’innovazione più consistente riguarda l’indice, esteso ai sostantivi indicanti istituzioni, dignità, uffici, mansioni, mestieri, condizioni sociali, ai termini giuridici e diplomatistici, ai vocaboli tecnici dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio, dell’attività umana in genere, collegati con un reticolo di rinvii che consenta al ricercatore di sfruttare al massimo la messe incomparabile di dati offerti dai documenti: il ricorso sempre più frequente alle fonti documentarie per le indagini più diverse ha convinto infatti gli editori della necessità di offrire non solo allo studioso, ma anche al semplice lettore una chiave di accesso al testo documentale che non fosse limitato all’indice onomastico e toponomatico.

Nessuna innovazione è stata introdotta, rispetto al primo volume, per quanto riguarda lo scioglimento delle abbreviazioni: si è preferito tuttavia abbondare nell’uso delle parentesi tonde ogni volta che la soluzione del compendio non fosse assolutamente sicura per riscontri obbiettivi offerti o dall’usus scribendi del medesimo notaio o dalla tradizione univoca del formulario; in particolare, poi, abbiamo conservato le parentesi ogni volta che un medesimo vocabolo capitava nello stesso documento, espresso costantemente con abbreviazione per troncamento, anziché seguire il metodo dei curatori del primo volume i quali le hanno introdotte solo per le prime occorrenze, tralasciandole invece per le successive: ci è sembrato infatti che tale prassi, se da un lato consente di alleggerire la pagina di alcuni segni, da un altro può indurre in inganno il lettore, ove non lo si avverta di volta in volta che quel vocabolo è sempre espresso con lo stesso compendio per tutta l’estensione del documento.

Anche per la segnalazione delle lacune è sembrato più opportuno seguire un criterio diverso da quello adottato nel primo volume, dove è stata indicata in nota l’estensione in millimetri della lacuna, sia quando nell’edizione è stato possibile integrarla, sia quando, in assenza di un supplemento certo, ne è stata soltanto avvertita la presenza mediante tre puntini in linea. Poiché tuttavia per difficoltà tecniche, non tutte le tavole annesse riproducono i documenti in grandezza naturale (e per questo si è sentita l’esigenza di indicare nelle note introduttive a ciascun documento le misure reali delle pergamene, segnalando altresì in caso di taglio irregolare, il massimo e il minimo di altezza o di larghezza, separati da una barra) la dimensione millimetrica della lacuna non offre al lettore un dato che possa servirgli a fissare i limiti della sua eventuale congettura: abbiamo ritenuto quindi più efficace indicare, calcolandolo sulla base del modulo di scrittura di ciascun documento, il numero di segni che dovevano trovare spazio nella lacuna tutte le volte che non si è potuto procedere all’integrazione. In particolare si è segnalato con altrettanti puntini entro parentesi quadre il numero di lettere mancanti, fino a un massimo di cinque: oltre le cinque sono stati riportati solo tre puntini, indicando in apparato il numero presumibile di lettere mancanti [3]; ovviamente se l’integrazione è solamente parziale il numero dei puntini e l’eventuale annotazione in apparato si riferiscono alla parte residua della lacuna; allorquando il guasto interessa la fine di un rigo e l’inizio del successivo si distingue la rispettiva estensione della lacuna segnalando il numero di lettere da attribuire prima e dopo la barra che separa un rigo dall’altro.

La presentazione tipografica mira a riprodurre quanto più fedelmente possibile quella che potremmo definire l’impaginazione del testo documentario. I capoversi (per la data topica, per le sottoscrizioni degli autori e dei testimoni, per la completio notarile) corrispondono agli a capo realizzati dal rogatario o dal copista: quando ciò non si verifichi nell’originale o nella copia assunta a base dell’edizione, anche la presentazione del documento si adegua a tale situazione. Pertanto, e anche per facilitare i rinvii dall’indice al testo, sono state numerate anche le righe dell’escatocollo.

Nel ricorso ai segni convenzionali si è seguito fin dove possibile l’uso tradizionale: di conseguenza il signum crucis è stato reso con + anziché con (SC), mentre si è usato (C) per il chrismon (la lettera C iniziale di Christus o l’intreccio di J e C per Iesus Christus) e (L) per il labarum o monogramma costantiniano. Due innovazioni sono state introdotte a indicare due particolari aspetti dell’evoluzione del documento nel corso del secolo XI e saranno illustrati nell’introduzione alla seconda parte di questo secondo volume: laddove il rogatario riferisce i signa manuum dei testimoni, questi sono stati resi con semplici segni di croce se nell’originale o nella copia a base dell’edizione sono raffigurati come tali; sono stati invece espressi con il segno # se i signa sono rappresentati dall’intreccio di più croci formando uno o più graticci costituiti normalmente da tre segmenti verticali e tre orizzontali. Inoltre mentre le sigle (ST) sono state adoperate per indicare il signum tabellionatus, ossia il segno particolare che indica costantemente, con lievi e irrilevanti variazioni, non già il singolo rogatario ma l’intera categoria, si è fatto ricorso alle sigle (SN) = ‘signum notarii’ per il segno personale di questo o quel notaio, anche allorquando si qualifica come iudex.

Tra i documenti privi di datazione, ma attribuibili al secolo XI, sono stati inseriti in questa prima parte i nn. 25, 30, 156, 253, 254, 258, 264, in rapporto ai quali per i motivi illustrati nelle rispettive note introduttive, è stato escluso un termine ad quem successivo al 1058; verranno invece pubblicati nella seconda parte quelli per i quali non è stato possibile inserire alcun elemento di raffronto.

L’appendice riporta tre documenti del secolo X non inseriti nel primo volume (nn. 285, 287, 288) e, al n. 286, un secondo originale del doc. 191 dello stesso primo volume, di cui vengono riferite, con richiamo alla numerazione delle righe colà indicata, solo le varianti rispetto al testo già edito.

Nota all’edizione digitale

Rispetto all’edizione a stampa, e al fine di stabilire la necessaria uniformità con i materiali editi nel CDLM (e soprattutto con i criteri e le regole di codifica dei testi), sono state apportate le seguenti variazioni:

  • attribuzione del titolo ai documenti (utilizzando sistematicamente, normalizzandola, la definizione contenuta nei documenti, ov’è regolarmente indicata la specie negoziale della ‘carta/cartula’);
  • la descrizione del supporto è stata recuperata dopo la tradizione, la registrazione delle note tergali e l’eventuale bibliografia;
  • non è stata mantenuta la numerazione delle righe;
  • è stata esplicitamente richiamata, laddove necessario, la presenza nel verso di una o più ‘notitiae’ (appunti preparatori del notaio in vista della redazione del ‘mundum’);
  • sono stati corretti alcuni evidenti refusi (per es., i riferimenti all’anno di incoronazione di Corrado II nelle note introduttive ai docc. nn. 131 e 132).

Note

[1] Ad evitare un’eccessiva frammentazione è stato pubblicato tra i documenti della Mensa vescovile anche il n. 258, tratto dal Liber censualis che appartiene all’Archivio generale della Curia.

[2] È questa la data accolta - crediamo con ragione - dallo SCHWARTZ, p.101: il DENTELLA, p. 106 e più recentemente lo JARNUT, Bergamo, p. 66, lo dicono morto già nel 1057, ma le ragioni addotte non sembrano probanti.

[3] Analogo criterio è stato seguito per gli spazi lasciati in bianco dal compilatore del documento, individuati con asterischi anziché con puntini.

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