2
Oberti Ebriaci epistula
<1144 - 1169/1170>
Oberto Ebriacus informa Giovanni de Rodo che l'arcivescovo di Genova ha pubblicamente scomunicato Rolando e i suoi complici; gli raccomanda, anche per consiglio di molti nobili Genovesi, di non concludere patti ne accordi con il detto Rolando o con i messi di questi; gli assicura l'aiuto suo e di molti Genovesi, se in questa circostanza vorrà agire con fermezza.
Originale, ASA, Perg. sec. XII, n. 216 [A]. Copia semplice del sec. XVIII, N. Sormani, Diplomatica mediolanensis, H 101, III, f. 59r. Copia semplice del sec. XVIII, G. C. Della Croce, Codex Diplomaticus Mediolanensis, I, 8, f. 180rv (dalla copia del Sormani).
Sul verso, di mano contemporanea: Iohanni de Ro|do detur. | Iohanni de Rodo. La scritta è disposta in senso perpendicolare alla scrittura del testo, e in modo da essere leggibile anche a pergamena piegata.
Edizioni: Simonsfeld, pp. 736-737 (dalla copia del Sormani); Wache, pp. 331-332 (da A).
Regesto: Wache, p. 319.
Cf. Wache, pp. 320, 323.
Pergamena di mm. 95/101 x 128/134; in cattivo stato di conservazione, appare logora in corrispondenza delle tre antiche piegature orizzontali, dove si sono anche formati taglietti e forellini. Sul margine destro un foro nasconde alcune lettere. L'inchiostro sbiadito e le macchie di umidità rendono la lettura difficoltosa, e talvolta impossibile; l'esame alla lampada di Wood ha però completamente restituito il testo.
Il Wache collocava questa lettera attorno al 1172-1173 per i seguenti motivi. In primo luogo, nell'iniziale del nome danneggiato dal guasto alla fine del r. 5, egli credeva di poter leggere una H e riteneva che con tale lettera incominciasse il nome dell'arcivescovo genovese ricordato subito prima. Identificava quindi l'arcivescovo con Ugo della Volta, che fu a capo della diocesi genovese dal 1163 al 1188, e in tal modo stabiliva una prima delimitazione cronologica. Credeva poi di poter ancora meglio definire il termine post quem in base all'interpretazione da lui data ad un passo della lettera, e precisamente: ...complices suos... curo clericis suis excommunicavit..., nel quale egli vedeva la notizia della avvenuta scomunica di un tale, dei suoi complici e di chierici; notava allora che nel 1175 si era conclusa la lotta tra l'arcivescovo di Genova e i canonici della cattedrale, e che ad una fase di essa si riferirebbe la nostra lettera, la quale sarebbe pertanto anteriore al 1175. Un terzo elemento che, secondo il Wache, permetterebbe di restringere ulteriormente lo spazio di tempo in cui la lettera fu scritta, sarebbe il nome della persona con la quale Giovanni de Rodo è pregato di non stringere patti: cioè Rolando, che il nostro studioso credeva di poter identificare, con quasi assoluta certezza, con Rolando Bandinelli, allora papa Alessandro III, e riteneva perciò che la lettera si potesse collocare attorno al 1172-1173, all'epoca della prima spedizione italiana di Cristiano di Magonza, l'opera del quale era stata volta soprattutto a minare il sistema di alleanze stretto attorno a Alessandro.
L'ipotesi cronologica del Wache, però, non regge ad un più approfondito esame del testo, reso possibile dalla migliore lettura mediante la lampada a raggi ultravioletti. In primo luogo, infatti, quella che secondo il Wache sarebbe l'iniziale del nome dell'arcivescovo non è una H ma una R ed è seguita da un foro per un'estensione di circa quattro lettere, e, all'inizio della riga seguente, da -dum: il nome, quindi, si può tranquillamente integrare in Rolandum, cioè il nome della persona scomunicata e non quello dell'arcivescovo. In secondo luogo ci sembra che nel testo non si faccia cenno alcuno alla scomunica di un gruppo di chierici, bensì alla scomunica lanciata dall'arcivescovo contro Rolando e i suoi complici, in forma pubblica, cioè nella chiesa maggiore della città e alla presenza del clero. Cade dunque la possibilità di poter collocare la lettera di Oberto Ebriacus in un momento di lotta tra il capo della Chiesa genovese e i canonici della cattedrale. Infine mi sembra che non sia assolutamente possibile identificare lo scomunicato Rolando con Alessandro III, il quale, se l'arcivescovo di Genova lo avesse davvero scomunicato, non sarebbe qui detto semplicemente Rolandus ma riceverebbe ben più severi epiteti, così come tutti i pontefici contestati da parte dei loro avversari. Inoltre, pur senza abusare dell'argomento e silentio sembra strano che nessuna delle numerose cronache, dell'uno e dell'altro schieramento, registri il fatto; al contrario, le fonti di cui disponiamo sono concordi nel mettere in risalto i buoni rapporti costantemente intercorsi tra Alessandro III e la Chiesa genovese (v., per es., Kehr, VI, 2, nr. 12 p. 268, 13 p. 269, 17 p. 269, 18 p. 270).
Caduta l'ipotesi cronologica del Wache, occorre ora fornire un'ipotesi sostitutiva. A nulla serve, come già aveva notato lo studioso dei documenti santambrosiani, il nome del mittente della lettera, cioè Oberto Ebriacus: sappiamo infatti che gli Ebriaci o Embriaci erano una potente e ricca famiglia genovese (cf. ad es. Codice diplomatico della repubblica di Genova, pp. 296, 297, 298), ma tra i suoi membri, a quanto ci è dato sapere, non viene mai ricordato un Oberto. Anche il nome del destinatario, Giovanni da Rho, non è di maggior aiuto: tale nome, infatti, ricorreva ad ogni generazione, anche più di una volta, nella importante famiglia capitaneale milanese: un Giovanni da Rho, per esempio, fu tra i primi ad entrare in Gerusalemme nella prima crociata, forse lo stesso fu presente alla prova del fuoco sostenuta dal prete Liprando nel 1103 (Giulini, Memorie, II, pp. 680, 682, 736); un altro Giovanni era tra gli ordinari della Chiesa milanese nel 1148 (Puricelli, Ambrosianae, p. 701); un altro fu console nel 1150 (Manaresi, nr. XXI, pp. 32-33); nel 1174 un magister Giovanni de Raude era tra i Milanesi presenti ad una sentenza del vescovo di Bergamo (Codice diplomatico laudense, II,2, p. 653); un altro fu console nel 1197, 1202, 1205 (Manaresi, nr. CCI, pp. 285-286; nr. CCXLIV, pp. 342-345; nr. CCLIII, p. 353; nr. CCLXXXV, pp. 393-397). Da tutti questi dati si può dedurre solo che in qualunque momento del XII secolo vi era sicuramente almeno una persona che si chiamava Giovanni da Rho.
L'unico altro elemento a nostra disposizione è costituito dal nome dello scomunicato Rolando, che, dal tono della lettera, sembra costituire un problema politico per i Genovesi, anche se il suo comportamento indusse ad un certo punto l'autorità religiosa della città a procedere alla scomunica di questo individuo: non si spiega in altro modo l'espressione complices suos, e soprattutto il ricorrere da parte di Oberto e dei nobili Genovesi all'aiuto di un laico quale il destinatario della lettera, di cui tra l'altro si lamentava il comportamento troppo tiepido sull'affare; quest'ultima osservazione ci porta a pensare che il problema di Rolando toccasse da vicino anche Milano. Se a questo punto esaminiamo la storia dei rapporti tra la città lombarda e Genova, che fino al 1133 era stata suffraganea di quella (Kehr, VI, 2, nr. 6, pp. 266-267; Zerbi, S. Bernardo, pp. 228-241), troviamo un episodio che sembra corrispondere alla situazione indicata dal nostro documento: l'arcivescovo di Milano, infatti, aveva conservato importanti diritti nel territorio di quella che era stata sua suffraganea: in particolare aveva un suo advocatus nella pieve di Uscio: questa carica, ereditaria, si era a poco a poco trasformata in una vera signoria, da cui Genova, il comune e l'arcivescovo, tendevano a liberarsi: nel 1144 la lotta tra gli avvocati dell'arcivescovo di Milano e l'arcivescovo di Genova era ormai aperta; l'advocatus di allora si chiamava proprio Rolando (Barni, L'arimannia, pp. 102-103), ed anche un da Rho, di nome Ottone, era stato inviato dall'arcivescovo di Milano a sostenere le sue ragioni nella controversia; altri episodi di questa lotta si ritrovano nel 1147, nel 1159, nel 1162 (ibid., p. 103). Nel 1164 Rolando advocatus che era evidentemente a capo di una fazione cittadina, provocava un episodio di lotta civile, con morti e feriti. Nel 1169 i consoli, sostenuti dall'arcivescovo di Genova, vollero riportare la pace nella città facendo giurare i capi delle due fazioni: Rolando advocatus tentò di rifiutare il giuramento, che rese solo, e a malincuore, quando l'arcivescovo, con tutto il clero e le croci, e i consoli gli si presentarono davanti e lo condussero dinanzi al Vangelo quasi di forza (quasi coactum ad librum conduxerunt et... tandem in ordinatione consulum pacem quietus iuravit: Oberti Cancellarii Annales, pp. 79-80; l'episodio del 1164 è alla p. 58). L 'anno seguente, per rendere stabile la pace, si stabilirono rappresentanti di ognuna delle due fazioni che giurarono di eliminare i motivi di lite tra Rolando advocatus e Fulco de Castro, e tra i loro sostenitori: tra i rappresentanti degli avversari di Rolando vi era Nicola Ebriacus (ibid., p. 85).
Per ritornare ora alla nostra lettera, ci pare che essa possa essere stata scritta in uno dei momenti nei quali erano in causa tutti gli interessati al problema dei diritti della Chiesa genovese e quindi di Genova, contro quella milanese, e quindi Milano. Possiamo tranquillamente scartare il 1162, perché in quell'anno i Milanesi avevano altri problemi ben più pressanti a cui pensare; rimangono allora il 1144, quando cioè appare chiaramente che l'arcivescovo di Genova, sostenuto dalla città, era in lotta con Rolando advocatus, e con la Chiesa milanese, che nell'affare si fece rappresentare proprio da un membro della famiglia da Rho, oppure il 1169 o il 1170, quando si compì il tentativo di riportare a Genova la pace civile, con mobilitazione anche delle autorità ecclesiastiche: in questa fase la famiglia degli Ebriaci era probabilmente schierata con gli avversari di Rolando. In questo anno, inoltre, si potrebbe spiegare bene la promessa di aiuto che Oberto fa a Giovanni da Rho: nel 1168 infatti, le città della Lombardia avevano chiesto a Genova di unirsi alla lega contro il Barbarossa, ma i Genovesi dopo aver mandato loro rappresentanti, non si erano accordati con le città della Lega (Oberti Cancellarii Annales, p. 78). Può darsi dunque che l'Ebriacus volesse far balenare alla mente di Giovanni da Rho che il possibile ingresso di Genova nella Lega, era subordinato alla rinuncia da parte di Milano a sostenere Rolando, e quindi in pratica, alla rinuncia di Milano alle sue importanti rivendicazioni in territorio genovese.
Rimane sempre valida, per questo caso come per il documento precedente (Appendice II, 1), l'ipotesi dell'esercitazione retorica suggerita dalla notevole indeterminatezza di certe espressioni; ma qui, più che nell'altro, caso, sembra possibile inserire il testo in una precisa vicenda storica.
Nobilissimo catanio (a) amabilique prudentissimo militi (b) I(ohanni) nec non et nobili | Comitisse (c) uxori sue cunctisque filiis suis Obertus Ebriacus fidelis di|lectus salutem (d) et (e) dilectionem non fictam. Sicut vestrum honorem vestrarumque rerum au[gmentum] (f) | diligo et cupio, et de adversis, que utinam longe sint a vobis, dolerem, ita present[ibus lit]|teris (f) vestra nobilitas volo ut cognoscat. Scire vos volo quod archiepiscopus noster R[olan]|dum (g) omnesque complices suos publice in nostra maiori ecclesia cum clericis suis excom|municavit et maledixit; quod mihi meisque omnibus et multis aliis nobilibus nostre civi|tatis non displicere sciatis. Unde per (h) dilectionem quam in vobis habeo, et per consilium | multorum nobilium Ianuenssium (i), vestre prudencie rogando mando quatenus si (j) cum Ro|lando neque cum (k) suis nunciis pactum neque conventum ullum faciatis, quia credo quod per | vestram prudenciam et per legalem iusticiam ad vestrum beneplacitum negocium finietur. | Sed valde miror et doleo, quod tam tepide vos habetis super tantum negocium. Si enim du|re et viriliter vestram iusticiam pro posse velletis manutenere, ego quidem et plures | Ianuenssium (l) in quibus oporteret vobis subveniremus. De me vero estote securus, quia cu|pio in vestro honore et amore semper esse, et de meis rebus libentissime cum persone | labore pro vobis expendere opto (l).
(a) Wache catanso.
(b) Wache incliti.
(c) -e nell'interlinea su altra lettera, forse a, cui sembra seguire una m, probabilmente cancellata in parte mediante lavaggio; Wache pensava di dover integrare et dopo comitisse.
(d) Wache integrava di(lectabilis) e ometteva salutem.
(e) Wache ei.
(f) Così integrava Wache.
(g) Wache H(ugo) dum.
(h) Il segno abbreviativo di -er è in A illeggibile.
(i) Così A.
(j) Così A, Wache; Sormani, Della Croce, Simonsfeld nec.
(k) Wache ometteva curo.
(l) Così A.
(1) Questo lavoro era già in avanzato corso di stampa, quando per una pura combinazione mi capitò sotto gli occhi lo studio di H. Simonsfeld (Urkunden Friedrich Rotbarts in Italien), ignoto anche al Wache, dove questo stesso documento è pubblicato dalla copia del Sormani. Il Simonsfeld arriva, su basi diverse, a conclusioni simili alle mie, pur non affrontando con esplicito impegno il problema della datazione. Un errore mi sembra tuttavia di dover rilevare nel saggio dello studioso tedesco: l'identificazione di I. catanius con un Visconti.
Edizione a cura di
Annamaria Ambrosioni
Codifica a cura di
Gianmarco Cossandi