Introduzione (*)
(*) L’introduzione è al momento limitata alla descrizione del codice.
Il codice che reca il titolo, attribuito in epoca moderna, “Privilegia episcopii Cremonensis” appartiene alla collezione Robolotti, conservata presso la Biblioteca Statale-Libreria Civica; è meglio noto come “Codice di Sicardo”, dal nome del presule che fu a capo della diocesi di Cremona tra il 1185 ed il 1215, al quale è da attribuire l’iniziativa della redazione del manoscritto; l’intervento del vescovo è infatti esplicitamente menzionato in calce al secondo documento del registro con queste parole: “Ego Sychardus Dei gratia Cremonensis episcopus has duas institutiones Comaclensibus a Liuthprando et a Karolo factas ideo scribi fecimus, quoniam ex eis colligitur quod Cremonensis portus, de quo sepe in infrascriptis privilegiis agitur, sit portus antiquus a Liuthprando vel antea institutus et per Karolum confirmatus et quia de his institutionibus mentio continebitur in sequentibus”.
È un manoscritto pergamenaceo che misura mm 390x260 con legatura settecentesca in legno ricoperto di pelle. Consta di cc. 113 (vi sono tre carte mutile), scritte su entrambi i lati della pergamena, precedute da dodici fogli cartacei; sul recto del secondo foglio vi è lo stemma del vescovo Alessandro Litta (1718-1749), mentre le carte da 3 a 12 contengono l’indice dei documenti di mano settecentesca, con annotazioni ottocentesche di mano di Ippolito Cereda. I fogli pergamenacei presentano una numerazione per pagina nell’angolo superiore esterno di mano del sec. XVIII; il manoscritto fu refilato, probabilmente in occasione della rilegatura settecentesca; andarono cosė perdute numerazioni precedenti delle carte e parte delle annotazioni marginali ai documenti; la numerazione alfanumerica (lettere e numeri romani) per singolo documento pare di mano del XVII secolo, molto simile a quella che ha compilato l’inventario seicentesco dell’archivio della Mensa vescovile, mentre la numerazione ottocentesca dei documenti è di mano di Ippolito Cereda, che appone numerose annotazioni, soprattutto con riferimenti bibliografici, nei margini. Nella parte inferiore di p. 168, lasciata originariamente bianca, compare un disegno a matita, approssimativamente databile al XV secolo, che rappresenta san Giorgio che combatte contro il drago.
Il codice si compone di quattordici fascicoli di dimensioni variabili, ma per la maggior parte quaterni, uno dei quali il terzo con una carta mutila tra la terza e la quarta carta. Fanno eccezione il primo fascicolo originariamente di dodici carte con una carta, quella che sarebbe dovuta essere la terza, mutila; il secondo, il quarto e il quinto quinioni; il sesto formato da quattro carte; il quattordicesimo originariamente formato da sei carte, la prima delle quali è ora mutila. I fascicoli presentano rigatura a secco, di quaranta linee per pagina, con definizione dei margini orizzontali e verticali e dello specchio di scrittura. I primi dieci fascicoli furono numerati con numeri romani in basso al centro dell’ultima carta di ciascun fascicolo; le cifre I e II sono quasi completamente erase, mentre la cifra X, a p. 168, è parzialmente occultata dalla presenza del disegno del secolo XV sopra menzionato. È quindi molto probabile che la numerazione dei fascicoli e, di conseguenza, la sistemazione degli stessi, che attualmente corrisponde alla numerazione, sia quella originaria e risalga, comunque, ad un momento anteriore al secolo XV. Sfugge invece il motivo per cui la numerazione si sia interrotta al X fascicolo, anche se non è da escludere che le cifre possano essere state asportate da successive refilature delle carte.
Il codice contiene, esclusi gli allegati, 160 documenti, datati tra il 715 o 730 e il 1331 [1]; ad essi vanno aggiunti due documenti presenti solo quali inserti di altri (vedi gli inserti dei nn. 62 e 136 della presente edizione) e due presenti sia quali documenti autonomi sia come inserti (vedi i nn. 12 e 21 della presente edizione); due documenti sono invece presenti in duplice copia (nn. 132, 139 e 133, 140).
La redazione della maggior parte dei documenti risale ad anni vicini al 1209-1210 [2], date dei quattro documenti scritti nel codice dal notaio Emanuele Falconieri, due in forma di originale: nn. 83 (82) e 86 (85) e due in copia autentica: nn. 84 (83) e 85 (84), che costituiscono perciò il riferimento per la data di redazione di più di centoquaranta documenti in copia autentica: nn. 1-51, 56-65 (64), 67 (66)-82 (81), 87 (86)-130 (128), 132 (130)-137 (136), 139 (138)-160 (159), datati tra il 715 o 730 ed il 1187 [3]. Negli spazi lasciati bianchi furono successivamente aggiunti altri documenti: in particolare il n. 53, datato 1164 aprile 3, Pavia, falso del sec. XIV in forma di copia semplice di copia autentica; i nn. 54-55, rispettivamente originale, datato 1331, e copia autentica coeva di documento anch’esso datato 1331; il n. 66 (65), copia autentica della seconda metà del XIII secolo di documento pontificio datato *1186* novembre 14; il n. 117 (115), copia semplice coeva di copia autentica della seconda metà del secolo XIII di documento datato 1213; il n. 131 (129), copia autentica della prima metà del secolo XIII di documento datato 1097; il n. 138 (137), copia semplice del secolo XIV di copia autentica datata 1317 di un documento datato 1162; il n. 161 (160), copia semplice di copia autentica del 1264 di un documento datato 1189 settembre 4; ed infine un documento datato 1270 in copia autentica del secolo XIV.
Successivamente, in epoca non precisabile, ma molto tarda, furono cuciti al registro otto documenti, di cui quattro in pergamena e quattro cartacei. Tra essi sono anteriori alla fine del XII secolo un privilegio imperiale datato 1159 novembre 26 in originale (n. 163 secondo la numerazione ottocentesca, Appendice n. 1 nella presente edizione), una copia pressoché coeva (da originale incompleto) della Constitutio de feudis di Corrado II, datata 1037 maggio 28 (n. 164, Appendice n. 2 nella presente edizione); un placito, in originale, del 1064 aprile 18 (n. 165, Appendice n. 3 nella presente edizione) e una copia del 1599 di un diploma imperiale datato 882 febbraio 15 (n. 169, Appendice n. 4 nella presente edizione), del quale vi è, oltre all’originale, anche copia autentica nel Codice stesso (n. 12). I documenti anteriori alla fine del XII secolo traditi dal Codice (compresi gli inserti e gli allegati) sono perciò 157.
Per la maggior parte delle copie contenute nel Codice – docc. nn. 1-11, 13-26, 28-31, 33-53, 55-82 (81), 84 (83), 85 (84), 87 (86)-114 (112), 118 (117)-136 (135), 138 (137)-160 (159), 162 (161) – non è stato possibile reperire gli originali da cui sono state tratte le copie stesse; l’originale del n. 12, è ora conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Cremona nel fondo Capitolo della Cattedrale di Cremona, ma con ogni probabilità proviene dall’archivio vescovile, mentre gli originali dei documenti del Codice nn. 27, 32, 115 (113), 116 (114), 137 (136) si trovano tra le pergamene originariamene appartenenti all’antico archivio vescovile. Bisogna inoltre precisare che possediamo gli originali dei documenti nn. 117 (115) e 161 (160) trascritti in copia semplice nel Codice da copie autentiche, che invece non ci sono pervenute, e che per i documenti del Codice nn. 18, 36, 59, 78 (77) possediamo altre copie parallele dello stesso documento.
Le copie autentiche databili intorno al primo decennio del secolo XIII sono dovute all’opera di quattro notai, Girardo (I), Girardo (II), identificabile con Gyrardus Patitus imperatoris Henrici notarius, Giovanni, identificabile con Iohannes de Sancta Cruce e Raimondo identificabile con Ramundus de la Levata che utilizzarono una minuscola notarile più curata di quella adoperata dagli stessi per la produzione di singoli documenti pergamenacei. I tre notai identificati sono tutti e tre attivi tra la fine del sec. XII e la prima metà del sec. XIII e questo dato conferma le osservazioni, sopra formulate, sul periodo della redazione del Codice intorno al primo decennio del sec. XIII. I documenti nn. 1-51 [4], 67 (66)-79 (78), sono scritti da Girardo (I) che sottoscrive le copie insieme al notaio Giovanni de Sancta Cruce – nn. 1, 2 –, insieme al notaio Raimondo de la Levata – nn. 3-7 e 9-45 – e da solo – nn. 8, 46-51, 67 (66)-79 (78); e da Girardus Patitus che sottoscrive da solo – nn. 56-65 (64), 80 (79)-82 (81), 87 (86)-116 (114), 118 (116)-130 (128), 132 (130)-137 (136), 139 (138)-160 (159).
Quanto al contenuto, i documenti scritti intorno al 1209-1210 sono suddivisibili in cinque gruppi principali, scanditi dall’inserzione di documenti per opera di redattori di epoca più tarda:
- i documenti nn. 1-51, contenuti nei primi tre fascicoli redatti senza soluzione di continuità tra un fascicolo e l’altro, sono copie di diplomi regi ed imperiali scritti dal notaio Girardo (I), cui seguono, in carte lasciate bianche al termine del terzo fascicolo, come precedentemente accennato, un documento incompleto e privo di autentica di mano di Girardo Patitus – il n. 52 – e tre documenti scritti nel XIV secolo – i nn. 53-55;
- i nn. 56-65 (64), contenuti nel quarto fascicolo, sono copie di placiti scritti dal notaio Girardo Patitus (ai quali segue copia di privilegio pontificio del 1186 – il n. 66 (65) – scritta nella seconda metà del sec. XIII);
- i nn. 67 (66)-80 (79), scritti nel quinto fascicolo con il titolo di “Privilegia apostolicorum (sic) in Ecclesiam Cremonensem”, sono copie perlopiù di documenti pontifici [5], scritti dal notaio Girardo (I), tranne il n. 80 (79) scritto da Girardo Patitus;
- i nn. 81 (80) e 82 (81), scritti da Girardo Patitus nel sesto fascicolo con il titolo di “Carte ecclesiarum”, cui seguono due originali datati 1209-1210 e due copie autentiche coeve scritte dal notaio Emanuele Falconieri, sono documenti relativi alle chiese di S. Agata, dei SS. Cosma e Damiano e di S. Vitale di Cremona;
- nei fascicoli dal settimo al quattordicesimo sotto il titolo “Carte de aquisitionibus locorum” furono scritte quasi tutte per mano di Girardo Patitus le copie di documenti, perlopiù privati, relativi alle chiese e ai diritti del vescovo in località della diocesi; successivamente furono inseriti: il n. 117 (115), copia semplice coeva di copia autentica della seconda metà del secolo XIII di documento datato 1213; il n. 131 (129) datato 1097 ed autenticato nella prima metà del secolo XIII; il n. 138 (137), copia semplice del secolo XIV di copia autentica datata 1317 di un documento datato 1162; infine al termine dell’ultimo fascicolo furono scritti il n. 161 (160) copia semplice poco più tarda di copia autentica datata 1264 di documento datato 1189 e il n. 162 (161), copia del sec. XIV di documento del 1270.
I documenti dell’ultimo gruppo non sono disposti in ordine cronologico, come negli altri nuclei individuati, ma sembrano suddivisi, seppur in modo non sempre preciso, secondo le località indicate anche nei titoli coevi premessi alle copie stesse dei documenti: i documenti nn. 87 (86)-90 (89) riguardano perciò Arzago d’Adda; i nn. 91 (90)-95 (94) Mozzanica; i nn. 96 (95)-101 (100) Bariano; i nn. 102 (101)-106 (105) Antegnate; i nn. 107 (106)-114 (112) Castel Gabbiano; i nn. 115 (113)-117 (115) Ricengo; i nn. 118 (116) e 119 (117) Offanengo; i nn. 120 (118)-130 (128) Ripalta Arpina, Montodine e Moscazzano; i nn. 132 (130) e 133 (131), ripetuti ai nn. 139 (138) e 140 (139) Zanengo; i nn. 134 (132)-138 (137) Acquanegra Cremonese, Sesto Cremonese e Crotta d’Adda; i nn. 141 (140)-160 (159) Bozzolo, Grontardo, Cella Dati, Vidiceto e altre località site nella parte sudorientale del territorio cremonese.
Note
[1] La numerazione ottocentesca di mano di Ippolito Cereda vada da 1 a 161. Bisogna però precisare che vi è un bis (il n. 61 della presente edizione) e che i documenti ora numerati nn. 132 e 133 (secondo la numerazione della presente edizione) sono copiati una seconda volta ai nn. 139 e 140. Inoltre i documenti attualmente numerati 110 e 111 erano indicati complessivamente con il n. 109, mentre l’inserto del n. 136 era contrassegnato dalla cifra 135.
[2] I documenti del Codice sono indicati secondo la numerazione data nella presente edizione, tra parentesi si fa riferimento, quando discordante, alla numerazione in numeri arabi apposta da Ippolito Cereda, riportata anche nella tavola della traditio premessa a ciascun documento.
[3] In anni vicini al 1209-1210 furono redatti anche i nn. 52 e 61 (60bis) che sono tuttavia privi di autentica.
[4] Il n. 52 è privo di sottoscrizione e sembra essere di mano di Girardus (II).
[5] Ad eccezione di tre sentenze (nn. 75, 76 e 78 della presente edizione).