Introduzione [*]
1. La chiesa di San Desiderio
La presenza di una comunità canonicale presso la chiesa di San Desiderio è poco nota alla storiografia bresciana [1]; scarse sono anche le notizie a proposito della chiesa, edificata probabilmente nell'VIII secolo [2]. L’esistenza della chiesa di San Desiderio alla fine dell’età longobarda è legata alla controversa testimonianza fornita da un unico documento, pervenutoci in copia semplice (secc. XI-XII) e privo di datazione, attribuito all’anno 761 in base al confronto con altri tre documenti dello stesso anno pertinenti al monastero di Santa Giulia e relativi allo sfruttamento delle acque di una condotta dell’acquedotto cittadino presso il monastero [3]. Si tratta di una cartula securitatis et promissionis [4] in cui Sabatius arciprete e custode della chiesa di San Desiderio, Deusdedit prete e rettore della chiesa di San Giovanni Evangelista e Pietro chierico e custode della chiesa di Sant’Eufemia, con l’autorizzazione del vescovo Benedetto concedono ad un personaggio ignoto, da identificarsi probabilmente con la badessa di San Salvatore-Santa Giulia Anselperga, l’utilizzo della condotta dell’acquedotto passante sui loro possedimenti e ricevono in cambio stoffe pregiate.
Nella pubblicazione recente e aggiornata della cartula, già edita nel XVIII secolo da Muratori [5], nel Codice Diplomatico Longobardo [6], Luigi Schiaparelli la considera «pergamena (del secolo XI)», contenente una «notitia, forse copia di un’antica notitia, ricavata certamente da carta del monastero di San Salvatore-Santa Giulia [7] (...) riguardante l’acquedotto del monastero» e aggiunge che «sulla data della carta originale non abbiamo elementi sicuri». Il documento è stato studiato in relazione all’architettura e all’urbanistica, per la citazione delle chiese di San Desiderio, San Giovanni (San Zanino) e Sant’Eufemia e dell’altrimenti ignoto xenodochium di Peresindo [8]; rimanda alla storia degli antichi acquedotti bresciani [9] ed è stato analizzato da Maria Bettelli Bergamaschi in un approfondito studio sulla produzione della seta [10]. La studiosa ha dedicato alcune pagine alla cartula, cercando di verificarne l’autenticità e soffermandosi attentamente sul titulus della chiesa [11]: alla luce delle sue considerazioni l’esistenza della chiesa di San Desiderio in età longobarda risulta possibile, ma non certa [12].
In mancanza di altri dati e riscontri la questione rimane aperta: bisogna in ogni caso osservare che San Desiderio sorge lungo le pendici meridionali del colle Cidneo, all’interno di un agglomerato di chiese costruite in età longobarda [13] a nord dell’antico decumanus maximus nel tratto compreso tra le porte Milanese e di Sant’Andrea [14]; inoltre, il suo titulus fa riferimento all’ultimo re longobardo [15], a cui si deve la fondazione dei due grandi cenobi di San Salvatore di Brescia e San Benedetto di Leno.
2. La canonica di San Desiderio (secc. XII-XIV)
Dopo la testimonianza fornita dalla controversa cartula del 761, non vi sono altre notizie relative alla chiesa di San Desiderio fino all’inizio del XII secolo quando, in un atto di permuta relativo alla canonica di San Pietro in Oliveto una delle terre oggetto del contratto, posta in loco Gardo, confinava a ovest con le res Sancti Desiderii [16].
Pochi anni dopo si ha la prima testimonianza di vita comune presso la chiesa, rappresentata dal prete Ariprando e dal frate Tedaldo: nel 1133 [17] i due officiales accettarono da Ariprando e Oriana di Desenzano la rinuncia di una terra a Lantanedolo [18], confinante con altri possedimenti di San Desiderio.
La datazione alta di questo documento permette di ipotizzare che nella prima parte del XII secolo sia stata istituita presso la chiesa una comunità canonicale [19]: la fondazione si può forse attribuire all’opera del vescovo Arimanno (1087-1112 ca.) sotto il cui governo la Chiesa bresciana conobbe un intenso movimento di crescita spirituale. Il vescovo fondò la badia vallombrosana dei Santi Gervaso e Protaso «al Mella» e durante il suo episcopato si sviluppò l’organizzazione della vita comune del clero presso le chiese bresciane di San Giovanni de Foris, San Faustino ad Sanguinem, San Pietro a Ripa «e forse altre ancora, pur testimoniate solo parecchio più avanti» [20].
In questi anni la comunità di San Desiderio appare legata alla potente famiglia dei Lavellongo, feudataria del vescovo e dei grandi cenobi bresciani [21]. Marchesio Lavellongo e suo figlio Gualperto esercitarono compiti di avvocazia a favore della canonica fino al 1149 [22] quando, in laubia episcopi, alla presenza del vescovo Manfredo essi, terminando i rapporti di advocationis e patrocinium nei confronti della comunità, rinunciarono ad ogni introito, diritto o proprietà derivanti da questo compito. Contatti e legami dei Lavellongo con San Desiderio non si interruppero però del tutto: pochi anni dopo un altro Lavellongo, Calapino, stipulava un contratto con l’abate del monastero di San Pietro in Monte di Serle, con un atto rogato in ecclesia Sancti Desiderii [23].
Nella seconda metà del XII secolo le notizie [24] e i documenti riguardanti San Desiderio si fanno più numerosi: gli atti, rogati presso la chiesa, «in claustro» e «sub porticu», suggeriscono migliorie e restauri del piccolo complesso ecclesiastico, forse legate all’organizzazione della comunità canonicale a cui si interessò in quegli anni anche il papa. Tra il 1174 e il 1178 Alessandro III ribadì la diretta dipendenza della canonica dalla chiesa di Roma [25] e confermò ai sacerdoti di San Desiderio l’obbligo di corrispondere sei soldi ai canonici della cattedrale che, in occasione della festa della chiesa, vi si recavano in processione [26]. Anche il successore di Alessandro III, Lucio III, confermò nel 1185 alla canonica la dipendenza da Roma, fatti salvi i diritti di patronato del vescovo di Brescia, rinnovando altresì beni e diritti dell’ente [27].
I possedimenti di San Desiderio nel XII secolo erano costituiti in prevalenza da case, prati e vigne e si distribuivano presso la città, nel suburbio di Sant’Agata [28] e presso il castello [29]; nelle «Chiusure» cittadine, in località Serpente [30] e a Sisano [31]; nel borgo di San Nazaro [32]; presso Mompiano [33]; a Lantenedolo; presso Concesio [34]; a Gussago [35]; in loco qui dicitur Be [36]. Erano compresi anche beni in Saeto [37], tra cui la chiesa di San Faustino nella medesima località, retta dai sacerdoti di San Desiderio «per canonicos Brixienses» [38].
All’inizio del Duecento i canonici di San Desiderio sostennero una causa contro Arderico de Brolo di Gussago. Le deposizioni testimoniali a favore della canonica, rilasciate nel 1203 [39] in perfetto accordo da cinque officiales e da Bianco da Torbiato [40] danno notizia dei membri della comunità nel corso del XII secolo e sulle cariche da essi avute all’interno della canonica, fanno luce su questioni giurisdizionali (prebende e diritti dei canonici) e permettono di ricostruire dettagliatamente lo status economico e patrimoniale di San Desiderio, anche in rapporto alle realtà religiose cittadine di Sant’Agata e di San Giorgio.
L’attività della canonica nel corso del XIII secolo è scarsamente nota e testimoniata da poche concessioni a livello di terre, alcune già comprese nel patrimonio immobiliare della canonica, a San Nazaro [41], al Serpente [42], a Gussago [43]: altre, forse di più recente acquisizione, a Onzato [44] e nelle Chiusure, in località Vergnano [45] e in contrata ubi dicitur in Queverte [46]. La comunità che emerge dai documenti appare composta da pochi membri, tra cui l’arciprete della pieve di Gavardo Venturino de Pasturellis (1215-1243), Zuchinus di Cothagnado (1273) e Giovanni di Gambara (1273-1278). La provenienza di questi ultimi due chierici richiama le domus cittadine degli Umiliati di San Bartolomeo di Contegnaga e Santa Maria di Gambara [47].
Un legame economico unisce inequivocabilmente San Desiderio agli Umiliati nel secolo successivo: nel 1309 i canonici affittarono agli Umiliati della domus cittadina di Santa Maria di Palazzolo una terra nelle Chiusure di Brescia, in località Gusetti [48], di cui si conservano le quietanze di pagamento fino al 1343 [49]. San Desiderio continuò per tutto il Trecento a conservare dei possessi a Mompiano [50], al Serpente [51], a Sisano [52] e delle case presso la canonica, in contrada San Desiderio [53].
La scarsità di documenti e informazioni relative al XIV secolo non permette di aggiungere altri particolari rilevanti sulla vita della canonica. Si ha notizia di una causa tra i canonici e l’arciprete di Palosco nel 1339, conclusa con una sentenza del giudice Giacomino di Provaglio [54], e di una fontana presso la chiesa, come riporta un documento di quell’anno relativo alle fontane cittadine [55]. Per quanto riguarda la comunità, nella prima metà del secolo la canonica fu retta in beneficio dal prete Pietro, dall’arciprete di Toscolano Bartolomeo de Bonallis e dall’arciprete di Provaglio Giovanni [56]: in seguito fu invece affidata a dei chierici della Chiesa di Brescia, il canonico Filiberio de Bochanis, l’arciprete Luchino de Casati e il preposito Marchione de Civilibus [57].
3. L’età moderna: Sant’Alessandro, i Celestini
Le vicende della canonica di San Desiderio nella prima metà del Quattrocento si intrecciano con quelle di altri enti religiosi e personaggi bresciani.
Nel 1416 Marchione de Civilibus, preposito della Chiesa bresciana, rector et beneficialis ecclesie sine cura Sancti Desiderii rinunciò alla carica [58]; nello stesso anno Antonio de Alchentis di Cremona riceveva in beneficio la chiesa di Santo Stefano in Castro [59]. Egli detenne l’incarico per breve tempo, dato che pochi mesi dopo risultava preposito della chiesa di Sant’Andrea burgi novi extra muros Brixie e rector e beneficialis della chiesa di San Desiderio [60] e nella documentazione non vi è più alcuna menzione del suo beneficio di Santo Stefano.
La chiesa di San Desiderio, ormai priva di una comunità e ridotta in stato di abbandono e la chiesa di Santo Stefano, anch’essa in condizione di rovina, richiamarono in quegli anni l’attenzione degli Agostiniani del vicino convento di Sant’Alessandro, che chiesero nel 1421 al papa di acquisire il beneficio. Martino V, rivolgendosi al preposito di Sant’Alessandro, Antonio Nardi di Adro, in considerazione del fatto che le chiese di San Desiderio intra citadelam e Santo Stefano intra Arcem civitatis Brixie erano disertate massicciamente dai fedeli, in stato di rovina e in esse non era garantito il servizio liturgico, decise di unirle a Sant’Alessandro, affinché gli Agostiniani se ne prendessero cura restaurandole e celebrando gli uffici divini e ricevendo per questo una prebenda annua di quaranta fiorini d’oro [61].
In seguito a questa decisione il vescovo di Brescia Francesco Marerio affidò ai regolari di Sant’Alessandro le due chiese e nel 1423 il provvedimento fu ratificato dal papa [62].
Nel 1432 il convento di Sant’Alessandro fu affidato ai Serviti [63], insieme alle chiese di San Desiderio e Santo Stefano e ai relativi beni [64].
Negli anni ’60 San Desiderio passò ai Celestini. Essi avevano dovuto lasciare nel 1433 il convento di San Martino in Castro [65], danneggiato in seguito alle battaglie cittadine e, dato che per la sua posizione a ridosso del Castello non era possibile restaurarlo, si erano trasferiti al convento di Sant’Eustacchio fuori le mura, pertinente al convento di San Domenico di Toscolano [66].
In seguito i Celestini permutarono con il vescovo Bartolomeo Malipier (1457-1464) il monastero di Sant’Eustacchio, ricevendo in cambio la canonica di San Desiderio [67].
L’insediamento dei Celestini a San Desiderio e la vita della comunità monastica conobbero diverse difficoltà nel corso del Quattrocento, come dimostrano le cause affrontate dai monaci relativamente a questioni giurisdizionali e patrimoniali [68]. La più grave si ebbe nel 1497 [69] con i Serviti di Sant’Alessandro, che reclamavano il possesso di San Desiderio ed annessi case e orti, acquistati de suis propriis monasterii pecuniis; al contrario i Celestini sostenevano che la chiesa gli era stata affidata dal vescovo Malipier in cambio di Sant’Eustacchio. Le parti si rivolsero anche al papa e coinvolsero in prima persona il vescovo, Paolo Zane: il contrasto si risolse con il suo intervento e il provvedimento che rinnovava ai Celestini il possesso di San Desiderio e ai Serviti, a titolo di ricompensa, il possesso di una terra in Bagnolo. La causa vinta contro i Serviti pare aver chiuso definitivamente le questioni e aver garantito ai Celestini il pacifico possesso della ex-canonica.
Le notizie su San Desiderio nel periodo successivo sono scarse.
Nel ’500 la comunità dei Celestini operò un rifacimento delle strutture della canonica, che venne ampliata acquisendo le case vicine e procedette al restauro della chiesa. Il complesso monastico rimase, anche dopo queste migliorie «di dimensioni e struttura piuttosto modeste» [70]. Nel 1580 Carlo Borromeo, nel corso della sua visita pastorale alla diocesi di Brescia, visitò la chiesa e il convento: la comunità era composta da tre sacerdoti e un converso [71].
Nel 1653 venne decretata la soppressione del monastero dei Celestini, ma il provvedimento fu presto annullato «per supplica della città» [72]; la piccola comunità monastica doveva evidentemente aver instaurato buoni rapporti con la realtà bresciana. San Desiderio è elencata nel seicentesco Catalogo delle chiese di Brescia di Bernardino Faino [73], senza che l’autore ne fornisca descrizione e notizie, al contrario di altre chiese contenute nel catalogo.
Nel 1772 il monastero venne soppresso [74], la chiesa, sconsacrata, divenne un deposito e gli edifici costituenti il piccolo cenobio furono venduti a privati.
Nel gennaio 1773 Giò Torre figlio di Francesco, acquisì i beni e gli immobili di San Desiderio insieme a quelli di Sant’Afra, San Clemente e Santa Francesca Romana [75].
Nel 1880 le ultime proprietarie degli immobili, le signore Fausti, donarono i chiostri e la chiesa al Pio Luogo delle Penitenti [76].
Gli edifici costituenti la canonica di San Desiderio sono stati da tempo inglobati in edifici privati. La chiesa conserva ancora in pianta la struttura quattrocentesca; ha subito nei primi anni ’90 una campagna di restauro [77] ed è da tempo sede di un’associazione teatrale.
4. L’archivio e le carte. Le attuali collocazioni archivistiche
Come si è detto, la canonica di San Desiderio fu fondata presumibilmente all’inizio del XII secolo e la prima testimonianza di vita comunitaria risale al 1133: l’ente cominciò quindi a produrre documentazione nell’arco di questi trent’anni. La maggior parte della documentazione del XII secolo è compresa tra il 1174 e la fine del secolo: questo dato sembra suggerire una maggiore vitalità e un maggiore dinamismo economico della canonica in questi anni e, di conseguenza, una maggiore produzione di documenti. D’altra parte però, il fatto che Marchesio Lavellongo concludesse nel 1149 il suo servizio di avvocazia per la canonica fa pensare ad un ente già operoso nella prima parte del secolo. L’attività e l’amministrazione della canonica dovettero quindi produrre già in questo periodo una consistente quantità di atti, che si andarono accumulando nell’archivio dell’ente.
Nel primo Quattrocento, in seguito al passaggio di San Desiderio a Sant’Alessandro, le carte della canonica entrarono a far parte del tabularium di questo ente; in occasione del successivo passaggio della ex canonica ai Celestini, i documenti tornarono a San Desiderio, confluendo nell’archivio dei monaci di San Martino. Una parte delle carte rimase però a Sant’Alessandro, dove fu copiata nel secolo successivo su un registro [78].
Attualmente le pergamene di San Desiderio sono disperse in diverse sedi di cui si dà notizia, indicando anche altri documenti e strumenti di corredo utilizzati per le ricerche sulla canonica [79].
Le più antiche pergamene di San Desiderio si trovano in alcune collezioni dell’Archivio Storico del Comune di Brescia, provenienti dalla Biblioteca Queriniana e ad essa pertinenti [80], depositate dal 1992 presso l’Archivio di Stato di Brescia. Quindici documenti, dal 1133 al 1222, fanno parte del Codice Diplomatico Bresciano [81], la collezione di antiche pergamene confluite alla biblioteca civica insieme alle raccolte librarie degli enti religiosi soppressi alla fine del XVIII secolo [82] e riordinate nel secolo successivo dall’erudito Federico Odorici [83].
La littera di Alessandro III e altri due documenti privati del XIII secolo si trovano in una collezione miscellanea dell’Archivio Storico in cui è raccolto materiale eterogeneo relativo a enti religiosi, famiglie e comuni di età medievale e moderna [84].
La bolla di Lucio III si conserva nel Fascicolo di documenti di Santa Giulia [85], che raccoglie gran parte dei documenti pubblici del cenobio benedettino nei secoli XII-XVIII, insieme a diplomi di altri enti religiosi. Il documento papale è ancor oggi conservato nella camicia cartacea ottocentesca, sulla quale vi è il numero progressivo apposto sulle pergamene della Queriniana («Protocollo Queriniano 1880 n. 83») e la nota «Depositato dall’abate Angelo Capilupi curato di Sant’Alessandro» [86].
Documenti di San Desiderio si trovano anche in Biblioteca Queriniana.
Nel manoscritto F. VI. 3m, un registro ottocentesco diviso in quattro parti, nel quale sono rilegate pergamene dei secoli XIII-XVIII pertinenti a diversi enti religiosi e istituzioni ecclesiastiche e civili, la terza parte, relativa a San Desiderio, è costituita da 41 pergamene risalenti in gran parte al Trecento [87]. Una sola pergamena cita esplicitamente San Desiderio [88]: nelle altre, tra cui alcune relative alle chiese di Santo Stefano e San Michele, non vi è alcun richiamo ai membri della comunità, ai beni, alle località già presenti in altri documenti della canonica e solo la nota di mano ottocentesca posta all’inizio della sezione [89] permette di collegare questi documenti a San Desiderio. È forse possibile che questa raccolta di munimina riguardi i Celestini e le loro attività economiche nel periodo in cui vissero a San Martino in Castro. La documentazione dei Celestini è, però, conservata all’Archivio di Stato di Milano e solo questi documenti sembrano essere rimasti a Brescia; non si conosce nulla a proposito della composizione di questo manoscritto e non è neppure chiaro come mai vi siano, all’interno della collezione, documenti di Santo Stefano e di San Michele.
Utili notizie relative alla canonica si ricavano da altri documenti relativi agli Umiliati della domus di Santa Maria di Palazzolo conservati in Queriniana, nei manoscritti F. IV. 6 m7 [90] e F. IV. 8 m1 [91].
Nel Fondo di Religione dell’Archivio di Stato di Brescia si conservano registri e carte del monastero di Sant’Alessandro [92], riguardanti in parte San Desiderio.
Il Libro primo degl’Instrumenti di Sant’Alessandro, risalente al XVI secolo [93], contiene copie di documenti di Sant’Alessandro, di Santo Stefano e di San Desiderio. Le copie di documenti di San Desiderio, redatte nel 1513 seguendo l’ordine topografico (relativo ai beni oggetto dei contratti) ammontano a dodici, dal 1174 al 1497. Notizie relative a San Desiderio si ricavano anche dall’Inventario generale dei processi tutti del venerando Monasterio di Sant’Alessandro e dal Sommario di tutti gli’instrumenti e testamenti, redatto da Giuseppe Bonomini nel 1711, anch’esso conservato nel Fondo di Religione [94].
Altri documenti di San Desiderio e relativi alla storia della canonica sono presenti nella sezione Pergamene per Fondi e nel Fondo di Religione dell’Archivio di Stato di Milano.
Nelle Pergamene per Fondi si trovano documenti relativi ai cenobi bresciani [95].
Nella busta di Sant’Alessandro, alcuni documenti risalenti al primo Quattrocento riguardano beni già appartenuti a San Desiderio e Santo Stefano [96].
Nella cartella dei Celestini [97], in cui si conservano atti a partire dal 1340, quelli relativi a San Desiderio datano dal 1416 in poi.
Due documenti di San Desiderio risalenti al XIV secolo fanno parte della Raccolta Luchi, collezione di pergamene appartenuta all’erudito abate di San Faustino (1748-51) [98].
Interessa la ricerca anche un documento conservato nella cartella relativa a San Faustino, risalente al 1278 e riguardante un contratto d’affitto stipulato dai chierici di San Desiderio in favore dell’Ospedale di San Faustino, dipendente dal cenobio [99].
Nel Fondo di Religione dell’Archivio di Stato di Milano è conservato l’Indice storico - cronologico - alfabetico delle scritture appartenenti alle raggioni del monisterio di San Martino, o’ sia San Desiderio di Brescia, dell’ordine dei monaci Celestini, comprendente anche gli Annali del monastero, redatto nel 1751 dall’archivista Angelo Franchi, che riporta notizie su San Martino, San Desiderio e regesti di molti documenti [100].
Nel Fondo di Religione si trovano anche altri documenti dei Celestini, divisi per argomenti (instrumenti, oggetti diversi, etc. ...), in diverse buste [101].
Note
[*] Questo lavoro sarebbe stato impossibile senza il prezioso contributo di Antonio Ciaralli, Ezio Barbieri, Gabriele Archetti, Ennio Ferraglio, Mariella Annibale Marchina e Gianmarco Cossandi, ai quali va il mio più sincero ringraziamento.
[1] GUERRINI, Un cardinale gregoriano a Brescia, p. 76: «In città avevano un collegio di chierici o capitolo (...) le basiliche di San Desiderio (...) questi capitoli minori erano presieduti da un praepositus e seguivano la regola agostiniana; i chierici canonici (...) convivevano a vita comune»; ID., Le chiese, p. 344 nota 10: la chiesa «era officiata da un capitolo di canonici»; VIOLANTE, La Chiesa, p. 1059, aggiunge che «il 13 gennaio (...) tra il 1174 e il 1178, Alessandro III si interessò della canonica urbana di San Desiderio» e prosegue sottolineando l’esistenza di «poche notizie (...) all’inizio del Duecento, per la canonica fondata verso la metà del secolo precedente presso l’antica chiesa di San Desiderio». Entrambi gli autori fanno riferimento ai documenti trascritti e regestati da KEHR, Papsturkunden, V, n. 21 pp. 449-50 e n. 26 pp. 457-59, e Italia Pontificia, VI, nn. 1, 3 p. 316. Ai documenti e alle osservazioni di Guerrini e Violante si richiamano gli studi successivi, tra cui I chiostri di Brescia, p. 92; BETTELLI BERGAMASCHI, Pallii serici, p. 159 nota 36, ripreso in EAD., Seta e colori, pp. 19-20 nota 43; BONINI VALETTI, La Chiesa dalle origini, p. 45.
[2] Cfr., tra gli altri, BRUNATI, Vita o gesta, p. 71 nota 72; FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione, arte, pp. 265-66; GUERRINI, Le chiese, p. 344; G. PANAZZA, Il volto storico, pp. 1064 e 1070; PANAZZA-BROGIOLO, Ricerche su Brescia altomedievale, pp. 25, 28; I chiostri, p. 72; BROGIOLO, Brescia altomedievale, p. 99; tutti questi autori fanno riferimento alla cartula del 761, di cui si tratta di seguito.
[3] ASBs, AStC, Codice Diplomatico Bresciano, busta 1, nn. III (761 marzo 25), IV (761 marzo 26), VI (761 aprile 17), edd. in Codice Diplomatico Longobardo, nn. 151-153, pp. 65-73 e in formato digitale, in Le carte del monastero di S. Giulia, nn. 2, 3, 4. Cfr. MANTEGNA-SANTONI, La scrittura dei documenti, scheda e fascimile n. 242 p. 181; BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, pp. 9-12, facsimile a p. 17.
[4] ASBs, AStC, Codice Diplomatico Bresciano, b. 1, n. V. Per le edizioni del documento cfr. la nota seguente.
[5] MURATORI, Antiquitates Italicae Medi Aevii, II, Dissertatio XXV, col. 407; a questa edizione si devono aggiungere quelle a cura di TROYA, Codice Diplomatico, V, 1, n. 762, pp. 122-123; ODORICI, Storie Bresciane, III, n. XX pp. 38-39; ID., Codice Diplomatico Bresciano, I, Torino 1871, pp. 27-28; PORRO LAMBERTENGHI, Codex Diplomaticus Langobardiae, n. 24 col. 47; Le carte del monastero di S. Giulia, n. 6.
[6] Codice Diplomatico Longobardo, n. 158 pp. 88-90. Cfr. BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, pp. 9-10.
[7] La cartula non presenta, a differenza degli altri tre documenti coevi, la tipica segnatura apposta dal benedettino Gianandrea Astezati che all’inizio del XVIII secolo raccolse e riordinò i documenti del monastero di Santa Giulia; per questo motivo si riteneva che non appartenesse al tabularium monastico (cfr. BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, p. 10 nota 5). Bisogna però osservare che non tutti i documenti di Santa Giulia, anche se presenti nell’archivio all’epoca di Astezati, furono da lui inventariati: diversi atti non recano alcuna segnatura e non sono elencati nell’inventario generale della documentazione redatto dall’archivista. Si osservi inoltre quanto riporta Gianmarco Cossandi nel commento all’edizione digitale del documento: «Del mundum non vi è traccia nell’archivio di S. Salvatore-S. Giulia, né esso risulta noto alla produzione erudita bresciana ... Altrettanto incerta appare la datazione ... La provenienza della copia dall’archivio monastico è garantita dall’identità dello scriba - il medesimo dei docc. 2, 3, e 4. Che il dettato ometta il destinatario della securitas non impedisce di ipotizzare che si tratti della badessa Anselperga, e che il pezzo qui edito sia da collocare nell’ambito delle operazioni dalla stessa condotta nel 761 per garantire il rifornimento di acqua al monastero. Si potrebbe dunque supporre che la notitia fosse vergata sul verso di una di quelle cartulae, scritte dal notaio Tanoaldus: per una di esse, avrebbe utilizzato una pergamena sul cui dorso aveva annotato la notitia di un altro negozio (questo), che - come spesso avveniva - poteva avere in comune con il documento tradito sul recto lo stesso destinatario, generalmente colui presso il cui archivio veniva conservato il documento (cfr. CENCETTI, La rogatio nelle carte bolognesi, p. 44)». Le carte del monastero di S. Giulia, n. 6.
[8] Cfr., tra gli altri, PANAZZA, Il volto storico, p. 1069; BROGIOLO, Brescia altomedievale, p. 99; ARCHETTI, Corti, chiese e castelli, p. 184-185; Le carte del monastero di S. Giulia, n. 6; per lo xenodochium di Peresindo, ID., Pellegrini e ospitalità nel Medioevo, p. 82.
[9] BOTTURI-PARECCINI, Antichi acquedotti, in particolare p. 67; BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, pp. 11-13 e relativa bibliografia.
[10] BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, pp. 9-29.
[11] A questo proposito la studiosa ha osservato come alla primitiva dedicazione della chiesa, riferita a Desiderio vescovo di Langres, venerato prima del VII secolo, si sia probabilmente sovrapposta e fusa quella all’omonimo vescovo di Vienne, il cui culto si diffuse nell’VIII secolo. Le feste di san Desiderio sarebbero due, l’11 febbraio (originaria festa di Desiderio di Langres, a cui si sovrappose quella della traslazione di Desiderio di Vienne) e il 23 maggio (originaria festa di Desiderio di Vienne). Ibid., pp. 20-24, a cui si rimanda anche per gli opportuni riferimenti bibliografici.
[12] Ibid., p. 25: «in base alle informazioni che possediamo, non riusciamo a stabilire con sicurezza se nel 761 potesse esistere o meno una chiesa (...) possiamo solo affermare che prima dell’XI secolo si celebravano a Brescia due feste in onore di San Desiderio». GUERRINI, Le chiese, p. 344, fissa arbitrariamente la fondazione della chiesa all’anno 750 circa e altrettanto arbitrariamente aggiunge che fu «dotata di beni demaniali nella Valle Camonica (...), aveva dei beni a Sellero (...) dove esiste ancora l’antica parrocchiale intitolata a san Desiderio».
[13] Cfr. GUERRINI, Le chiese, p. 344. La chiesetta è situata nel tratto terminale di via G. Rosa, all’incrocio con vicolo Sant’Urbano, in corrispondenza della scalinata che sale al colle.
[14] Si ricordino almeno le chiese di San Giorgio; San Michele; San Giovanni Piccolo o de Intus (San Zanino); San Martino in Castro; San Pietro a Ripa; San Pietro in Castro, poi in Oliveto, oltre, naturalmente, al monastero di San Salvatore-Santa Giulia. Per queste chiese e le fondazioni presenti prima dell’VIII secolo cfr. tra l’altro GUERRINI, Le chiese, pp. 343-48; PANAZZA, Il volto storico, pp. 1062-1070; BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori, pp. 17-18; ANDENNA, Foris muros civitatis, pp. 237-238.
[15] Cfr. GUERRINI, Le chiese, p. 344: «Che sia stata personalmente fondata dal re Desiderio, per onorare il suo santo patrono, e non da altri (...) è ovvio pensare. Caduta la monarchia longobarda (...) nessuno avrebbe potuto pensare di erigere e dotare una chiesa che ricordasse nel titolo (...) il nome dell’ultimo re».
[16] Ed. in Le carte di San Pietro, doc. 11, 1120 marzo 17.
[17] Doc. 1.
[18] Da identificarsi probabilmente con il loco Lantana o Antana, località oggi scomparsa presso Garda (Vr). Cfr. SALA, Le carte dell’archivio di Santa Giulia, doc. 11. L’identificazione di questo toponimo con una località sul lago di Garda si accorda con la provenienza di Ariprando e Oriana da Desenzano ed è da preferire a Lantana (Bg), località della Val di Scalve presso Castione della Presolana.
[19] Per quanto riguarda le caratteristiche delle comunità canonicali, si faccia riferimento almeno a quanto riportato nel Dizionario degli istituti di perfezione, II, Roma 1975, p. 50, s.v., Canonica. A proposito delle canoniche regolari bresciane nel XII secolo, cfr. ANDENNA, Canoniche regolari, pp. 119-132.
[20] VIOLANTE, La Chiesa, p. 1045, anche pp. 1039, 1043-1044; è il caso, ad esempio, della chiesa e della comunità eremitica fondata da san Costanzo sul monte Conche di Nave (cfr. ARCHETTI, La valle del Garza, pp. 113-114). Per la figura di Arimanno, oltre al già citato lavoro di GUERRINI, Un cardinale gregoriano, cfr. FOGGI, Arimanno da Brescia, legato pontificio, riportato in ANDENNA, Canoniche regolari, p. 121.
[21] Per i Lavellongo cfr. MENANT, Le monastère de Santa Giulia et le monde féodal, p. 124; ARCHETTI, Signori, capitanei e vassalli a Brescia, pp. 177 e 181-183. Fè d’Ostiani ipotizza che i Lavellongo possedessero la chiesetta di San Michele in Castro, vicina a San Desiderio, sul confine delle mura del castello: FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione, arte, pp. 266-267. Nel ’400 la zona presso San Desiderio faceva ancora riferimento ai Lavellongo, come testimonia un atto di vendita rogato «in Citadella veteri civitatis Brixie, in domibus habitationis infrascripti (...) emptoris, contrate Fontis illorum de Lavellolongo sive Sancti Iohannis Evangeliste seu Sancti Desiderii» (BQBs, ms. L. fI. 2, perg. 83, 1428 dicembre 31).
[22] Doc. 2. La presenza di Marchesio Lavellongo tra i testimoni della refuta delle terre di Lantanedolo nel 1133 si può forse leggere in relazione al suo ruolo di rappresentante legale della canonica.
[23] Ed. in Le carte del monastero di San Pietro in Monte di Serle, n. 68 pp. 134-135.
[24] Nel 1166 Alberto sacerdos Sancti Desiderii compariva in qualità di testimone in un’investitura compiuta dal preposito di San Pietro in Oliveto. Cfr. Le carte di San Pietro, doc. 28, 1166 luglio 3.
[25] KEHR, Italia Pontificia, VI, p. 316 n. *2; VIOLANTE, La Chiesa, p. 1059; I chiostri, p. 9.
[26] Doc. 5. Cfr. VIOLANTE, La Chiesa, p. 1059 e I chiostri, p. 92. Il documento è interessante perché fa riferimento al fondatore della ecclesia di San Desiderio (che aveva istituito la processione annuale) senza specificarne l’identità e a un documento di fondazione dell’istituzione religiosa.
[27] Doc. 9.
[28] Docc. 3-4.
[29] Doc. 6.
[30] Località presso le Fornaci di Brescia, dove esiste ancora l’omonima via. Il toponimo Cerropicto, poi Zer Pent o Cerpento, si riferiva ad un’immagine votiva dipinta su una tavoletta di legno di cerro posta sulla strada Brescia-Roncadelle, per indicare l’hospitale di Santa Maria. GNAGA, Vocabolario topografico-toponomastico, p. 565; OLIVIERI, Dizionario di toponomastica, p. 503. Cfr. i docc. 7, 8, 12, 15.
[31] Località ora scomparsa nelle Chiusure di Brescia, presso il Mella. Vi aveva beni anche il monastero di Santa Giulia: cfr. ZILIOLI FADEN, Le pergamene del monastero di Santa Giulia, doc. 10.
[32] Doc. 9.
[33] Vi si trovava la scomparsa località Aiono. Doc. 14.
[34] Doc. 9.
[35] Doc. 9.
[36] Località di ubicazione ignota. Era sede di un clausum dei canonici (doc. 12) alla cui manutenzione era dedicato un capitolo di spesa della comunità (doc. 16). È possibile che Be si identifichi con una località nelle Chiusure di Brescia, intensivamente coltivate a vigna nel medioevo. Sembra da scartare l’dentificazione con una località presso Asola, come suggerirebbe la provenienza di Antonio de Be, ministro dell’ospedale di Santa Maria del Serpente nel 1393: ASBs, Fondo Ospedale Maggiore, Strumentario di Santo Spirito, f. 169: cfr. MARIELLA, Le origini degli ospedali, p. 42. Problematica è anche l’identificazione con Cros di Be, (l’antica Crucem Bonorum) corrispondente, secondo Guerrini, «al Crocicchio dei Boni, attuale crocicchio via Trieste-via G. Rosa presso il Vescovado». GUERRINI, Le antiche fontane, p. 18 nota 46. L’etimologia del termine appare in ogni caso legata alla coltivazione della vite: nel dialetto bresciano l’espressione no ésega de fa bè significa «non esser terreno da por vigna»; cfr. MELCHIORRI, Vocabolario bresciano-italiano, s.v., be.
[37] Di probabile identificazione con Saino, località non più esistente sulla strada che congiunge Brescia a Orzinuovi. In una mappa dell’Ospedale Maggiore di Brescia del 1792 è indicato il «tipo del corso del fiume grande [il Mella] dal molino di San Pietro al molino Saino». ASBs, Mappe Ospedale, n. 106.
[38] Dietro pagamento di un censo annuo di quattro denari. La chiesa di San Faustino di Saeto era ancora in possesso di San Desiderio nel ’400: a quest’epoca, come si dirà, il beneficio di San Desiderio era stato acquisito dai Serviti di Sant’Alessandro e questi ultimi dovevano corrispondere «quattro imperiali di moneta vecchia per il censo e i beni della chiesa di San Faustino di Saiedo unita alla chiesa di San Desiderio di Castello (...) [che] pagar si devono alli suddetti canonici [della Cattedrale] ogni anno nella festa di san Martino». ASBs, FR, b. 22, f. 28v: regesto 1432 novembre 29.
[39] Doc. 16.
[40] Dominus Bianco, appartenente alla famiglia dei da Torbiato, testimoniò a proprosito dei suoi ricordi che coprivano un arco di ben cinquant’anni durante i quali egli «usus est in contrata Sancti Desiderii et usatum habet cum fratribus, et eis omni anno solvit fictum». Il suo rapporto con la canonica risaliva al 1150 ca., periodo in cui San Desiderio aveva sciolto, almeno formalmente, i legami con la famiglia Lavellongo.
[41] ASMi, PF, b. 68, cart. 35 a, perg. 1278 gennaio 18. MARIELLA, Le origini degli ospedali, p. 16.
[42] Doc. 17; cfr. anche ASBs, FR, b.20, ff. 1r-2v: 1275 aprile 5 (copia semplice a. 1513).
[43] ASBs, FR, b.20, ff. 8v-9r: 1215 ottobre 8 (copia semplice a. 1513). Cfr. ARCHETTI, Vigne e vino nel Medioevo, p. 87; ID., Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa medievale, Brescia 1998 (Fondamenta 4), pp. 241-242.
[44] ASBs, AStC, Miscellanea di pergamene, cart. 3 n. 166, 1205 aprile 3.
[45] ASBs, AStC, Miscellanea di pergamene, cart. 3 n. 165, 1203 aprile 18: cfr. ARCHETTI, Vigne e vino nel Medioevo, p. 87; ID., Tempus vindemie, p. 242 nota 35. Per Vergnano cfr. anche BQBs, ms. F.VI.3 m3, perg. 35, <sec. XII> gennaio 14.
[46] ASBs, FR, b. 20, 1243 (copia semplice a. 1513).
[47] Per gli Umiliati a Brescia, cfr. almeno VIOLANTE, La Chiesa, pp. 1079-81, 1089, 1095-96. La domus di Santa Maria di Gambara, appartenente al secondo ordine, era stata fondata nel 1200 circa da Giovanni di Gambara e da sua figlia; la domus di San Bartolomeo di Contignaga apparteneva anch’essa al secondo ordine. Per un approfondimento di alcune questioni relative agli Umiliati tra XIII e XIV secolo, cfr. ARCHETTI, Gli Umiliati e i vescovi, pp. 267-314, e bibliografia.
[48] BQBs, ms. F.IV.6 m7 perg. 1, 1309 novembre 17 (copia autentica a. 1313).
[49] Le quietanze sono conservate con altri documenti relativi alla domus di Santa Maria di Palazzolo, in due manoscritti della biblioteca Queriniana: si conservano le ricevute del 1312 novembre 24 (BQBs, ms. F.IV.8 m1, perg. 6), 1314 novembre 17 (BQBs, ms. F. IV. 6m7, perg. 3), 1317 novembre 14 (BQBs, ms. F.IV.8 m1, perg. 13), 1320 novembre 13 (ibid., perg. 8) 1325 novembre 15 (ibid., perg. 11), 1327 novembre 16 (ibid., perg. 12), 1330 novembre 20 (ibid., perg. 5), 1337 novembre 16 (ibid., perg. 9) e 1343 novembre 22 (ibid., perg. 22). Una quietanza relativa all’anno 1340 si trova in ASMi, PF, b. 103: perg. 1340 novembre 29.
[50] ASBs, FR, b. 20, f. 13v, 1310 febbraio 15 (copia semplice a. 1513), riguardante beni in contrada Lambaraga. Beni in contrada Aiono risultano tra i possedimenti della canonica all’inizio del ’400: cfr. Ibid., ff. 13v-14r, 1417 maggio 12 (copia semplice a. 1513).
[51] Ibid., ff. 12v-13r, 1359 marzo 24 (copia semplice a. 1513).
[52] Ibid., f. 11v, 1388 (copia semplice a. 1513).
[53] ASMi, Registri, 225, regesto 1309 novembre 16. Anche nel secolo successivo le case in contrata San Desiderio furono affittate più volte: ASBs, FR, b. 22, regesti 1432 ottobre 5, 1455 febbraio 22, 1457 aprile 21.
[54] BQBs, ms. H.III.11 m3: Corporazioni religiose soppresse. Si tratta di un elenco ottocentesco di documenti degli enti religiosi bresciani, pervenuti alla Queriniana in seguito alle soppressioni della fine del ’700. Il documento di cui si tratta, risalente secondo l’inventario al 1339 maggio 7, non si è reperito né nei fondi della Biblioteca Queriniana, né in quelli degli Archivi di Stato di Brescia e Milano dove si conserva altra documentazione relativa alla chiesa di San Desiderio.
[55] GUERRINI, Le antiche fontane, p. 17: «Anchora uno canò de fontana che descor per me la chiesia di Sanct Desiderio»; cfr. anche I chiostri, p. 92.
[56] Pietro prete e rettore compare nel 1309 e nel 1330 e si può forse identificare con il prete Pietro filius Maferi de Provalio presente nel 1314; Bartolomeo de Bonallis, arciprete della pieve di Toscolano e di Salò, compare nella documentazione negli anni 1309-1343 con i titoli di clericus, confrater, sindicus, procurator e beneficialis della canonica. Egli fu nominato sindicus et procurator nel 1338 (ASMi, PF, b. 103, perg. 1338 novembre 22). Giovanni arciprete della pieve di Provaglio è presente negli anni 1312-1330 con i titoli di rector, benefactor <così, si intenda beneficialis>, nuntius, procurator e sindicus.
[57] Filiberio de Bochanis, canonicus Brixie, rector et beneficialis della chiesa di San Desiderio, agente pro se et nomine et vice dicte ecclesie et capituli et conventus eiusdem, nel 1359: Luchino de Casati archipresbiter Ecclesie maioris Brixie, rector et administrator della chiesa di San Desiderio, nel 1388; Marchione de Civilibus come si dirà, nel 1416 rinunciò al beneficio della chiesa di San Desiderio: in mancanza di altri riscontri documentari, la sua presenza come rettore della canonica si può datare tra il 1388 ed il 1416.
[58] ASBs, FR, b. 20, f. 5r, perg. 1416 gennaio 31 (copia semplice a. 1513). Regesto in ASBs, FR, b. 22 f. 26r (con data 1416).
[59] BQBs, ms. F.VI.3 m2, perg. 15, 1416 febbraio 18; ASBs, FR, b. 20, f. 5r-v (copia semplice a. 1513). Antonio de Alchentis aveva rinunciato al beneficio del monastero di San Salvatore nel suburbio bresciano (occupato dai canonici di Sant’Agostino) e per questo necessitava di un nuovo beneficio, concessogli dopo la rinuncia dei detentori di Santo Stefano Barnaba de Gonessa arcidiacono della Chiesa maggiore di Brescia e Gerardino de Tuschis decretorum doctor e priore del monastero di San Pietro Vetere di Fermo. Si fa riferimento all’antica chiesa di Santo Stefano in Arce, sulla spianata del Castello, di cui si conservano i resti presso la Torre Mirabella.
[60] ASMi, PF, b. 93 cart. 45, perg. 1416 giugno 22.
[61] ASBs, FR, b. 20 ff. 5v-7v; regesto in ASBs, FR, b. 22, f. 26r, 1421 agosto 28: «Il sommo pontefice Martino V unisce le chiese di Santo Stefano di Castello con quella di San Desiderio alla chiesa e prepositura di Sant’Alessandro di Brescia».
[62] Cfr. ASBs, FR, b. 22, regesti a. 1421: «Attesa la detta unione di dette chiese a quella di Sant’Alessandro, il reverendo preposito di questa fratre Antonio Nardi dell’ordine dei canonici regolari di Sant’Agostino, insieme con altri canonici dell’ordine, essendo il vescovo di Brescia il reverendissimo domino Francesco Marerio, prende il possesso di detta chiesa»; 1423 aprile 12: «il sommo pontefice unisce la detta chiesa di San Stefano e San Desiderio alla detta prepositura». Antonio de Alchentis continuò a detenere il beneficio della chiesa di San Desiderio almeno fino alla fine del 1422: cfr. ASMi, PF, b. 93 cart. 45: perg. 1422 agosto 17 e 1422 dicembre 31. Per i documenti riguardanti i beni di San Desiderio dopo l’unione a Sant’Alessandro cfr. ASMi, PF, b. 62 cart. 28, perg. 1431 luglio 31, e ASBs, FR, b. 22: regesti 1428 febbraio 17; 1428 ottobre 29; 1428 novembre 19; 1430 novembre 14; 1431 giugno 13 e nota 64.
[63] BONINI VALETTI, La Chiesa, p. 58. I Servi di Maria insediatisi a Sant’Alessandro erano giunti a Brescia da Bologna nel 1430; cfr. I chiostri, p. 71.
[64] ASBs, FR, b. 22: regesti 1432 ottobre 5; 1432 novembre 29; 1437 marzo 7; 1455 febbraio 22; 1457 aprile 21.
[65] I Celestini si erano insediati a San Martino in Castro nella prima metà del ’300, nella struttura precedentemente occupata da una comunità canonicale femminile istituita probabilmente dal vescovo Raimondo (1153-73) e presto riconosciuta da Alessandro III; nel 1257 Alessandro IV aveva concesso alla canonica la protezione apostolica e la libera scelta dei canonici per l’officiatura della chiesa e l’assistenza sacramentale, riconosciuto beni e diritti e limitato il legame con la Chiesa bresciana al censo ricognitivo di dodici imperiali (Les registres d’Alexandre IV, pp. 610-611, n. 1978; cfr. ARCHETTI, Dal castello al borgo: Paderno Franciacorta in età medievale, in Paderno Franciacorta dal Medioevo al Novecento, pag. 41, nota 73). Non si conosce l’anno esatto del passaggio di San Martino dalle canonichesse ai Celestini; secondo quanto riportato nell’Indice redatto da Angelo Franchi nel 1751 (ASMi, Registri, 225) i Celestini erano già subentrati a San Martino nel 1336, anno del primo documento che li citava (Ibid., regesto 1336 aprile 12: «I confratelli di San Martino acquistano da Bertolino e Giacomino le loro ragioni di una terra sita sopra il tener di Paderno in contrada Capo de Chiosi, di 50 tavole»). La data 1336 come terminus ante quem per l’insediamento dei Celestini a San Martino è riportata in una Relazione del Stato del monistero di San Desiderio di Brescia delli effetti, affitti e spese (...) in esecuzione del breve di Innocenzo X del 22 febbraio 1649 (ASMi, FR, b. 3367; la stessa data è riportata ne I chiostri, p. 161). L’arrivo dei Celestini a Brescia può essere retrodatato all’inizio del XIV secolo in base alla testimonianza fornita dal Registro 25 della Mensa Vescovile di Brescia (AVBs, Mensa, Registro 25, f. 225v), risalente al 1304, in cui si cita un domino fratre Thomaxio priore ecclesie Sancti Martini de Castro Brixie. È probabile quindi che l’arrivo dei Celestini a Brescia sia avvenuto sotto l’episcopato di Berardo Maggi (1275-1308), pressochè contemporanemanete a quanto accadde a Bergamo, dove verso il 1310 i Celestini furono chiamati dal cardinal Longhi nei monasteri cittadini di San Nicolò e Santo Spirito (LUNARDON, I Benedettini nella Bergamasca, p. 15).
[66] ASMi, PF, b. 93 cart. 45, perg. 1433 ottobre 19 (regesto in ASMi, Registri, 225 ff. 6v-7r e p. 309): «In civitate Brixia, in claustro monasterii Sancti Faustini maior de Brixia, iuxta locum capituli dicti monasterii. (...) Cum monasterio et domus monasterii Sancti Martini ad montem Castri Brixie ordinis Celestinorum, propter occursas gueras in civitate Brixia fuerit et sit destructu et occupatum, et cum sit prope Castrum Brixie, non sit permissum nec permittatur rehedificari et refieri (...) cum ipsum monasterium repperari non permittatur et cum dictus monasterium habeat in civitatis et diocessi Brixie bona immobilia, et dictus ordo in hac civitatis Brixie habere desideret locum et monasterium ubi residere possint (...)». Il convento di San Martino in Castro fu distrutto dai francesi (1509-1512) che costruirono al suo posto il bastione di fronte a San Pietro in Oliveto: cfr. VILLARI, Le fortezze veneta e viscontea, p. 56. La studiosa trae la notizia da un documento dei Celestini del 1520, in ASMi, FR, b. 3367. A questo proposito si dovranno emendare i dati cronologici riportati da FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione, arte, p. 265: «I Celestini (...) abitavano presso la chiesa di San Martino in Castro, ma (...) le rovine avvenute durante l’assedio del 1438 e i lavori (...) fatti dai veneti dopo il 1516 obbligarono quei monaci a discendere a San Desiderio»; da CISTELLINI, La vita religiosa, pp. 414-415 (nota 2), secondo il quale fu il vescovo De Dominici (1464-1478) ad effettuare il passaggio dei Celestini da San Martino a Sant’Eustacchio; da SPINELLI, Ordini e congregazioni religiose, p. 312: «I Celestini (...) nel 1437 trasferirono la loro sede da San Martino in Castro, abbattuta dai veneziani, a Sant’Eustacchio, da dove nel 1497 passarono nell’antica canonica di San Desiderio». Si osservi inoltre quanto riportato negli Annali dei Celestini: nel 1436 «Pretendendo il prevosto di Toscolano inferir molestia al priore e ai monaci di San Martino abitanti nella chiesa e monastero di Sant’Eustacchio nel possesso di questi luoghi, nonosante la concessione fatta con il documento del 1433 ottobre 19, il principe di Venezia ordina e comanda che detti priori e monaci siano posti nell’attuale e legittimo possesso di detti luoghi» (ASMi, Registri, 225, f. 8v, regesto 1436 marzo 2), che dimostra che in quell’anno i Celestini si trovavano effettivamente a Sant’Eustacchio. L’osservazione di Peroni, secondo la quale i Celestini «provenienti dal monastero di San Martino in Castro», occuparono «per un certo periodo nel secolo XV» i chiostri di San Clemente (PERONI, L’architettura e la scultura, p. 689), necessita di un approfondimento: la proposta di trasferimento dei Celestini a San Clemente, presente nelle Provvisioni del Comune di Brescia del 30 maggio 1433 (ASBs, AStC, Provvisioni 1433, n. 486) non sembra essere stata attuata o, almeno, non ve n’è alcun accenno nella documentazione dei Celestini. A questo proposito Fè D’Ostiani osserva: «Non trovai documenti che mi assicurassero che i Celestini l’abbiano retta [la chiesa di San Clemente] (...) alla fine del secolo era ancora retta da un secolare». FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione, arte, p. 253.
[67] La data esatta del passaggio dei Celestini a San Desiderio si conosce. La notizia è riportata negli Annali (ASMi, Registri, 225, f. 3v): «Dopo alcuni lustri [dal 1433] seguì permuta tra li Celestini e il vescovo di Brescia, cui fecero rinoncia del detto monisterio e loro in concambio fu assegnata l’antica chiesa di San Desiderio sita nella città fin dall’anno 1309 <così>, assieme con le case ed orti contigui, resa vacante per la morte occorsa al prevosto di Sant’Andrea di Borgo novo qual erane possessore». La permuta si deve in ogni caso attribuire al vescovo Bartolomeo Malipier (1457-1464), come si dirà in seguito. Il provvedimento fu approvato nel 1468 da papa Paolo II: cfr. KEHR, Italia Pontificia, p. 315, ripreso da VIOLANTE, La Chiesa, p. 1122 (Si fa probabilmente riferimento alla bolla pontificia del 1468 marzo 23, conservata presso l’Archivio Capitolare di Brescia, perg. 125, per cui cfr. Le pergamene, n. 152 pp. 107-108: in quell’anno il priorato di San Martino era già unito alla Mensa del Capitolo Cattedrale). Si osservi che, negli Annali e nell’Inventario dei Celestini non vi è alcun accenno ad un documento attestante passaggio dei Celestini a San Desiderio. Inoltre nei regesti degli anni 1467-1534 si citano indifferentemente «il priore di San Martino e San Desiderio», «il priore di San Desiderio o San Martino», «il priore di San Desiderio, altre volte di San Martino», segno che i monaci continuarono a fare riferimento al titulus del primitivo monastero per lungo tempo dopo il passaggio a San Desiderio.
[68] Cfr. le cause riportate negli Annali: con i canonici della cattedrale di Brescia per il priorato di San Martino, dal 1471 (ASMi, Registri, 225, p. 309. Questo documento si identifica probabilmente con quello del 1471 aprile 24 conservato presso l’Archivio Capitolare di Brescia, perg. 130, per cui cfr. Le pergamene, doc. 159 pp. 112-113, da cui si viene a sapere che il priorato di San Martino era stato unito al Capitolo Cattedrale per volontà di Bernardo Marcello, abate di San Faustino, e del preposito della chiesa di San Bartolomeo di Castegnato, contro il parere di Donato da Bergamo, superiore dei Celestini della Provincia Lombarda); con i Carmelitani a proposito del vilasso della chiesa di San Desiderio, nel 1489 (Ibid., p. 311: «Essendo passato a miglior vita il priore di San Martino e di San Desiderio, ed avendo il padre frate Francesco di Venzia dell’ordine dei Carmelitani usata violenza con l’introdersi nel dicto monastero, il principe di Venezia, a supplicazione dei Celestini, commanda ed ordina che i monaci siano conservati nel loro possesso fino alla decisione della controversia») risoltasi a favore dei Celestini; le pretese del protonotaro apostolico Camillo Pepoli nel 1492 (ASBs, FR, b. 23: Filza di atti diversi, 1433-1771, perg. a. 1492; regesto in ASMi, Registri, 225, p. 311) e infine la causa con Sant’Alessandro nel 1497, per cui cfr. la nota seguente.
[69] ASMi, FR, b. 93 cart. 45, perg. 1497 maggio 17; (copia semplice a. 1513, ASBs, FR, b. 20, ff. 3r-5v; regesto, ASBs, FR, b. 22, f. 45v e ASMi, Registri, 225, a. 1497). Questo documento attesta che il passaggio dei Celestini a San Desiderio avvenne durante l’episcopato di Bartolomeo Malipier. Ad un’errata comprensione di quanto riportato in questo atto si deve probabilmente attribuire la notizia, riportata nella già citata Relazione del Stato del monistero di San Desiderio (...) (ASMi, FR, b. 3367), che attribuisce il passaggio dei monaci a San Desiderio all’iniziativa del vescovo Paolo Zane, che si limitò invece a ribadire il possesso della chiesa da parte dei Celestini.
[70] I chiostri, p. 92.
[71] Cfr. Visita apostolica e deceti di Carlo Borromeo, p. 140; v. anche quanto riportato a proposito del monastero delle Convertite, presso San Desiderio (Ibid., p. 407): «Clausura non est satis tuta, ulla ex parte cohaeret cum fratribus Sancti Desiderii, in quo monasterio commorantur duo fratres».
[72] ASMi, Registri, 225, c. 5r.
[73] FAINO, Catalogo delle chiese di Brescia, Brescia 1961, p. 13; I chiostri, p. 92.
[74] Cfr. BRUNATI, Vita o gesta, p. 71; COCCHETTI, Storia di Brescia e la sua Provincia, p. 114.
[75] ASBs, Cancelleria Prefettizia Superiore, n. 59: Culto. Corporazioni religiose soppresse, doc. 31 gennaio 1773.
[76] FÈ D’OSTIANI, Storia, p. 266; I chiostri, p. 92.
[77] BETTELLI BERGAMASCHI, Pallii serici, p. 159 (nota 36).
[78] V. oltre, a proposito del Libro primo degl’Instrumenti del monastero.
[79] Nelle note seguenti si riportano, a titolo riassuntivo, le segnature dei documenti utilizzati per la ricerca e già citati in questo contributo.
[80] FERRAGLIO, Fonti per la storia, p. 116. Per l’Archivio Storico Civico cfr. NAVARRINI, L’Archivio Storico del Comune di Brescia, pp. 293-321.
[81] ASBS, AStC, Codice Diplomatico Bresciano, bb. 5-8.
[82] A proposito delle soppressioni degli enti religiosi cfr. SPINELLI, L’estinzione rivoluzionaria dei monasteri cassinesi nella Lombardia Veneta (spigolature archivistiche), in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870). Atti del II Convegno di studi storici sull’Italia benedettina. Abbazia di Rodengo, Brescia, 6-9 settembre 1989, Cesena 1992, pp. 39-57; per gli eventi bresciani alla fine del sec. XVIII LECHI, Il miraggio della libertà, pp. 20-30.
[83] Odorici operò nel 1852 una cernita del materiale documentario pervenuto in Biblioteca Queriniana. Lo studioso raccolse le più antiche pergamene in volumi, sui quali trascrisse e regestò moltissimi documenti di interesse bresciano tratti da svariate fonti e parallelamente raccolse anche antichi documenti e testimonianze in un suo personale Codice Diplomatico. Gran parte di questi materiali furono pubblicati nei volumi III-IV della sua opera storica, le Storie Bresciane. Cfr. i brevi accenni alla creazione del Codice e all’operato di Odorici in VECCHIO, La Cerezzata di Ome in un documento del 1155, in La terra di Ome in età medievale, a cura di G. Archetti e A. Valsecchi, Brescia 2003, pp. 273-279.
[84] ASBS, AStC, Miscellanea di pergamene, cart. 3, n. 165, n. 166, n. 199 (doc. 5 di questa edizione).
[85] ASBs, AStC, Santa Giulia, b. 2 n. 17 (doc. 9 di questa edizione).
[86] Angelo Capilupi (1827-1890), parroco di Sant’Alessandro tra il 1850 ed il 1851, esperto di archivi parrocchiali e prefetto dell’Archivio Storico Civico dal 1885 al 1890. È difficile dire se Capilupi avesse tratto questa pergamena da Sant’Alessandro, dove si trovava come curato: in questo caso il documento sarebbe scampato ai versamenti all’Intendenza di Finanza e a Milano (per cui cfr. la nota 85). Egli potrebbe anche averla acquistata, trovata o scorporata da altre sedi. Nel primo caso, sarebbe possibile attribuire a Capilupi il versamento in Queriniana anche degli altri documenti di San Desiderio oggi nei fondi dell’Archivio Storico Civico.
[87] Un documento risale al 1259 (perg. 1), uno al 1513 (perg. 41), tutti gli altri al XIV secolo.
[88] Perg. 35, sec. XIII gennaio 14.
[89] «N° 44 <così> pergamene risguardanti <così> il monastero di San Desiderio a Brescia».
[90] «Carte spettanti al fiume Garza e Garzetta e al fiume Salso o Salato. Istrumenti per varie acque e seriole di Manerbio».
[91] «Carte degli Umiliati di Santa Maria di Palazzolo».
[92] Il monastero di Sant’Alessandro venne soppresso nel 1797; la chiesa, in un primo tempo destinata a infermeria militare, venne poi riaperta al culto e divenne sede della parrocchia, mentre il convento fu utilizzato dal 1812 come arsenale. I chiostri, p. 71. La documentazione dell’archivio di Sant’Alessandro fu consegnata all’Intendenza di Finanza, dove nel 1812 Paolo Brognoli la comprese nel novero dei documenti da versare all’archivio Diplomatico di Milano (ASBs, Prefettura del Mella, b. 209, Elenco delle pergamene levate per l’archivio Diplomatico in Milano nel Regio Demanio di Brescia, provenienti dalle corporazioni soppresse: nell’elenco delle 1918 pergamene bresciane da versare a Milano, un nucleo consistente proveniva da Sant’Alessandro. Cfr. Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, p. 3). I registri e le carte sciolte di età moderna rimasero presso la Finanza, dove l’archivista del comune Antonio Lodrini li scorporò dal materiale destinato al macero: questa documentazione venne versata nel 1874 all’Archivio di Stato di Brescia, andando a costituire il Fondo di Religione. Per quest’ultimo cfr. ANNIBALE MARCHINA, Il Fondo di Religione, pp. 125-172.
[93] ASBs, FR, b. 20. Il manoscritto risale al 1513, con aggiunte fino al 1580.
[94] ASBs, FR, b. 22: «In questo registro si contien l’inventario generale dei processi tutti del reverendo monastero di Sant’Alessandro, così di liti, come d’altra materia, disposti in mazzi e numeri, come pure un succinto summario di tutti l’instrumenti, e testamenti, da’ quali si veda con ordine successivo de tempi tutto ciò, che dal convento medesmo, a da Padri in esso comoranti in loro specialmente è stato fatto, come anco ogni cosa, che in rigor di testamenti o’ sta’ lasciato tanto al convento stesso, come a’ padri in particolare, fatto da me Giosaffo Bonomini l’anno 1711».
[95] La creazione della sezione Pergamene per Fondi risale al 1807, quando si decise si istituire un archivio Diplomatico nell’Archivio di Stato di Milano. Si provvide ad estrarre tutte le pergamene dai fondi degli enti religiosi lombardi soppresi pervenuti all’Archivio, spezzando così il vincolo che univa le carte tra di loro; le pergamene più antiche vennero tutte collocate in ordine cronologico nel Museo Diplomatico, mentre la documentazione dal XII secolo in poi venne raccolta, sempre in ordine cronologico e distribuita in diverse serie, tra cui Bolle e Brevi e Pergamene per Fondi. Cfr. BARBIERI, Per l’edizione del fondo documentario, pp. 55 sgg.
[96] ASMi, PF, b. 62, cart. 28: Sant’Alessandro.
[97] ASMi, PF, b. 93, cart. 45: San Desiderio olim San Martino.
[98] ASMi, PF, b. 103: Brescia Varie. Raccolta Luchi.
[99] ASMi, PF, b. 68, cart. 35 a: San Faustino, 1278 gennaio 18. Giovanni di Gambara prete e confrater e Guglielmo di Cassolta chierico, sindici e procuratores della chiesa di San Desiderio, secondo quanto contenuto in un atto del 28 settembre 1276, investono Massaria, agente a nome dell’ospedale di San Faustino di una terra con casa, fundo et area sita in borgo San Nazaro, (terra già tenuta da Ugolino figlio del fu Martino Ardengi de Mado e da Marchesia sua moglie, che l’avevano venduta a Massaria per quattro lire di imperiali) - per il fitto annuo di cinque imperiali e una asse di moneta nuova di Brescia, da consegnarsi a san Martino.
[100] ASMi, FR, Registri, 225: San Desiderio olim San Martino.
[101] ASMi, FR, bb. 3366-3368: San Desiderio olim San Martino. Solo alcuni documenti di queste buste sono stati utilizzati per la ricerca; non si è invece visionato il registro di Gian Galeazzo Visconti del 1456, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, riportante la notizia che «Heinricum imperatorem bona confirmasse, quae Walpertus iudex palatii et Fraxia iugales ecclesiae beati Desiderii obtulerunt» (KEHR, Italia Pontificia, VI, p. 316).