Introduzione
Se è amaro constatare la perdita quasi completa delle carte delle istituzioni di Teglio, specie in considerazione dell’antichissima storia che caratterizza questa terra [1], è comunque utile dare qui sinteticamente conto dell’esito – purtroppo pressoché infruttuoso – delle ricognizioni documentarie sino ad ora svolte su più fronti.
Gli archivi delle istituzioni telline (con particolare attenzione si sono cercate tracce documentare relative alla chiesa romanica di San Pietro, purtroppo senza esito) non risultano essere conservati presso l’archivio arcivescovile di Milano, pur nella constatazione che a partire dal principio del XIII secolo esso è assai ricco di scritture dell’arcivescovo attestanti i suoi interessi in quella terra [2]. Teglio ed il suo territorio, infatti, erano soggetti in temporalibus alla signoria dell’arcivescovo di Milano e costituirono una enclave nel territorio Valtellinese da tempi imprecisabili, almeno allo stato attuale degli studi: numerosi beni e diritti erano infatti all’arcivescovo milanese ab antiquo pertinentes et pertinentia, ut in baroldinis, libris, scripturis et instrumentis dicti archiepiscopatus constat [3].
Neppure le ricognizioni presso l’archivio vescovile di Como – caratterizzato però da esiguo possesso di scritture relative ai secoli qui indagati – ha condotto a ritrovamenti fruttuosi [4]. Le ricerche in questa sede erano indirizzate dalla constatazione che Teglio in spiritualibus sempre dipese dal vescovo di Como, come pare attestare anche la memoria di consacrazione della chiesa di Santa Eufemia risalente al 1117 da parte del presule lariano Guido Grimoldi (1098–1125): si tratta dell’unico documento qui edito.
L’attenzione si è concentrata inoltre su altri archivi presenti in territorio valtellinese. La già menzionata memoria della consacrazione della chiesa (che sino ad anno imprecisabile era certamente conservata presso la collegiata di Santa Eufemia di Teglio) è stata rinvenuta all’interno del Diplomatico dell’Archivio di Stato di Sondrio, fondo per il quale risulta tuttavia estremamente difficoltoso tracciare oggi una storia relativa alla sua formazione.
Invece altri archivi ecclesiastici locali visionati hanno condotto ad esiti deludenti. L’attenzione è stata rivolta in particolare agli archivi parrocchiali, che talora in questo territorio conservano fondi documentari inaspettati.
Le scritture oggi conservate presso il tabularium della collegiata di Santa Eufemia assumono una certa consistenza soltanto a partire dal XVII secolo. A quale epoca risale tale dispersione? In un elenco di beni in data 14 gennaio 1943 [5], si legge la seguente postilla: «È in tradizione che nel 1600 circa un incendio distrusse l’antico archivio. Documento più antico è quello di Urbano VIII nel 1624, con cui eresse la parrocchia a collegiata plebana» [6]. Tuttavia anche nel Settecento si ebbe una ulteriore progressiva dispersione documentaria, come attestano le iterate prescrizioni vescovili per una maggiore cura dell’archivio [7]. E ancora al principio del Novecento ritorna la raccomandazione di una maggior cautela nella conservazione delle scritture [8]. Desta particolare rincrescimento – infine – il dato fornito dal ricordo degli anziani del posto: essi raccontano di quando numerose carte di Santa Eufemia furono condotte al macero e qualcuno rivede con chiarezza il fuoco di documenti che erano custoditi nell’archivio di San Giovanni di Teglio.
Si è invece salvato il bell’archivio di San Giacomo di Teglio–Granìa, che tuttavia conserva scritture solo a partire dal XIV secolo.
Note
[1] Tra la ricca bibliografia disponibile relativa alle campagne di scavo in questo territorio, a titolo di esempio cito soltanto: REGGIANI RAJNA, Ara sacrificale preromana, pp. 361–369, 371–373; EADEM, Il mondo delle stele preistoriche di Teglio, pp. 231–250; GARBELLINI, Teglio, scavi archeologici nell’area della chiesa di San Pietro, pp. 44–49.
[2] In particolare la ricognizione ha riguardato l’archivio della Mensa vescovile: sia i libri mastri (in particolare i voll. I e II: si tratta dei registri più antichi) sia le buste (in particolare quella corposa recante intestazione "Valtellina, documenti vari").
[3] Archivio Arcivescovile di Milano, Mensa vescovile, Mastro II, c. LXXXXII (il riferimento documentario riportato deve essere considerato come uno degli esempi possibili, dato che tale formula ricorre con una certa frequenza almeno nel sec. XIV). Per maggiore completezza, si riporta di seguito il passo completo: «Reverendissimus in Christo pater et dominus dominus Antonius de Salutiis Dei et apostolice sedis gratia sancte Mediolanensis Ecclesie archiepiscopus, ratione sue archiepiscopalis dignitatis, habet in Valletellina castrum Tellii et mansos .lxxii., et quilibet mansiis habet pertichas .xxx. terre vineate et pertichas .xxx. terre laborative et pertichas .xxx. terre prative et buschive et multa ficta, decimas et conditia et domos, terras et possessiones dicto archiepiscopatu longo tempore pertinentes et pertinentia (…), que fuerunt illorum de Lazaronibus, et ius decimandi super omnibus terris necnon cazias, pischarias, iurisdictiones, honores et districtum et castaldaticum et merum et mistum imperio dicto archiepiscopatu ab antiquo pertinentes et pertinentia ut in baroldinis, libris, scripturis et instrumentis dicti archiepiscopatus constat».
[4] La ricognizione ha riguardato il fondo Pergamene e l’archivio della Mensa vescovile (sia la sezione dei Volumina – magna e parva – sia la sezione delle Carte).
[5] Archivio parrocchiale di Teglio, tit. IV: amministrazione del patrimonio, classe IV: inventari, n. 4.
[6] Il dato in realtà non è corretto, in quanto sono presenti in archivio anche scritture antecedenti. Il documento più antico conservato è un instrumentum venditionis del 1433 novembre 24, su supporto membranaceo (Archivio parrocchiale di Teglio, tit. IV: amministrazione del patrimonio, classe I: vendite e locazioni, doc. n. 11).
[7] Un dato significativo in questa prospettiva è certamente il rilievo spesso presente nelle relazioni delle visite pastorali dei vescovi comensi circa la mancanza di un archivio presso la chiesa di Santa Eufemia e riguardo alla dispersione delle carte. Così, ad esempio, nella visita di Paolo Cernuschi (1739–1746) del 25 giugno 1744, in risposta al quesito «se abbia archivio particolare, e chi sia il canonico archivista», si legge: «Non vi è e si farà per tenersi in sagristia, avendo tutti dato il voto, e si procurerà unire tutte le scritture e notizie, e destineranno chi dovrà tener la chiave» (ASDC, VP, b. CXXIX, p. 15). E così ancora similmente il 24 maggio del 1766, durante la visita di Giovanni Battista Mugiasca (1764–1789), si legge che: «Antichissima è questa chiesa collegiata della di cui erezione e prima fondazione non consta, giacché le disgrazie delli antichi tempi ne hanno ingiuriosamente consumati li documenti» (ASDC, Visite Pastorali, b. CLXXXVIII, fasc. 5, p. 1). E poco oltre: «Troppo necessaria si è la conservazione dei documenti appartenenti ai diritti ed alle ragioni capitolari perlocché insinuiamo che debba farsi l’archivio nella sagristia stessa in cui qualunque documento si registri e si custodisca» (ivi, p. 16–17).
[8] In occasione della visita di mons. Alfonso Archi (1905–1925), viene raccomandato che «l’archivio sia chiuso a chiave perché non basta serrare il locale» (ASDC, VP, b. CCXXXIV, fasc. I, subfasc. 5, p. 3).