Introduzione
- Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano: brevi cenni storici
- Da Brescia a Milano: le vicende dell’archivio dopo la soppressione
- L’antico archivio del monastero sulla base di un inventario del secolo XVIII
- Gli ordinamenti archivistici adottati prima del XVIII secolo
- Ipotesi sull’originaria consistenza dell’archivio
1. Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano: brevi cenni storici
Le notizie relative alle origini del monastero sono scarse, frammentarie e di incerta attendibilità. La storiografia e l’erudizione locale hanno infatti avanzato molte ipotesi, basate però su congetture, dal momento che nella documentazione non si trovano in nessun caso menzioni della fondazione, o delle vicende e delle persone ad essa legate. La perdita della parte più antica dell’archivio del cenobio [1] ha reso sostanzialmente impossibile la ricerca in tal senso.
È tuttavia sicuro che gli esordi della comunità religiosa sono da ricercarsi nell’alto Medio Evo, forse in epoca longobarda [2]. Le prime attestazioni della sua esistenza sono da ritrovarsi in due documenti risalenti al IX secolo, un diploma imperiale ed un atto privato [3], che costituiscono, per lo meno, un terminus ante quem: a quell’epoca infatti, la vita del cenobio risulta già iniziata e si fa riferimento alla gestione di una dotazione patrimoniale e a donazioni ricevute all’epoca del vescovo Notingo, che è a capo della diocesi di Brescia dall’844 all’865 [4].
Le informazioni che si possono trarre dalla documentazione pervenutaci, a partire dal 1152 [5], mostrano l’immagine di un ente ecclesiastico di una certa importanza, con una solida base fondiaria, gestita di preferenza mediante investiture perpetue. I beni sono situati per la maggior parte in Brescia, nelle zone della quadra Sancte Agathe, di Landore, dei Campi Bassi e delle Chiusure; si tratta in genere di appezzamenti di dimensioni non grandi, spesso destinati a coltivazioni di un certo valore, quali l’orticoltura o la viticoltura, come caratteristico dei terreni suburbani [6]. Ad essi si devono aggiungere altri immobili situati nelle aree periferiche di Mompiano e Lambaraga. Nel contado, il cenobio possiede terre in diverse località: in vari centri sul Garda (Maderno, Toscolano, Salò), da cui ricava soprattutto olio [7], Onzato, Dello, Valenzano, Camignone, Adro [8]. Le religiose non mostrano una cura particolare per l’ampiamento o il miglioramento del patrimonio, limitandosi nella maggior parte dei casi a promuovere il rapido ricambio degli affittuari allontanatisi o venuti a mancare, ma senza promuovere acquisti di una certa consistenza o l’introduzione di contratti a breve termine, sicuramente più redditizi, ma anche forieri di maggiori preoccupazioni da parte dei proprietari. Le disponibilità economiche del monastero, paiono d’altronde essere sufficienti a gran parte delle esigenze della comunità, poiché sono poco numerose le attestazioni della necessità di ricorrere a prestiti o ad alienazioni di terre.
L’organizzazione istituzionale non appare che sporadicamente riflessa nelle carte, sufficienti comunque a delineare una situazione di relativa complessità, nell’ambito della quale alla badessa e alla priora si affiancano detentrici di cariche minori, quali una massaria e una canevaria, destinate al disbrigo degli affari economici, e addirittura una sagrestana, addetta probabilmente alle cure del culto [9]. Accanto delle religiose si trovano anche dei conversi [10], a cui probabilmente spettano i lavori più pesanti e i compiti legati alla gestione patrimoniale. La loro presenza dimostra la perdurante capacità di attrazione esercitata dalla comunità sul mondo laicale, visto che esisteva un certo numero di personaggi intenzionati a vivere un’esperienza religiosa al servizio delle monache. Nell’ambito del complesso monastico è presente inoltre una cappella di pertinenza dell’ente, intitolata a S. Maria in Solario, attestata fin dal XII secolo [11] e dotata di un proprio patrimonio, allo scopo di fornire un sostentamento al gruppo di chierici e sacerdoti che vi fanno capo [12]. Sembra che costoro possano disporre liberamente dei beni, ma forse sotto la supervisione della badessa, la quale partecipa spesso alla redazione degli atti che li riguardano [13]; del resto, il fatto che la documentazione di pertinenza della cappella non sia stata conservata separatamente dal resto dell’archivio induce a supporre l’esistenza di uno stretto legame fra i due enti.
Verso la fine del Duecento, la tranquilla esistenza della comunità viene però sconvolta da un evento traumatico, testimoniato anche da alcuni documenti facenti parte del fondo, ossia lo spostamento della sua sede da una zona centrale della città, nelle vicinanze del broletto, ad un’area più periferica, detta Campi Bassi: l’operazione, ordinata dal vescovo Berardo Maggi per ampliare la piazza antistante i palazzi pubblici [14] ed approvata da papa Bonifacio VIII nel 1298 [15], ha inizio in quell’anno con un esproprio ed il conseguente risarcimento da parte del Comune [16], e prosegue poi per tappe successive fino all’inizio del secolo XIV [17].
Dopo il trasferimento ha inizio un periodo di decadenza, che raggiunge l’apice nel Quattrocento; per reazione ad esso, dopo l’adozione di provvedimenti disciplinari contro la rilassatezza dei costumi delle religiose [18], nel 1495 si decide l’incorporazione del cenobio nella congregazione riformata di S. Giustina [19].
Nonostante la crisi, il monastero dei Ss. Cosma e Damiano, riesce a conservare pur sempre una certa importanza nell’ambito ecclesiastico locale, tanto che ad esso ne vengono uniti altri, con minori risorse: già nel 1270 il presule bresciano Martino stabilisce l’accorpamento di quello di S. Vigilio di Macerata [20]; nel 1343 è la volta di S. Pietro di Fiumicello, già di pertinenza dai canonici della cattedrale [21]. Di tali aggregazioni rimane a tutt’oggi traccia nella composizione dell’archivio monastico, nel quale confluirono quelli dei due enti soppressi [22].
La storiografia bresciana non ha trovato episodi degni di una menzione nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo, sicché, fino al giorno d’oggi, le vicende della comunità religiosa in quest’arco di tempo non sono state oggetto dell’analisi degli studiosi. Si deve quindi supporre che la vita dell’ente sia continuata senza scosse fino alla soppressione, avvenuta nel 1797, dopo la conquista del territorio bresciano da parte dell’esercito napoleonico [23]. Anche la documentazione conservata nell’archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano sembra essere stata in genere trascurata dagli eruditi. Infatti, fra i molti manoscritti e libri a stampa dedicati alla storia civile ed ecclesiastica di Brescia risalenti al Seicento ed al Settecento [24], solo una piccola parte tiene conto degli atti che sono compresi in quest’edizione. A parte una “Chronica monasterii virginum Ss. Cosmae et Damiani”, recante la data 1660 [25], redatta però dietro ordine della badessa, e quindi non rappresentativa dell’importanza assunta dal corpus delle carte agli occhi del mondo culturale dell’epoca, un unico testo contemporaneo al primo ne cita alcune. Si tratta di una storia dei vescovi di Brescia, di mano di Bernardino Faino: egli trascrive in tutto quattro documenti e non è nemmeno certo se egli abbia effettivamente consultato quelli presenti nel tabularium monastico o si sia invece servito di altri esemplari [26].
Nel secolo successivo, l’unico ad interessarsi seriamente del fondo è Giovanni Ludovico Luchi, che lo sfrutta sia per la stesura del suo “Codex diplomaticus Brixiensis” [27], rimasto manoscritto, sia per l’appendice ai “Monumenta monasterii Leonensis”, usciti invece a stampa nel 1759 [28]. Un accenno è reperibile anche nell’opera del Gradenigo dedicata anch’essa ai presuli bresciani [29]. Il trasferimento delle carte a Milano, avvenuto ai primi dell’Ottocento, sembra aver azzerato anche quel poco interesse che esse avevano goduto in precedenza. Le stesse “Storie bresciane” di Federico Odorici, dove talora si citano documenti del monastero, non attingono dagli originali, ma dalle trascrizioni del Luchi. Infine, per giungere al secolo XX, ancora pochi e sporadici rimangono gli studi che utilizzano i dati forniti dalla documentazione oggetto di quest’edizione [30] e ancor meno sono quelli specificamente dedicati al monastero [31].
Pare dunque che da un lato la natura della documentazione, povera di atti promananti dalle autorità civili o ecclesiastiche, non abbia invogliato gli eruditi sei e settecenteschi ad occuparsene, dall’altro lo spostamento a Milano l’abbia allontanata dal centro di interesse degli storici locali, relegandola così ad un ruolo di secondo piano, che fortunatamente non ha eccessivamente nuociuto alle condizioni di conservazione di un fondo che si presenta come uno dei più ricchi per lo studio degli enti monastici urbani di Brescia nell’età comunale.
2. Da Brescia a Milano: le vicende dell’archivio dopo la soppressione
Le pergamene dell’archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano [32] risalenti al secolo XII sono conservate attualmente presso l’Archivio di Stato di Milano, in massima parte nella cartella 64 del fondo denominato “Pergamene per Fondi”, compreso a sua volta nell’Archivio Diplomatico.
Le vicende che portarono allo spostamento delle membrane dei fondi bresciani a Milano sono legate, come in molti casi simili, agli avvenimenti che caratterizzarono il periodo a cavallo fra i secoli XVIII e XIX, e in particolare a quelli conseguenti alla discesa in Italia di Napoleone Bonaparte. In seguito alla soppressione del cenobio intitolato ai Ss. Cosma e Damiano, decretata il I ottobre 1797 dal Governo Provvisorio di Brescia, organismo che dopo poco sarà assorbito dalla Repubblica Cisalpina [33], tutte le proprietà ad esso pertinenti vennero confiscate, compreso l’archivio. Di quest’ultimo non si hanno notizie per più di una decina d’anni, ma è verosimile ritenere che venne trasportato nella sede dell’Intendenza di Finanza della città, dal momento che nel 1812 era conservato lì, insieme al materiale archivistico proveniente dagli altri enti soppressi [34]. Gli ordini superiori in materia di conservazione documentaria erano di consegnare tutte le pergamene con datazione anteriore all’anno 1400 all’Archivio Diplomatico, creato all’inizio del secolo nella capitale del Regno d’Italia [35]. Dopo aver superato alcuni problemi iniziali, causati dalle difficoltà incontrate nella designazione di una persona incaricata di effettuare la scelta dei pezzi da inviare a Milano [36], venne scelto nel 1812 il nobile bresciano Carlo Brognoli. Costui trovò la massa della documentazione proveniente dagli enti soppressi accumulata alla rinfusa in un’unica stanza; oltre tutto, a complicare maggiormente l’impresa, era occorso un passaggio di competenze dall’Intendenza di Finanza alla Direzione Demaniale, che, in ottemperanza alle disposizioni emanate in merito, si accingeva a trasportare tutte le carte a Verona [37]. È facile comprendere come il lavoro del funzionario appena nominato sia stato influenzato dalle condizioni di disordine e frettolosa concitazione in cui si trovò a dover operare: il risultato fu la precipitosa compilazione di un elenco, di cui però, molto probabilmente, non si tenne conto (o si ebbe considerazione solo parziale) nella fase di trasferimento delle pergamene [38]. L’inventario del Brognoli, oggi conservato a Brescia [39], fa menzione di ventidue mazzi di documenti, contenenti un numero variabile di pezzi. Non sembra che si sia seguito un qualsiasi criterio nella redazione dell’elenco, dal momento che unità archivistiche provenienti da uno stesso ente non sono nemmeno riportate l’una di seguito all’altra; la maggior parte giungeva, nell’ordine, dai tabularia di S. Giulia, S. Faustino e S. Benedetto di Leno. Per quanto riguarda il monastero dei Ss. Cosma e Damiano, venne inventariata un’unica filza [40], per un totale di diciannove pergamene che coprono un arco di tempo dal 1191 al 1397; esse vennero elencate in ordine cronologico inverso, dalla più recente alla più antica [41]. Il numero d’ordine ad esse assegnato dall’estensore è stato riportato dalla stessa mano sulla membrana, indifferentemente sul recto o sul verso, ed è a tutt’oggi visibile [42]. Il fatto che i documenti su cui esso è stato apposto non siano attualmente distinti in nessun modo dagli altri, è un altro indizio a favore dell’ipotesi della mancata utilizzazione delle indicazioni fornite dalla selezione operata dal Brognoli; con ogni probabilità le sorti dei fondi pergamenacei bresciani, e l’attuazione dei progetti concernenti loro destinazione, furono influenzate dal susseguirsi di eventi che portò di lì a poco alla caduta del Regno d’Italia.
La maggior parte del materiale membranaceo proveniente dagli enti soppressi di Brescia venne comunque trasferita a Milano, tuttavia senza più il limite cronologico del 1400 precedentemente imposto, confluendo direttamente nell’Archivio Diplomatico, dove nel frattempo proseguivano le operazioni necessarie alla sua costituzione e sistemazione [43]. Uno schema del suo contenuto, per quanto riguarda i soli atti risalenti al XII secolo, è fornito da un inventario stilato negli anni Quaranta del secolo XIX da Giuseppe Cossa e Luigi Ferrario [44]. Esso, per quanto riguarda le pergamene del monastero dei Ss. Cosma e Damiano, riflette l’immagine di una situazione sotto alcuni aspetti diversa da quella attuale. In primo luogo, si deve considerare che uno solo dei fascicoli che compongono il catalogo è dedicato al cenobio e limitatamente agli anni dal 1171 al 1185 [45]: esso fa menzione di dieci pezzi [46]; in realtà, due documenti qui citati travalicano i termini cronologici esposti sopra, poiché uno reca la data del 1193 [47], l’altro, che è stato collocato erroneamente nell’elenco perché mancante dell’indicazione del millesimo, risulta però risalire al 1219 [48]. L’attribuzione di quest’ultimo atto al XII secolo sembra però non essere stata contestata fino al giorno d’oggi, dal momento che esso si trova ancora inserito nel fascicolo intitolato appunto a quel periodo [49]. A parte poche lievi inesattezze nel riportare le date, dovute probabilmente a scarsa dimestichezza con la consuetudo bononiensis [50], compaiono alcune discordanze: vengono infatti catalogate due pergamene non appartenenti all’antico archivio del monastero. Una di esse è ancora conservata insieme a quelle provenienti da Ss. Cosma e Damiano [51], mentre dell’altra, datata 1176 agosto 19, si sono perse le tracce. È interessante notare come tre documenti del 1127, al presente reperibili in una delle cartelle del fondo Pergamene per fondi contenenti i pezzi giunti dal cenobio di S. Giulia di Brescia [52], fossero già stati spostati dalla loro sede originaria nella prima metà dell’Ottocento: di essi si ha infatti menzione nella parte dell’inventario di Cossa e Ferrario riferita a quel monastero [53]. Successivamente, a partire dal 1852, sotto la direzione di Luigi Osio, ebbe luogo una nuova suddivisione delle membrane: in precedenza già ripartite nelle tre categorie di “atti ecclesiastici”, “atti civili d’ordine pubblico” e “atti privati” [54], esse furono aggregate alla sezione storica insieme ad un gruppo eterogeneo di altri documenti che come criterio unificante avevano quello di poter in qualsiasi modo servire alla ricostruzione delle vicende della storia lombarda [55]. Come se non bastasse, da una parte alcuni pezzi cominciarono ad essere spostati in altre raccolte istituite allora dal direttore dell’Archivio “che cercava di raggruppare intorno a un nome, a un fatto, a un paese, a una famiglia, un certo numero di documenti, donde facile scaturisse poi o l’articoletto da giornale o la notizia genealogica”, dall’altra la trascuratezza e la disattenzione di impiegati e studiosi contribuirono ad aumentare la confusione anche fra quelli rimasti nei tre gruppi elencati più sopra [56]. All’inizio del XX secolo, la situazione appariva decisamente insoddisfacente e la soluzione prospettata era quella della ricostituzione, per quanto possibile, degli archivi delle corporazioni religiose: era chiaro che una restituzione integrale dell’ordinamento e della consistenza originali non era più possibile, a causa delle perdite causate dalla consegna dei documenti anche antichi agli acquirenti dei beni ecclesiastici che l’autorità civile aveva alienato [57]. Tuttavia, l’obiettivo di Luigi Fumi, allora a capo dell’Archivio di Stato di Milano, rimaneva quello di ricostruire i vari corpora documentari facenti capo ai diversi enti soppressi, sfruttando le informazioni sul verso delle pergamene e quelle desunte dal resto del materiale archivistico della stessa provenienza, fra cui, preziosissimi, gli elenchi di atti. Per ragioni legate alle difficoltà di conservazione delle membrane, si scelse di mantenere una divisione fisica fra esse e le scritture su carta [58]. Fra i primi a condividere tale concezione e a metterla in pratica fu Cesare Manaresi, che si occupò della documentazione di alcune istituzioni ecclesiastiche milanesi [59]; la sua opera fu poi proseguita fino a giungere all’attuale sistemazione, che vede tutti gli atti su pergamena riuniti nell’Archivio Diplomatico, all’interno del quale si distingue il “Museo Diplomatico”, comprendente tutti quelli anteriori all’anno 1100, mentre il rimanente si suddivide in tre parti: la documentazione pontificia è riunita in quella denominata “Bolle e brevi”, quella imperiale e sovrana in “Diplomi e dispacci sovrani”, quella cosiddetta privata in “Pergamene per Fondi” [60]. Entro quest’ultima sezione si individuano i singoli fondi provenienti dagli enti ecclesiastici lombardi. Gli atti del monastero dei Ss. Cosma e Damiano si trovano appunto qui, nella cartella 64. Essi, però, molto probabilmente a causa di tutte le operazioni di smembramento e ricostituzione descritte più sopra, contengono anche altri nuclei documentari, riconducibili per esempio al monastero di S. Maria di Manerbio ed al priorato di S. Maria de Fontana Coperta ad esso unito [61]. Viceversa, alcune pergamene sicuramente pertinenti al cenobio qui in esame si trovano mischiate a quelle di altri, quali quello di S. Giulia [62], o inserite in quelle cartelle che riuniscono i pezzi di cui non è stato possibile definire con precisione la provenienza [63]. Pertanto, allo scopo di reperire gli atti che inavvertitamente sono stati spostati dalla loro collocazione originaria, è stato spogliato il contenuto in primo luogo delle buste intitolate agli enti ecclesiastici bresciani che hanno conservato documentazione databile al periodo qui considerato, secondariamente di quelle denominate “Varie” e “Incerta provenienza”. Si tratta, nella fattispecie, delle cartelle: 33 (Ardesio-S. Caterina; Cividate Camuno Valcamonica; Balborina-Breno-S. Francesco detto S. Pietro), 52 (Varie- Provincia di Bergamo), 68 (Brescia-S. Croce, S. Faustino maggiore e Giovita), 74, 75 (Brescia-S. Giovanni), 83, 84, 85, 86, 91 (Brescia-S. Giulia), 94 (Leno, Provveditorato di Salò), 96 (Toscolano-S. Domenico; Varie-Provincia di Brescia), 103 (Varie-Provincia di Brescia), 186 (Lodi-Ss. Cosma e Damiano), 252 (Varie-Provincia di Mantova), 723, 761, 762 (Pergamene d’incerta provenienza) [64].
Non tutti i documenti dell’archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano si trovano depositati a Milano: l’eccezione è rappresentata da un privilegio di papa Anastasio IV, risalente al 1153 e indirizzato al monastero di S. Pietro di Fiumicello [65], unito a quello dei Ss. Cosma e Damiano nel 1343 [66]. Esso, insieme ad un gruppo di altre pergamene bresciane, è oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Brescia, nel fondo denominato “Codice Diplomatico Bresciano” dell’Archivio Storico Civico, in seguito ad un versamento operato dalla Biblioteca Queriniana, dove si trovava in precedenza. La raccolta e l’ordinamento dei pezzi furono opera dell’erudito ottocentesco Federico Odorici, il quale sistemò tutte le pergamene custodite dalla biblioteca in otto volumi, in cui le antiche membrane si alternavano alle trascrizioni di mano dello stesso studioso, e in una grande cartella, che accoglieva la documentazione imperiale e pontificia, la quale a causa della presenza del sigillo non poteva essere compresa nei libri [67].
3. L’antico archivio del monastero sulla base di un inventario del secolo XVIII
È stato in diverse occasioni sottolineato come il criterio migliore e più scientificamente corretto sulla base del quale condurre un’edizione delle carte di un ente ecclesiastico sia quello definito dell’“archivio ricostruito” [68], volto a ricreare un quadro documentario il più possibile conforme a quello del periodo antecedente le soppressioni del XVIII secolo. Quest’ultimo provvedimento, infatti, causò smembramenti e accorpamenti arbitrari della documentazione facente capo ai vari enti ed ha portato alla situazione odierna, che vede in molti casi la dispersione dei pezzi di uno stesso fondo in più archivi [69]. A questo scopo, risulta fondamentale il ricorso a quegli strumenti, elenchi o inventari, redatti in molti casi nel Settecento, che mettono a disposizione un ritratto fedele della consistenza e dell’ordinamento dei diversi tabularia: in base ai dati forniti da tale fonte, si possono risolvere i dubbi sull’appartenenza o meno delle singole pergamene al fondo originario, prescindendo dalla loro attuale collocazione, che spesso è frutto di risistemazioni o di casi fortuiti, ed avere indicazioni sul contenuto ed indizi per la ricerca di eventuali documenti mancanti [70]. In questo modo, e sfruttando tutti gli altri elementi che via via si presenteranno all’attenzione del ricercatore [71], si otterrà una ricostituzione, ovviamente solo virtuale, ma il più possibile vicina a quella che era la realtà al tempo in cui l’archivio esisteva ed era ancora in attività [72].
Il punto di partenza per la ricostruzione dell’antico archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano è costituito da un inventario compilato all’inizio del XVIII secolo e conservato ora nell’Archivio di Stato di Brescia [73]. Si tratta di un registro recentemente sottoposto a restauro e consistente di 377 carte, con cartolazione originale; rilegato in pergamena, reca sulla copertina il titolo moderno di “Registro 24” [74] e quello più antico di “Annali 1127-1780”. L’autore aveva invece definito la propria opera “Repertorio delle scritture del reverendissimo monastero di S. Cosmo della città di Brescia fatto da me Gioseffo Bonhomino insieme con la regolazione delle scritture stesse, fatto d’ordine della reverendissima madre donna Ottavia Duranti, abbadessa del detto reverendissimo monistero, l’anno 1714”, come si può leggere sul frontespizio. Da questa intestazione si evince che la badessa Duranti non aveva assegnato al compilatore solo il compito di tracciare un quadro di una documentazione già ordinata, ma anche quello di procedere ad una nuova ed evidentemente più funzionale disposizione fisica della stessa. Si può supporre, quindi, che in quell’epoca vi fosse stata nel cenobio una certa trascuratezza nella gestione archivistica e si sentisse pertanto l’esigenza di darle una svolta, rendendola più agile ed efficace, anche apprestando nuovi strumenti d’uso.
Il Bonomini risulta avere una certa esperienza in materia, in quanto fu il redattore di almeno altri cinque inventari in ambito bresciano [75]. Anche nel caso qui esaminato, pare che egli abbia utilizzato un metodo di catalogazione e di strutturazione dell’opera che è stato definito come peculiare dell’area [76]. Si incontrano spesso, infatti, questi grossi volumi in cui, nella sezione definita “Annali”, vengono riportati brevi regesti dei documenti disposti in ordine cronologico ed accompagnati dalla collocazione archivistica; fanno seguito gli indici per materia, nomi di persona e di luogo, in modo da offrire un fondamentale sussidio alla consultazione ed al reperimento dei singoli pezzi [77]. Tale sistema di inventariazione, che risponde ad esigenze pratiche di tutela dei diritti dell’ente, ben si adatta a depositi documentari dall’organizzazione non eccessivamente elaborata e dalla ridotta portata quantitativa [78].
Per quanto riguarda l’opera dedicata dal Bonomini al monastero dei Ss. Cosma e Damiano, appare chiaro che l’intento è quello di fornire un mezzo per assicurare e facilitare sempre più “il ritrovar le scritture”, ossia la reperibilità dei documenti. Egli dichiara di aver seguito un triplice schema di rimandi: ogni atto viene infatti descritto “sotto la parolla o sia rubrica di annali del detto reverendissimo monistero”, in corrispondenza dei cognomi dei personaggi in esso citati e del nome del contratto [79]. Una lieve deviazione dalla prassi si ha nel caso delle cause giudiziarie, che sono riportate in una lista a parte, sotto il nome della terra per cui sono intentate e, secondo la norma, il cognome delle persone coinvolte [80]. La prima parte [81], che è preceduta da un indice alfabetico dei soggetti presi in esame nell’inventario [82], occupa le 110 carte iniziali e contiene sintetici riassunti del tenore dei documenti preceduti dalla data, a partire da due indicati con “sine die” e “sine anno 15 settembre” [83]; vengono riportati i nomi italianizzati degli attori [84], la natura del negozio giuridico ed il bene che ne è oggetto, il notaio rogatario e, talora, la qualifica “auttentico”, che non pare però avere a che fare con la natura di originale o copia del documento. Un raffronto con le pergamene, permette di rilevare parecchie discordanze nell’indicazione di millesimo, mese e soprattutto giorno; infatti, il significato dell’espressione “exeunte mense” non sembra essere conosciuto dal riordinatore, che, invece di contare a ritroso partendo dall’ultimo del mese, considera i giorni sempre come trascorsi dal primo [85]. Seguono il regesto le indicazioni necessarie per reperire quel determinato atto, con la menzione della filza che lo conteneva e della posizione in cui si trovava all’interno di essa. Sia le determinazioni cronologiche, sia quelle archivistiche trovano puntualmente riscontro in quelle, identiche, apposte dalla stesso autore sulle singole pergamene. Una seconda sezione riguarda la documentazione resasi necessaria in vari procedimenti giudiziari [86] e databile nella sua totalità ad un periodo posteriore a quello considerato da questa edizione; essa era, in questo caso, raggruppata in mazzi in base ad un criterio di carattere topografico [87].
Al termine del volume, il Bonomini ha posto un corposo indice, le cui voci considerano antroponimi, toponimi, istituzioni civili ed ecclesiastiche e cose notevoli, quali i vari generi di contratto [88]. I rimandi sono sia agli “Annali” costituenti la prima parte del “Repertorio”, sia alla posizione fisicamente occupata dalle diverse carte nell’archivio monastico [89].
Si è fatto cenno più sopra alle filze nelle quali erano raccolti i documenti: si trattava probabilmente di una soluzione adottata già prima dell’intervento riordinatore dell’inizio del Settecento, come si può arguire dalla presenza sulle pergamene di fori causati dalla punta dello strumento. Non tutti i pezzi venivano conservati distesi, ma, forse per esigenze di spazio, alcuni erano piegati: ciò è dimostrato dai due buchi congruenti, spesso rispetto all’asse mediano, che si ritrovano su di essi. Ora, se il Bonomini sostanzialmente mantenne l’antico metodo di sistemazione, introdusse tuttavia alcune varianti. Si evitò qualsiasi tipo di piegatura, anche per le membrane di dimensioni maggiori; tutte le pergamene vennero poi nuovamente forate, verosimilmente con l’impiego di uno strumento meccanico, visto che il risultato è un cerchio perfetto dai margini nettamente definiti. Dall’esame del contenuto dei documenti, risulta che il criterio seguito per l’ordinamento in filze era quello topografico: in base ai riferimenti archivistici riportati nell’inventario, si individuano undici gruppi di pergamene sciolte, i cui testi trattano di beni siti in diverse località. Se ne può schematicamente ricostruire la struttura:
- filza 1
- beni siti in Onzato e Flero
- filza 2
- beni siti nel territorio di Dello
- filza 4
- beni siti nelle Chiusure di Brescia
- filza 5
- beni siti in Brescia
- filza 7
- beni siti sul lago di Garda
- filza 8
- beni siti in località diverse (Ostiano, Redondesco…) e pertinenti ai monasteri successivamente uniti a quello dei Ss. Cosma e Damiano
- filza 9
- beni siti nella parte nord-occidentale del Bresciano (Valenzano, Camignone)
- filza 10
- diritti di acque
- filza 11
- beni siti nel fossato vecchio di Brescia [90].
Le filze 3 e 6 sono state escluse dall’elenco in quanto, in primo luogo, non sembrano essere state costituite seguendo i criteri esposti sopra, ma piuttosto in base ad altri, forse di carattere cronologico; secondariamente, gli atti in esse contenuti non vengono utilizzati in questa edizione, poiché posteriori all’arco di tempo qui preso in considerazione [91].
All’interno dei diversi raggruppamenti, i pezzi venivano collocati in successione dal più antico al più recente. È possibile che questo genere di sistemazione fosse stata adottata già prima dell’intervento del Bonomini. La sua opera, in questo caso, si limitò a vergare sulle pergamene un appunto contenente la data ed il posto da essa occupato nella filza, che però non viene mai menzionata. Era stato tentato in precedenza anche un ordinamento esclusivamente in successione temporale, dalla membrana più antica alla più recente, assegnando a ciascuna un numero progressivo, prescindendo da qualsiasi considerazione relativa agli argomenti trattati nei documenti: di esso si ha traccia su buona parte dei pezzi del fondo, a partire da un atto datato 1233 marzo 25, che reca nel verso l’annotazione “27” [92]. Al di là di alcune inesattezze, provocate forse da un’errata interpretazione delle date [93], tale sistema non dovette sembrare funzionale al Bonomini, che infatti provvide a depennare tutte le cifre. Purtroppo, a causa dell’esiguità di queste note, è impossibile stabilire se siano state apposte da lui stesso in una sorta di “ipotesi di lavoro” poi abbandonata, o se invece siano di mano di un precedente archivista [94].
Dalle considerazioni di cui sopra risulta chiaro come l’opera del riordinatore abbia lasciato tracce evidenti su tutte le membrane che costituivano l’antico archivio, ossia l’aggiunta di suo pugno della data espressa secondo lo stile moderno e l’inconfondibile foro tondo dai margini netti.
Oltre al metodo di conservazione della documentazione descritto sopra, l’inventario ne registra altri due: gli atti sciolti venivano infatti raccolti anche in mazzi, oppure trascritti su libri. Entrambi i sistemi non sembrano essere stati introdotti fin dal principio nell’archivio del monastero, ma in un periodo successivo, in quanto tutti i pezzi da essi interessati hanno datazione posteriore all’arco di tempo qui considerato; pertanto vi si accennerà solo brevemente [95]. La seconda sezione del “Repertorio”, dedicata ai documenti concernenti vertenze giudiziarie, è quella in cui appare la menzione dei mazzi [96], nei quali, quindi, si dovevano trovare tutte quelle scritture necessarie alle diverse cause che coinvolgevano il cenobio. In numero di quattordici, a cui se ne aggiunse un quindicesimo dopo l’intervento del Bonomini, essi erano composti di diverse unità, di consistenza variabile. I sei libri [97] che l’archivista registra, invece, consistono della trascrizione di vari contratti risalenti ai secoli XV e XVI. In questo caso, viene utilizzato l’ordinamento su base geografica, già impiegato per la parte d’archivio organizzata in filze, a differenza di quanto avviene per i mazzi, i cui pezzi vengono ripartiti per argomento. Un esame della documentazione conservata all’Archivio di Stato di Milano permette però di formulare l’ipotesi che l’impiego almeno di fascicoli, se non di veri e propri registri, fosse una pratica adottata già nel Trecento: è stato infatti reperito un bifoglio che presenta i fori utilizzati per la rilegatura [98]. Su di esso si leggono parti dei testi di due atti del 1345 rogati dal notaio Baldovino de Claris [99]. Il fatto che le due facciate centrali riportino parti non contigue del primo documento lascia supporre che ci dovessero essere altre pagine all’interno. Parimenti, poiché rimangono soltanto una decina di righe del secondo, ciò induce a ritenere verosimile la presenza di altri fogli esterni. In un periodo successivo, però, il fascicolo deve essere stato smembrato, in quanto già all’inizio del XVIII secolo il Bonomini inventariò la pergamena superstite come pezzo sciolto, come si evince dalla segnatura da lui apposta sulla prima facciata e, ancor più chiaramente, dai due fori tondi di punzone presenti su entrambe le metà del bifoglio.
4. Gli ordinamenti archivistici adottati prima del XVIII secolo
Quelle fornite dall’inventario settecentesco non sono però le uniche informazioni che si possono avere sulle modalità di conservazione della documentazione del monastero dei Ss. Cosma e Damiano e sul suo antico archivio; se si è già accennato alla presenza di una numerazione progressiva sulle pergamene e a quella di fori di filzatura, segni che attestano la precedente adozione di almeno un’altra prassi nell’ordinamento delle carte, le diverse annotazioni riscontrate possono essere indizi delle diverse fasi organizzative attraverso le quali è passato il tabularium.
Più d’una mano ha lasciato tracce sulle membrane: procedendo cronologicamente a ritroso, si incontra per prima quella che nelle note di commento a quest’edizione è stata denominata “D”, risalente al XVI secolo. La sua presenza interessa grosso modo tutto il materiale successivamente inventariato dal Bonomini. Le poche parole che D verga consistono solitamente di stringate indicazioni, talvolta in latino e talaltra in volgare, di tipo geografico [100], più dettagliate nel caso che il documento riguardi beni siti nella città di Brescia [101]. Quando la natura del negozio giuridico rende impossibile una definizione di questo genere (si pensi per esempio al caso della procura), è menzionato il nome del contratto [102]. Un intervento di questa portata quantitativa sembra essere segno di un’operazione pianificata di riordino dell’archivio: l’esigenza di un’iniziativa simile potrebbe essere stata causata dalle vicende successive all’incorporazione alla congregazione riformata di S. Giustina alla fine del Quattrocento [103]. Il XV secolo, infatti, aveva visto una progressiva decadenza del cenobio sotto diversi punti di vista, primo fra tutti quello morale e spirituale: infatti, per la loro scarsa disciplina, le monache erano state scacciate ben due volte, nel 1435 e nel 1446 [104]. Un decisivo mutamento avvenne, appunto, sullo scorcio del secolo, con l’abbaziato di Scolastica Avanza, la quale intraprese un’energica ristrutturazione in tutti gli aspetti della vita del monastero ripristinando l’obbligo della clausura, ottenendo esenzioni dai dazi e riorganizzando i possedimenti fondiari [105]. Quest’ultima impresa, per ottenere risultati soddisfacenti, doveva comportare un riesame dei titoli di proprietà e una loro disposizione razionalmente ordinata in base a criteri volti principalmente all’utilizzo pratico delle informazioni in essi contenute e dei diritti da essi attestati.
Si riesce poi ad individuare un’altra mano che ha apposto delle annotazioni sulle pergamene: essa si può far risalire al Quattrocento ed è stata identificata con la lettera “F”. Anch’essa si limita a note molto stringate in latino, che si trovano senza eccezioni sul verso delle membrane; il loro contenuto è sempre attinente all’ubicazione dei beni oggetto del negozio giuridico attestato dal documento [106]. F non compare mai sui pezzi risalenti al XII secolo, mentre la sua prima attestazione è su un atto datato 1202 [107]. Solo in poche occasioni si fa menzione della natura della transazione fondiaria e del suo destinatario, ma sembra essere un avvenimento assolutamente casuale, dal momento che si tratta di investiture ad livellum esattamente come nelle altre evenienze [108]. F è il primo dei personaggi che si sono occupati del tabularium del monastero dei Ss. Cosma e Damiano, che hanno lasciato tracce sulle pergamene e che sono stati finora esaminati, a dare un’indicazione di carattere grosso modo archivistico e più schiettamente pratico: sembra infatti che abbia voluto negare importanza al contenuto di un documento del 1233 e ne abbia voluto ritenere utilizzabili solo i dati relativi al luogo dove si trovava la casa che veniva allivellata, ossia alla quadra di S. Agata in Brescia [109]. Inoltre, su una sola delle pergamene provenienti dal monastero di S. Pietro di Fiumicello, è presente un’annotazione particolare, facente riferimento esclusivamente all’ente ecclesiastico. Essa, da un lato, permette di collocare l’intervento di F sicuramente dopo l’unione dei due cenobi, avvenuta nel 1343 [110], dall’altro lascia supporre che le carte fiumicellesi fossero conservate separate dalle altre e non avessero subito lo stesso riordinamento su base topografica, forse perché non erano di immediate interesse, o perché gli immobili in esse menzionati erano soggetti ad una gestione a sé stante [111].
Se si considerano le note tergali riconducibili, in base alle caratteristiche della scrittura, al XIV secolo, si constata in primo luogo che non hanno nessuna forma di sistematicità: infatti, esse sono in numero decisamente minore rispetto a quelle esaminate sopra e non sono riconducibili ad un’unica mano (si possono addirittura ritrovare due diverse calligrafie trecentesche sullo stesso atto [112]). Nella maggior parte dei casi si tratta di brevi cenni al contenuto del documento (natura del negozio giuridico, ubicazione e qualità dei beni oggetto di esso, nome del destinatario) con l’evidente scopo di velocizzarne il reperimento in caso di bisogno, evitando la necessità di spiegare la pergamena e di leggerne il testo [113]. Altri appunti testimoniano l’utilizzo delle carte: nel verso di una conferma di privilegi concessa dal vescovo di Brescia nel 1174 si trova l’attestazione della sua produzione in giudizio nel 1390 [114]; alcune note su un documento di investitura datato 1279 provano che nel 1302 si procedette al controllo delle estensioni e delle coerenze dei sette appezzamenti di terreno menzionati nel testo, segnalando le eventuali differenze, evidentemente allo scopo di procedere ad una nuova stipula [115]; infine, si incontra un indizio di un riordinamento dell’archivio, poiché si indica che un atto deve essere riposto insieme agli altri relativi agli immobili siti nella zona del fossato vecchio della città, pervenuti al monastero in seguito ad una permuta con il Comune che ebbe luogo nel 1298 e sicuramente comportò anche uno scambio di carte, le quali dovettero poi trovare un proprio posto particolare nel tabularium monastico [116].
Risalendo ulteriormente nel tempo e prendendo in esame le annotazioni databili al Duecento, non si riesce a verificare una presenza ricorrente fra le diverse mani che vergano annotazioni sulle membrane. Ciò non significa che le monache non avessero cura del loro tabularium, visto che non si premuravano di fornire ai singoli pezzi quei minimi strumenti di identificazione, funzionali al loro reperimento ed all’ordinamento generale: infatti, era spesso il notaio stesso a preoccuparsi di stilare sul verso un regesto, in modo che, anche senza bisogno di dispiegare la pergamena, si potesse essere informati sul suo contenuto. Ciò accade con maggiore regolarità nella seconda metà del XIII secolo, epoca per cui si evidenziano anche delle significative collaborazioni con il cenobio da parte di alcuni professionisti [117]. In particolare, si veda il caso di Marchesio del fu Capognus de Medullis, il quale, forse per venire meglio incontro alle esigenze materiali di collocamento delle pergamene, scrive parallelamente al margine superiore lasciando uno spazio nella parte centrale, in modo da offrire l’opportunità di piegare il pezzo proprio in quel punto [118]. Il notaio Crescimbene de Pataris, invece, non adotta lo stesso metodo; tuttavia, in almeno un caso sembra essere attento a queste necessità pratiche, quando verga il suo riassunto non su tutta la lunghezza del foglio, ma solo in un riquadro, che doveva risultare da alcune piegature perpendicolari fra loro, di cui rimane ancora oggi il segno [119].
Non pare dunque che nel corso del XIII secolo le monache di Ss. Cosma e Damiano abbiano messo in atto una qualsiasi iniziativa autonoma di ordinamento dell’archivio, come invece forse accadde a Fiumicello. I documenti, però, entravano in esso già forniti di quelli che si potrebbero definire mezzi di corredo, utili per renderne più agili la ricerca e la fruizione: l’incombenza di apporveli era demandata spesso ai rogatari e, poiché ci si rivolgeva tendenzialmente allo stesso professionista, in cui si riponeva fiducia, costoro potevano anche offrire notazioni tergali caratterizzate da una certa uniformità. Essi erano dunque in grado di fornire un prodotto già pronto per essere archiviato, che non necessitava di altri interventi.
5. Ipotesi sull’originaria consistenza dell’archivio
Questa ricostruzione dell’archivio del cenobio nelle diverse epoche ha tenuto conto soltanto dei documenti che è stato possibile reperire o di cui si è avuta notizia dall’inventario del Bonomini, ma non si può escludere che in origine ce ne fossero stati altri, anzi, in più casi è necessario postularne l’esistenza. Osservando le tipologie anche solo degli atti del XII secolo pertinenti al monastero dei Ss. Cosma e Damiano, escludendo pertanto quelli provenienti da altre istituzioni ecclesiastiche e pervenutivi in un secondo tempo, si incontrano undici investiture [120]; a ciò si aggiungano una refuta di una vedova di tutti i diritti a sé spettanti su un terreno che il defunto marito teneva in affitto dal cenobio [121], un arbitrato che menziona altri fitti e possedimenti [122], e due designazioni di terre [123]. A fronte di questo numero relativamente alto di carte che attestano lo sfruttamento di un esteso patrimonio immobiliare e di diritti, si constata la presenza di solo tre nuove acquisizioni di proprietà, ossia due vendite e una permuta [124]. Se si confronta una simile struttura con quella di altri fondi che comprendono documenti risalenti alle origini delle rispettive istituzioni ecclesiastiche, si rileverà una notevole prevalenza del secondo genere di negozi giuridici [125]. È dunque probabile che anche le monache di Ss. Cosma e Damiano avessero provveduto alla conservazione dei documenti di donazione e compravendita che costituirono la dotazione fondiaria del monastero a partire dalla fondazione [126], ma essi dovettero andare perduti entro il XII secolo: il primo pervenutoci è infatti datato 1152 [127]. Una cancellazione così completa della parte più antica delle carte comprese nel tabularium è probabilmente da imputarsi ad un evento di una certa violenza, sul quale però si possono soltanto avanzare delle ipotesi. Quella forse più credibile vedrebbe il coinvolgimento degli edifici del monastero nel grande incendio scoppiato a Brescia nell’estate del 1184, che colpì proprio la zona in cui il cenobio sorgeva [128]: fra i danni che esso avrebbe causato ci sarebbe anche la distruzione delle pergamene ivi conservate, delle quali solo una minima parte sarebbe fortunosamente riuscita a salvarsi. Infatti, solo quattro documenti fra quelli non giunti nell’archivio in seguito ad unioni con altri enti ecclesiastici hanno una data anteriore al 1184: oltre alla già citata investitura del 1152, una carta venditionis del 1171 (si tratta però di un munimen, che potrebbe essere stato acquisito anche più tardi), un’altra dell’anno successivo e un’investitura risalente al 1180, ma pervenutaci sotto forma di regesto della fine del Duecento [129].
A sostegno della supposizione della distruzione rapida e generalizzata della documentazione antica si può citare anche l’esistenza degli unici due atti sopravvissuti concernenti il monastero e anteriori al XII secolo; data la loro natura, è altamente probabile che originariamente si trovassero effettivamente nel tabularium delle monache. Il primo è un diploma emanato dall’imperatore Ludovico II: di esso non rimangono testimoni antichi, ma solo la trascrizione settecentesca di Mario Lupo, che dichiara di averla tratta da una pergamena conservata allora a Bergamo e mancante della parte inferiore [130]. A causa di questa mutilazione, non si può stabilirne la data esatta, tuttavia gli elementi contenuti nel testo hanno consentito di attribuire il documento ad un periodo compreso fra gli anni 863 e 875 [131]. Parimenti risalente al secolo IX è l’altro atto superstite, pervenutoci in originale ed oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Brescia: si tratta della concessione a livello ventinovennale di una terra da parte della badessa Ardefusa a un tal Ramperto de Sandremano [132]. Entrambe le membrane paiono essersi salvate perché abbandonarono presto l’archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano, la prima per giungere in maniera non determinabile a Bergamo, come si è detto, l’altra migrando in quello del cenobio bresciano di S. Giulia, forse in seguito ad un’alienazione di immobili [133]. La loro assenza è del resto rilevata non solo dall’inventario del 1714, ma anche da una “Chronica monasterii virginum Ss. Cosmae et Damiani” risalente al 1660, che prende inizio dall’anno 1152, data del primo documento che lo riguardi direttamente sopravvissuto fino ai giorni nostri [134]. L’autore afferma infatti di iniziare la narrazione da quel momento per un motivo di carattere pratico: “Non che sii il fermo principio, ma solo per esserci ritrovate alcune notazioni de quei tempi” [135].
Dagli elementi esposti ed analizzati più sopra, si evince che oggi si è in possesso solo di una parte dell’originario patrimonio documentario del monastero, mentre tutto quanto si era accumulato anteriormente grosso modo alla metà del XII secolo è andato perduto probabilmente a causa di un qualche avvenimento di notevole portata distruttiva, identificabile forse con l’incendio del 1184. Non ci sono elementi per valutare quantitativamente l’entità del danno, mentre dal punto di vista qualitativo è facile comprendere quanto sia grave l’annientamento di un numero anche relativamente piccolo di atti, soprattutto per un periodo non ben documentato quale l’alto Medioevo a Brescia [136]. La documentazione successiva, invece, è stata conservata nel corso del tempo, attuando anche vari tentativi di organizzarla in maniera pratica e funzionale; dal momento in cui si può disporre di un inventario, ossia l’inizio del Settecento, a oggi gli ammanchi hanno riguardato solo singoli pezzi [137] e sono da considerarsi fisiologici, dati gli spostamenti e i riordinamenti che le carte hanno subito negli ultimi secoli.
Note
[1] Cfr. infra il paragrafo dedicato alle ipotesi sull’originaria consistenza dell’archivio.
[2] TROTTI, San Cosma e Damiano, pp. 46-57, passa in rassegna le varie ipotesi (fondazione dovuta a diversi vescovi di Brescia, fra cui Tiziano, Onorio e Notingo, o ad un funzionario di re Liutprando), sottolineandone la scarsa consistenza. Tuttavia, a causa della penuria di dati disponibili, l’autrice stessa si limita ad avanzare delle supposizioni di un’origine longobarda del monastero. SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 296, attribuisce all’iniziativa dei vescovi Ramperto o Notingo la rifondazione dell’ente ecclesiastico, già costituito dal secolo VI. VERONESE, Monasteri femminili, p. 362, basandosi probabilmente sulla prima citazione di esso in un documento (cfr. infra), colloca invece nel IX secolo la nascita del cenobio. Secondo gli storici dell’arte, l’antico edificio monastico risalirebbe ad un periodo fra V e VI secolo: ANELLI, Profilo dell’arte sacra, p. 240.
[3] Il diploma di Ludovico II è databile fra gli anni 863 ed 875; ne esistono due edizioni: LUPI, Codex diplomaticus, coll. 715-716, e Codex Diplomaticus Langobardiae, n. 240, coll. 401-402. L’atto privato, la concessione di un livello, è datato 882 e si trova oggi in ASBs, Archivio Storico Civico, Codice Diplomatico Bresciano, busta 1. È stato pubblicato in Codex Diplomaticus Langobardiae, n. 313, coll. 527-528.
[4] GAMS, Series episcoporum, p. 779.
[5] Numero 5 di quest’edizione.
[6] I documenti in cui vengono menzionati tali beni sono troppi per essere elencati qui: per reperire le citazioni, cfr. l’indice ad vocem. Sulla viticoltura nel Bresciano, cfr. Vites plantare.
[7] Sull’olivicoltura sulle rive del lago di Garda, cfr. MENANT, Campagnes lombardes, pp. 158-162 (con particolare riferimento al monastero dei Ss. Cosma e Damiano a p. 160 n. 481); e VARANINI, L’olivicoltura e l’olio.
[8] Riserva particolare attenzione all’analisi del patrimonio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano il saggio di ZANOLINI, Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano.
[9] Oltre alla badessa, vengono talora menzionate la priora (Cfr. MERATI, Le carte, numeri 31, 39, 42, 45, 51, 52, 56, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 69, 71, 73, 74, 76, 90, 92, 94, 96, 99, 101, 107, 111, 117, 120) e la massaria (numeri 178, 270, 271, 273); in un unico caso si citano una canevaria e una sagrestana (numero 57).
[10] Si veda per esempio il caso del converso Pietro (citato ai numeri 5 e 16 di quest’edizione).
[11] “Ecclesia Sancte Marie, que est edifficata iusta monasterium Sanctorum Gosme et Dalmiani”, recita una sentenza del vescovo di Brescia Raimondo, datata 1156 (GRADONICUS, Brixia sacra, pp. 215-216).
[12] Il gruppo clericale orbitante intorno al monastero è piuttosto nutrito: sono infatti menzionati i sacerdoti Alberto Oneta (numero 14 di quest’edizione), Decano (numeri 9 e 12), Ugo (numeri 16, 17, 24, 25); i chierici Aimerico de Cocalio (numero 14) e Oddone de Capriolo (numeri 14, 17, 19); un diacono, Giovanni (numero 14).
[13] Cfr., per esempio, MERATI, Le carte, numero 45.
[14] Cfr. ARCHETTI, Berardo Maggi vescovo e signore, pp. 248-250; BONINI VALETTI, La Chiesa dalle origini, p. 55; VIOLANTE, La Chiesa bresciana, p. 1096.
[15] La bolla di approvazione è datata 1298 aprile 17; il regesto è in DIGARD…, Les registres de Boniface VIII, numero 2587, pp. 129-130.
[16] MERATI, Le carte, numeri 299 e 300.
[17] Un ulteriore e più consistente risarcimento è versato dal Comune nel 1302: cfr. TROTTI, San Cosma e Damiano, p. 60.
[18] SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 324; CISTELLINI, La vita religiosa, p. 405.
[19] SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 325. Cfr. inoltre infra il paragrafo dedicato agli ordinamenti archivistici adottati prima del XVIII secolo.
[20] MERATI, Le carte, numero 162. Tuttavia, già precedentemente il monastero dei Ss. Cosma e Damiano aveva assunto una sorta di patronato nei confronti di quello di S. Vigilio (numero 105), ed in seguito era entrato in possesso dei suoi beni (numeri 152, 153, 154). In generale, cfr. FAPPANI, S. Vigilio di Padernello.
[21] VIOLANTE, La Chiesa bresciana, p. 1123. Al monastero di S. Pietro di Fiumicello viene unito, nel corso del XIII secolo, quello di S. Donnino di Verolanuova, fondato dalla famiglia Gambara. Un suo membro, Boccadeluccio, presenta però ricorso al legato papale Gergorio da Montelongo, che divide nuovamente i due cenobi: SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 302
[22] Cfr. infra il paragrafo dedicato alla composizione dell’archivio.
[23] Cfr. infra il paragrafo dedicato alle vicende dell’archivio del monastero dopo la soppressione.
[24] CAU, Introduzione a Le carte del monastero di San Pietro in Monte, p. XLII.
[25] Chronica monasterii virginum.
[26] Thesaurus Ecclesiae Brixiae. Gli atti menzionati nell’opera sono qui editi ai numeri 4, 9, 10 e in MERATI, Le carte, numero 162. I dubbi in merito all’utilizzo dei documenti dell’archivio dei Ss. Cosma e Damiano da parte del Faino derivano da alcune considerazioni sul numero 4: si tratta di un atto del vescovo Raimondo inserto in un documento di conferma del suo successore Giovanni. Poiché la trascrizione del Faino presenta alcuni elementi in più rispetto ad esso, appare chiaro che, almeno in questo caso, egli deve avere avuto fra le mani un altro testimone, probabilmente l’originale.
[27] Sull’opera del Luchi e sui diversi manoscritti che ne sono stati tramandati, cfr. CAU, Introduzione a Le carte del monastero di San Pietro in Monte, pp. XLIV-XLVI; a p. XLVI si trova uno stemma codicum che evidenzia i rapporti interni di dipendenza fra le varie stesure. In base ad esso sono state definite anche in questa edizione le posizioni nella traditio di ciascun documento.
[28] I documenti editi nell’appendice dell’opera del Luchi sono quelli relativi ai monasteri di S. Donnino di Verolanuova e S. Pietro di Fiumicello.
[29] In GRADONICUS, Brixia sacra, pp. 225-226, è trascritto il documento numero 10 di quest’edizione.
[30] Fra i pochi esempi si ricordano ARCHETTI, Berardo Maggi vescovo e signore; BONFIGLIO DOSIO, Condizioni economiche e sociali; MENANT, Campagnes lombardes.
[31] BUFFOLI, Il monastero delle benedettine; TROTTI, San Cosma e Damiano; ZANOLINI, Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano.
[32] Nel fondo, in seguito a successive unioni, è confluita la documentazione dei monasteri di S. Pietro di Fiumicello, S. Vigilio di Macerata o Caruca e di S. Donnino di Verolanuova. Cfr. supra il paragrafo dedicato alla storia del monastero.
[33] Per un quadro generale della situazione bresciana sullo scorcio del secolo XVIII e all’inizio del XIX, cfr. LECHI, Il miraggio della libertà, pp. 20-30; il testo del decreto di soppressione è conservato in ASBs, Stampe, b. 29, fasc. A.
[34] Le vicende relative alla soppressione del monastero ed alla consegna dei fondi a Milano sono state ricostruite da TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, pp. 58-65.
[35] NATALE, Lezioni di archivistica, pp. 20-24; MANARESI, Rapporto presentato, p. 64.
[36] Il processo di trasferimento della documentazione bresciana è esaminato da LIVI, Il R. Archivio di Stato di Brescia, pp. 157-166; alle pergamene del monastero dei Ss. Cosma e Damiano è specialmente dedicata la p. 161.
[37] TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, pp. 60-61.
[38] La conclusione si può facilmente trarre anche solo limitandosi ad un confronto fra il numero delle pergamene bresciane presenti attualmente nell’ASMi, circa ottomila pezzi, e quello dei pezzi selezionati dal Brognoli e citati nel suo elenco, ossia 1918.
[39] ASBs, Prefettura del Mella, busta 209, “Elenco delle pergamene levate per l’Archivio Diplomatico in Milano nel Regio Demanio di Brescia provenienti dalle corporazioni soppresse”.
[40] Sul sistema di conservazione dei documenti in filze adottato nell’archivio del monastero dei Ss. Cosma e Damiano, cfr. infra; nella fattispecie, si tratta della filza recante il numero 7.
[41] ASBs, Prefettura del Mella, busta 209, “Elenco delle pergamene levate per l’Archivio Diplomatico in Milano nel Regio Demanio di Brescia provenienti dalle corporazioni soppresse”; nel verso della terza carta (la cartolazione manca); esse sono numerate dal 546 al 564 ed appartengono al mazzo che il Brognoli denomina “8”.
[42] La numerazione del Brognoli compare sui documenti ai numeri 15, 16, 19 e 24 di quest’edizione e su quello edito in MERATI, Le carte, numero 26.
[43] Sull’Archivio Diplomatico e le vicende legate alla sua formazione, cfr. NATALE, Archivio di Stato di Milano, pp. 902-903; MANARESI, Rapporto presentato, pp. 63-67.
[44] L’inventario ha per titolo “Catalogo delle pergamene dell’Imperial Regio Archivio Diplomatico spettanti al secolo duodecimo” e si trova oggi presso l’ASMi.
[45] “S. Cosma e Damiano di Brescia dal 1171 al 1185”, fasc. 91, nel quarto volume del “Catalogo”.
[46] Si tratta dei numeri 7, 8 (con data 1172 aprile 21 anziché 20), 10, 12 (con data 1184 agosto 24 anziché 23), 13, 15, 17 di quest’edizione. Viene inoltre menzionato un documento datato 1176 agosto 19 estraneo all’inventario stilato nel XVIII secolo da Giuseppe Bonomini e oggi non presente nelle cartelle dedicate al monastero dei Ss. Cosma e Damiano.
[47] Numero 17 di quest’edizione.
[48] MERATI, Le carte, numero 42.
[49] La collocazione archivistica del documento è AD 64, fasc. 33a.
[50] Risultano infatti sbagliate di un’unità due date indicate con l’espressione “exeunte mense”: numeri 8 e 12 di quest’edizione.
[51] MERATI, Le carte, numero I dell’appendice.
[52] Numeri 1, 2 e 3 di quest’edizione, conservati in AD 83, fasc. 40a.
[53] “Pergamene del monastero di S. Giulia di Brescia”, fasc. 61, nel terzo volume del “Catalogo”.
[54] MANARESI, Rapporto presentato, pp. 69-70.
[55] La nascita della sezione storica e la sua strutturazione in otto comparti, di cui il primo doveva comprendere le pergamene, sono descritte in FUMI, L’Archivio di Stato in Milano, pp. 18-19.
[56] MANARESI, Rapporto presentato, pp. 69-71.
[57] Ibidem, pp. 71-72, ove si sottolineano anche i danni causati all’ordinamento complessivo di tutta la documentazione delle corporazioni religiose, e non solo alla parte pergamenacea, dall’introduzione del sistema di classificazione peroniano per materie; FUMI, L’Archivio di Stato in Milano, p. 21.
[58] Ibidem, pp. 21-22.
[59] L’operazione di ricostituzione intrapresa dal Manaresi interessò le carte degli archivi del capitolo maggiore del Duomo di Milano e dei monasteri di S. Ambrogio e di Chiaravalle; essa è descritta in MANARESI, Rapporto presentato, pp. 73-90.
[60] Una descrizione dell’attuale struttura dell’Archivio Diplomatico si trova in NATALE, Archivio di Stato di Milano, pp. 902-903.
[61] Sul monastero di Manerbio e sul priorato di Fontana Coperta, cfr. GUERRINI, Manerbio, la pieve, pp. 86-89; Id., Il monastero di S. Maria di Manerbio; in particolare sull’archivio, MERATI, Una precoce esperienza cistercense, pp. 98-99.
[62] Cfr. per esempio i numeri 1, 2 e 3 di quest’edizione, collocati in ASMi, AD 83.
[63] È il caso dei numeri 9, 10 e 13 di quest’edizione, collocati in ASMi, AD 96.
[64] Per l’esame della documentazione contenuta in ASMi, AD 140 Varie (Provincia di Como), 178-179 Varie (Provincia di Cremona), 195-196 Varie (Provincia di Lodi), 614-618 Varie (Provincia di Milano), è stato utilizzato un inventario realizzato nell’ambito di una tesi di laurea da SCORTA, Inventario delle “Varie”.
[65] Il documento (numero 6 di quest’edizione) è edito in Monumenta monasterii Leonensis, p. 194. Inoltre, è compreso nelle grandi raccolte di regesti di atti pontifici stilate fra il XIX e il XX secolo, a partire da quella curata da P. Jaffé e S. Löwenfeld fino a quella di P. F. Kehr: JAFFÉ…, Regesta pontificum Romanorum, p. 92, n. 9774; KALTENBRUNNER, Papsturkunden in Italien, p. 664, n. 6743a; KEHR, Regesta Pontificum, p. 336.
[66] SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 302; VIOLANTE, La Chiesa bresciana, p. 1123.
[67] L’Odorici denominò la raccolta “Codice diplomatico bresciano dall’VIII secolo al cadere del XIII, arricchito di autografi queriniani, compilato per divisamento dei Presidi della biblioteca da Federico Odorici (1852)”. Egli riuscì anche ad ottenere il versamento del Liber potheris e degli antichi statuti di Brescia da parte del Comune. Cfr. DA PONTE, Federico Odorici, pp. 34-35.
[68] CAU, Il piano di edizione, pp. 8-9.
[69] Ettore Cau (ibidem, p. 7) cita il volume di MENANT, Campagnes lombardes, come esempio delle “difficoltà cui deve sottoporsi il ricercatore, in pellegrinaggio attraverso la penisola” alla ricerca di documenti. Lo studioso francese ha infatti visitato diciannove fra archivi e biblioteche in nove diverse località italiane e una tedesca (ibidem, pp. 810-820). Altrettanto eclatante è l’esempio dei documenti del monastero bresciano di S. Giulia, attualmente dispersi in almeno cinque sedi (nonché in un numero ancora imprecisato di archivi privati): cfr. BARBIERI, Per l’edizione del fondo documentario, p. 62.
[70] Ibidem. Cfr. inoltre, per altri esempi di ricostruzione di archivi antichi, Id., L’archivio antico; CAU, Introduzione, in Le carte del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro, pp. X-XIV.
[71] Si consideri l’esempio dell’archivio dell’abbazia di Morimondo, in riferimento al quale sono stati reperiti due elenchi di documenti risalenti rispettivamente al XII e al XIII secolo; cfr. ANSANI, Introduzione, pp. XXIX-XXXV.
[72] Sull’opportunità di una ricostruzione non solo virtuale di un archivio disperso, si veda il caso di quello del monastero di S. Maria di Pogliola, esaminato da RICCI MASSABÒ, La dispersione degli archivi monastici.
[73] ASBs, Fondo di Religione, reg. 35.
[74] Un recente riordinamento del Fondo di Religione dell’ASBs ha portato ad una nuova numerazione delle buste e ad una risistemazione del materiale in esse contenuto. Pertanto, quella che fino al dicembre 1998 aveva portato il numero 24 ora ha il 35.
[75] Il Bonomini presta la sua opera all’inventariazione delle carte del convento di S. Giuseppe nel 1706 (ASBs, Fondo di Religione, reg. 99), del monastero di S. Alessandro nel 1711 (ASBs, Fondo di Religione, reg. 14), del Monte Nuovo di Pietà nel 1723 (Archivio Storico Monti Riuniti di Brescia, b. 51), dell’Ospedale Maggiore nel 1720 e 1726 (se ne trova notizia in NAVARRINI, L’archivio storico, p. 297) e della famiglia Brunelli di Bassano nel 1726 (BQBs, manoscritto con segnatura BQ MS M F. II. 21). Una sintetica notizia sulla biografia e sull’attività di Giuseppe Bonomini è tracciata in TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, p. 48.
[76] NAVARRINI, L’archivio storico, p. 297.
[77] Ibidem, pp. 297-298.
[78] Ibidem, p. 298: l’autore afferma che questo metodo di catalogazione viene adottato con successo per gli archivi familiari, corporativi o di monasteri. Non poteva invece essere funzionale alla gestione di patrimoni documentari di dimensioni più ampie, che richiedevano sia un’organizzazione più elaborata, sia strumenti costruiti in base a criteri più sofisticati: cfr. in proposito l’esempio dell’Indice relativo al cenobio bresciano di S. Giulia esposto in BARBIERI, Per l’edizione del fondo documentario, p. 52.
[79] ASBs, Fondo di Religione, reg. 35, c. 1r.
[80] Ibidem, c. 1v.
[81] Ibidem, c. 7r: “Annali del reverendissimo monistero di Ss. Cosmo e Damiano, e d’altri monisterii e luoghi al medemo uniti, raccolti dagl’istromenti, testamenti et altre carte essistenti nell’archivio del medemo, da’ quali con ordine successivo di tempi si vede tutto ciò che dallo stesso monistero e luoghi uniti è stato operato”.
[82] Ibidem, cc. 1v-6r: “Indice di tutte le materie contenute nel presente repertorio” (a c. 1v).
[83] MERATI, Le carte, rispettivamente numeri 316 e 42.
[84] Talvolta, i nomi vengono fraintesi e la traduzione italiana porta ad un allontanamento ancora maggiore dal termine originario. Ne sia esempio il caso del monastero di S. Donnino di Verolanuova, che, citato per un errore del notaio come “monasterium Sancti Domini” (cfr. MERATI, Le carte, documento numero 54), è menzionato nel regesto del Bonomini come “monistero di S. Signore” (ASBs, Fondo di Religione, reg. 35, c. 9r); sul cenobio verolese, unito a quello di S. Pietro di Fiumicello e nuovamente separato nel 1251, cfr. BONAGLIA, Chiese e monasteri, pp. 114-120; SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 302.
[85] Incongruenze simili sono state rilevate da BARBIERI, Per l’edizione del fondo documentario, p. 53.
[86] ASBs, Fondo di Religione, reg. 35, c. 120r, “Inventario generale delli processi di liti come di altre carte del reverendissimo monistero di S. Cosmo”.
[87] Cfr. TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, p. 49.
[88] L’indice ha inizio alla c. 158r, senza intestazione. È interessante notare come esso consideri anche delle voci più generali, come per esempio “Liti et altre carte per dette aque et fosso”, suddivise a loro volta per località.
[89] La data rimanda agli “Annali”, la segnatura alla collocazione nell’archivio.
[90] Questi beni furono ceduti in permuta dal Comune di Brescia al monastero a titolo di risarcimento per la confisca di alcuni edifici, distrutti poi per consentire l’apertura di una piazza (cfr. MERATI, Le carte, numero 300). Pertanto, poiché relativi ad un particolare e ben definito negozio, è comprensibile come i documenti che vi si riferiscono abbiano avuto una collocazione a sé stante, separati da quelli concernenti gli altri possedimenti cittadini.
[91] I documenti contenuti nelle filze 3 e 6 risalgono infatti ad un periodo ristretto e ben delimitato: gli ultimi decenni del XIV secolo. Le menzioni della filza 3 cominciano in ASBs, Fondo di Religione, reg. 35 a c. 25v, con un atto datato 1376 ottobre 30 e terminano con un documento recante la datazione 1386 gennaio 18, a c. 34v; quelle della filza 6 hanno inizio a c. 27r, sotto la data 1377 marzo 11 e si concludono alla c. 44r, con riferimento al 1424 settembre 24. Questo fatto può costituire un indizio a favore dell’ipotesi di una loro collocazione su base cronologica.
[92] MERATI, Le carte, documento numero 62.
[93] Si consideri solo l’esempio di quattro documenti risalenti alla seconda metà del XIII secolo e datati 1251 agosto 1, 1252 ottobre 29, 1253 maggio 29 e 1253 agosto 11, alle quali erano stati assegnati rispettivamente i numeri “57”, “54”, “55” e “56”; cfr. MERATI, Le carte, numeri 106, 108, 110, 111.
[94] Il fatto che, però, il riordinamento del Bonomini sia cronologicamente più esatto di quello che adotta il metodo della numerazione progressiva, può costituire un indizio a favore dell’ipotesi dell’opera successiva di due diverse persone all’interno dell’archivio del monastero.
[95] Una sintetica ricostruzione di questa parte dell’archivio del monastero sta in TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, pp. 54-55.
[96] Ogni mazzo è dedicato ad un argomento, con ordinamento grosso modo cronologico. Il primo raccoglie “Privilegi, bolle ed altre estraordinarie” (ASBS, Fondo di Religione, reg. 35, c. 120r), dal secondo al quinto gli atti riguardanti Dello, il sesto fa riferimento ai beni in Onzato, Flero e Poncarale, il settimo a quelli in Brescia e nelle Chiusure, l’ottavo ai livellari cittadini, il nono alle possessioni di Adro e Calino, dal decimo al tredicesimo a livellari diversi, il quattordicesimo e il quindicesimo agli affari delle singole monache. Di ogni pezzo costituente il mazzo viene indicato solo il numero.
[97] Libro primo, Libro +, Libro A, Libro C, Libro 2 e Libro 3. La prima menzione dei libri riguarda il “Libro primo”, con un atto datato 1415 ottobre 15 (ASBs, Fondo di Religione, reg. 35, c. 41v). La segnatura riporta il nome del volume e il numero del foglio.
[98] ASMi, AD 66, fasc. 33e; la data del primo documento riportato è 1345 febbraio 7.
[99] È possibile leggere solo poche righe del secondo documento, di cui pertanto mancano la sottoscrizione notarile e indicazione del millesimo, tuttavia mano e signum risultano appartenere al rogatario del primo atto Baldovino de Claris.
[100] Cfr. per esempio “Onsado” (MERATI, Le carte, numero 58); “Mompiano” (numero 59); “Verola Vechia” (numero 18 di quest’edizione); “In Redoldesco et Ustiano” (numero 19); “Maserata” (numero 1); “Dello” (numero 10).
[101] Cfr. per esempio “Brixia, in quadra S.Agathe” (MERATI, Le carte, numeri 53, 63, 64); “Brixie in contrata de Turzani” (numero 15 di quest’edizione); “Vignole Chiusure” (MERATI, Le carte, numero 65); “Campi Bassi” (numero 67); “In Clausuris. Vergnano” (numero 86).
[102] Cfr. per esempio “Sindicatus monesterii Sancti Luce contra moniales Sancti Cosme” (MERATI, Le carte, numero 261); “Permuta del monastero con la città” (numero 300). Un caso di espressione mista, comprendente sia l’indicativo geografico, sia una sintetica menzione del contenuto del documento è: “Brixie, inter abbatissam et capelanos Sancte Marie in Solario” (numero 14 di quest’edizione), o anche “Brixie, debitum monesterii” (MERATI, Le carte, numero 90).
[103] L’incorporazione avvenne con bolla di papa Alessandro VI datata 1495 aprile 30: essa si trova, sotto forma di copia semplice, in un manoscritto della Biblioteca Queriniana di Brescia (ms. H. III. 10m3, cc. 18r-21v), ed è edita in MARGARINI, Bullarium Casinense, p. 410, cost. 184. Cfr. SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 325. Sulla congregazione di S. Giustina si veda PANTONI, Congregazione benedettina cassinese. Una situazione simile è stata rilevata ricostruendo la storia dell’archivio del monastero di S. Pietro in Monte di Serle, in seguito alla sua unione alla congregazione veneziana di S. Giorgio in Alga: CAU, Introduzione, in Le carte del monastero di San Pietro in Monte, pp. XXXIII-XXXVIII.
[104] CISTELLINI, La vita religiosa, p. 405.
[105] BUFFOLI, Il monastero delle benedettine, p. 267.
[106] Cfr. per esempio “Una petia terre prope Mellam” (MERATI, Le carte, numero 42); “De una pecia terre in contrata Sorbani” (numero 61); “In contrata Campi Bassi” (numero 76); “Una petia terre in contrata Vergnani” (numero 86); “De una pecia terre in contrata de Lambaraga, territorio de Mompiano” (numero 107); “In contrata Sancte Agates” (numero 111); “In circha civitatis Brixie extra pontem de Candebasso” (numero 128); “In contrata de Ravaria de Materno” (numero 232).
[107] MERATI, Le carte, numero 26. Il testo dell’annotazione è: “In contrata Botinaga”, e si riferisce ad una zona della città di Brescia.
[108] Nel verso di un documento datato 1241 febbraio 12 (MERATI, Le carte, numero 82) F scrive: “Investitura Iacobi de Bovenalis de Mompiano in contrata de Lambaraga”. Su un altro, risalente al 1287 maggio 22 (numero 236), si legge: “Carta investiture in Campo Basso civitatis Brixie Bertolini Brubulli”. In un terzo, del 1299 luglio 21 (numero 311), si trova la nota: “Investitura Bonepacis condam domini Venture de Mazedonis, in contrata quadre seu Porte civitatis Brixie”.
[109] Pare essere questa, infatti, l’interpretazione da dare all’annotazione: “Legatur instrumentum quia scriptum est in quadra Sancte Agates et non aliter”. Essa si trova sul verso del documento edito in MERATI, Le carte, numero 63.
[110] VIOLANTE, La Chiesa bresciana, p. 1123; SPINELLI, Ordini e congregazioni, p. 302; KEHR, Regesta Pontificum, p. 336.
[111] L’annotazione recita semplicemente: “Pro monesterio Sancti Petri de Flumicello” (MERATI, Le carte, numero 109). Le altre pergamene di Fiumicello non riportano nessuna annotazione di mano F.
[112] È il caso del documento edito in MERATI, Le carte, numero 147, sul quale sono riportate, di due differenti mani del XIV secolo le note: “Iacobi Piperate in contratis campra, ad Gleras, sub puteo et Vigna” e “Carta Piperate de Materno de .XII. baçetis oley ficti”, riferite la prima alla collocazione geografica dei terreni allivellati e la seconda all’entità del canone pattuito.
[113] Si considerino per esempio le annotazioni: “Investitura Daniotti Pinasi de loco Materni” (numero 17 di quest’edizione); “Investitura manasterii Sanctorum Gosme et Damiani facta in Martinum de Ello ferarium in fundo fosati veteris Brixie” (MERATI, Le carte, numero 64); “Investitura Vidonis condam Venture Vidonis de pluribus petiis terrarum de Flumicello” (numero 259).
[114] “Productum fuit die .XXVIII. septembris .MCCCLXXXX. indictione .XIII., hora tertia” (numero 9 di quest’edizione).
[115] Cfr. il documento edito in MERATI, Le carte, numero 206: i rilevamenti furono effettuati in data 1302 aprile 1, in presenza di due monache e un converso del monastero, dal notaio e agrimensore Coradinus de Quinzanello. In mancanza di una sottoscrizione, non ci sono elementi per stabilire se fu egli stesso l’estensore dell’annotazione.
[116] Nel verso del documento numero 15 di quest’edizione si legge infatti: “In civitate Brixie, in contratta de Turzanis, et est investitura inventa die | .XIIII. octobris .MCLXXVIIII., et debet poni ad cartis fosati veteris Brixie”. I beni oggetto della permuta con il Comune di Brescia sono elencati in un atto di procura datato 1298 agosto 28 (MERATI, Le carte, numero 300).
[117] Cfr. MERATI, Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano.
[118] I segni rimasti sulle pergamene, tuttavia, non sono tali da permettere di affermare che la piegatura fosse stata effettuata; sicuramente, se anche ciò è avvenuto, la posizione non è stata mantenuta abbastanza a lungo da lasciarne traccia certa. Sulla pratica di apporre annotazioni in tal modo, cfr. MERATI, Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano, paragrafo 5.
[119] MERATI, Le carte, numero 260. Cfr. MERATI, Il monastero dei Ss. Cosma e Damiano, paragrafo 6.
[120] Numeri 5, 11, 13, 15, 17, 20, 21, 2222, 23, 24, 25 di quest’edizione.
[121] Numero 12 di quest’edizione.
[122] Numero 14 di quest’edizione.
[123] Numeri 16 e 19 di quest’edizione.
[124] Numeri 7 (si tratta però di un munimen, in quanto la vendita avviene fra privati e il monastero viene nominato solo come confinante degli immobili acquistati), 8 e 18 di quest’edizione.
[125] Cfr., per esempio gli elenchi contenuti in Le carte del monastero di San Pietro in Monte, pp. 627-631, e in Le carte del monastero di Santa Maria di Morimondo, pp. 619-624.
[126] Considerazioni simili sono avanzate a proposito della documentazione di un monastero cistercense femminile da BARBIERI, Il monastero pavese di Santa Maria de Ortis, pp. 413-414.
[127] Numero 5 di quest’edizione.
[128] La notizia dell’incendio è riportata nelle antiche cronache bresciane: cfr. MALVECII, Chronicon Brixianum, col. 882. Gli Annales Brixienses riferiscono anche di un altro rogo, avvenuto nel 1144 (p. 812), ma per quello del 1184 riportano anche i nomi dei quartieri colpiti: “Conbusta est contrata arcus et sancte Agathe et curte ducis” (p. 814). Esso è anche menzionato in un documento di poco posteriore agli avvenimenti: cfr. numero 12 di quest’edizione: “tempore combustionis hore atque suburbii Sancte Agathes”.
[129] Si tratta rispettivamente dei numeri 5, 7, 8 e 11 di quest’edizione.
[130] Si tratta della conferma della donazione di alcune possessioni site nella località di Valenzano, fatta dal defunto vescovo di Brescia Notingo al monastero dei Ss. Cosma e Damiano. LUPI, Codex diplomaticus, coll. 715-716. L’autore informa che ha potuto visionare il documento presso un collezionista bergamasco di antiche carte, Giuseppe Beltramello (col. 714). Una successiva edizione si trova in Codex Diplomaticus Langobardiae, n. 240, coll. 401-402. Il Porro Lambertenghi, basandosi sulle informazioni ricavate dal testo, ritiene di poter datare l’atto all’anno 865.
[131] BÖHMER, Regesta Imperii, I, Die Regesten des Kaiserreichs unter den Karolingiern. 751-918, p. 523; BÖHMER, Regesta Imperii, I, Die Regesten des Kaiserreichs unter den Karolingiern. 751-918 (926), p. 172-173.
[132] ASBs, Archivio Storico Civico, Codice Diplomatico Bresciano, busta 1. L’atto è edito in Codex Diplomaticus Langobardiae, n. 313, coll. 527-528. Il documento è datato 882 novembre 10.
[133] Il documento trova posto nella ricostruzione dell’antico archivio del monastero di S. Giulia operata da BARBIERI, Per l’edizione del fondo documentario, p. 77. Esso è menzionato nell’inventario secentesco del cenobio, ASTEZATI, Indice alfabetico, pp. 5, 65.
[134] Numero 5 di quest’edizione.
[135] Chronica monasterii virginum, p. 5.
[136] TROTTI, Il monastero dei Santi Cosma e Damiano, p. 57.
[137] MERATI, Le carte, numeri 35, 127, 129, 166, 228.