Introduzione
Tra i molti tesori che la basilica di S. Vittore custodisce, uno dei più preziosi è il suo archivio, comprendente vari fondi assai interessanti, tra cui spicca per antichità e bellezza la serie delle pergamene. Esse, un migliaio circa dalla fine del IX al XVIII secolo, appartengono nella quasi totalità all’archivio del Capitolo della medesima, tuttora conservato in loco, ad eccezione di parte del materiale cartaceo versato nel Fondo di Religione in epoca napoleonica e tuttora presente nell’Archivio di Stato di Milano [1].
L’archivio del Capitolo, originariamente molto ricco, subì nei secoli, oltre a perdite di alcune unità dovute a fatti contingenti, vari depauperamenti dei quali forse il più grave fu quello a cui fa cenno uno scritto dello storico settecentesco Nicolò Sormani, e che si è potuto documentare attraverso lo spoglio delle carte d’archivio. Agli inizi del Seicento infatti una vertenza sorta tra il preposito e i canonici di S. Vittore da un lato ed alcuni curati della pieve dall’altro per questioni di decime, dopo essere stata discussa a Milano, si spostò a Roma, dove la Sacra Rota nel 1609 accolse in prima istanza la tesi dei curati, ma successivamente diede ragione al Capitolo. Nelle varie fasi dibattimentali molti documenti dell’archivio furono portati a sostegno delle ragioni dei canonici. Essi venivano presentati o in copia autentica, riuniti in volumetti detti ’sommarioli’ [2], o in originale. Sugli originali ci fu anzi da parte dei curati chi sostenne che si trattasse talvolta di falsificazioni, accusa da cui i canonici si difesero ottenendo dalla Sacra Rota la conferma della autenticità degli atti prodotti [3]. La causa si protrasse ancora a lungo con ricorso alla Segnatura di Giustizia e probabilmente con ulteriore produzione di documentazione tratta dall’archivio.
Di qui la dispersione che il Sormani lamenta ed il disordine, al quale ultimo tentarono di porre rimedio i canonici Comolli, due fratelli che, dopo aver compilato per ogni atto un breve regesto su fogli cartacei in cui imbustarono una ad una le pergamene, nel 1723 raccolsero tali dati in un sommario ancor oggi di fondamentale importanza per gli studiosi, perché è il più antico ed unico tentativo di descrizione analitica del fondo. Di esso rimangono due copie, una attualmente nella Biblioteca Civica di Varese [4], e una seconda, che si può ritenere derivata dalla precedente, che si conserva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano [5]. I regesti degli atti vi si trovano raggruppati per secoli, ma all’interno di ogni suddivisione cronologica sono esposti senza alcun ordine, e in genere è dato maggior risalto ai documenti direttamente concernenti il Capitolo [6].
Nel 1798, con la soppressione dello stesso, l’archivio fu smembrato tra archivio prepositurale e della fabbriceria, con presumibile ulteriore dispersione di carte [7]. Nel corso del sec. XIX e nei primi decenni del XX poi nuovi rimaneggiamenti confusero i vari archivi.
Nel 1948 le pergamene del Capitolo, in cui erano confluite anche alcune poche unità dell’archivio della fabbriceria, furono suddivise ad opera di Msg. Lanella in dodici cartelle, all’interno delle quali, ad eccezione delle ultime due in cui furono raccolti documenti di vari secoli, gli atti furono disposti cronologicamente. Questa suddivisione è descritta in un inventario curato dallo stesso Lanella, il quale di ogni documento riportò la cartella, che tuttora lo contiene, il numero d’ordine all’interno della stessa, e riprodusse i regesti dei Comolli così come essi li avevano scritti sulle ‘camicie’ degli atti. Di alcuni poi che ai predetti fratelli erano sfuggiti o che forse in parte provenivano dall’archivio della fabbriceria, fece egli stesso un breve regesto [8].
L’ordinamento archivistico del Lanella, ripristinato da G. Scarazzini attorno al 1970 in fase di riordino dell’archivio, che nel frattempo era stato nuovamente scompaginato [9], è quello a cui faccio riferimento nella presente edizione.
Il Sormani, che vide l’archivio del Capitolo mentre forse i Comolli erano intenti alla loro opera, dovette rimanere impressionato dall’importanza degli atti conservativi e prese spunto da essi per scrivere una storia di Varese rimasta inedita e il cui manoscritto è conservato all’Ambrosiana, e in essa inserì molti dei nostri atti [10]. Contemporaneamente, ritengo, egli si dedicava alla trascrizione di una ben più vasta e nutrita serie di atti riguardanti il territorio milanese che riunì nell’opera Diplomatica Mediolanensis, pure essa inedita e conservata all’Ambrosiana, in cui di nuovo riprodusse alcune pergamene di S. Vittore [11].
Del lavoro del Sormani si giovò il Giulini [12], il quale, pur lasciando intendere di aver visto gli originali, si basava sulle copie dello studioso suo contemporaneo, così come ad esso attingeva, dichiarandolo però sempre, il Della Croce [13]. Soprattutto attraverso l’opera del Giulini gli atti più significativi della parte più antica dell’archivio conobbero vasta fama.
Nel secolo scorso editò varie pergamene dell’archivio di S. Vittore L. Borri, che del Capitolo pubblicò gli Statuti del 1373 e del 1410 [14] corredati da ampie ed approfondite note storiche; al suo indubbio valore di storico non corrisponde però una pari preparazione diplomatica.
Nel nostro secolo infine G. Vittani, C. Manaresi e C. Santoro fecero conoscere attraverso la loro notissima opera Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI [15] le pergamene riguardanti quel periodo conservate presso la basilica varesina, che sono state riproposte in questo lavoro, dato che il criterio cronologico indipendente dai fondi di provenienza seguito da quegli studiosi per la pubblicazione, rendendo difficoltoso il reperimento degli atti nei quattro volumi dell’opera, non facilita una visione globale e continua dei nostri documenti.
Da uno spoglio completo degli Atti privati nessun atto della basilica relativo al secolo XI risultava conservato in Archivio di Stato di Milano. Una successiva, e purtroppo tardiva, ricerca ha però evidenziato che due pergamene pubblicate in quella serie e successivamente riedite dal Manaresi nel Regesto di Santa Maria di Monte Velate [16] come appartenenti a quella chiesa, sono in effetti pertinenti all’archivio di San Vittore, come pure risulta far parte del nostro archivio un terzo atto edito nella medesima serie come proveniente dal monastero di S. Salvatore di Pavia.
I regesti di questi documenti sono stati pubblicati in Appendice insieme ai regesti delle copie seicentesche di atti di S. Vittore ritrovate a Roma nell’Archivio Segreto Vaticano [17] e a quello di un documento edito dal Borri come appartenente al Capitolo, di cui non c’è traccia negli archivi né nell’opera dei Comolli.
Ho inserito nella raccolta sotto forma di regesti tre documenti del 1017, 1165 e 1197, i cui originali sono conservati nell’archivio di S. Maria del Monte, dei quali nell’archivio di S. Vittore figurano copie molto tarde, redatte, credo, a scopo meramente storico-culturale, senza alcuna reale connessione con il fondo.
Nel caso, poi, di atti della basilica migrati altrove per varie ragioni, essendo privi i documenti di segnature archivistiche e quindi non essendo possibile verificare in questo modo la provenienza delle pergamene, ho inserito nell’edizione originali e copie dispersi che ho appurato essere appartenuti all’archivio attraverso lo spoglio dell’opera dei Comolli [18]. Questa edizione, cui si spera di dare presto un seguito, si ferma al 1202, anno in cui viene per l’ultima volta citato nei nostri documenti il preposito Ugone [19].
Tra gli atti editi sono degni di una particolare menzione la confìrmationis pagina di Alessandro III (n. 89), giuntaci in copia autentica, e il bell’originale del pontefice Celestino III (n. 139).
Alcuni atti hanno per protagonisti gli arcivescovi di Milano: tra essi meritano qualche parola in più il testamento di Ariberto del 1036 (n. 5) e la constitutionis pagina di Galdino (n. 81). Nel primo, nonostante la personalità del testatore, il rogatario non credette necessario usare alcuna formula di particolare solennità e confezionò un atto che non si discosta dai contemporanei documenti consimili.
Il secondo, che in base a considerazioni di carattere storico desumibili dal suo contesto ho attribuito agli anni 1167-1168, è certamente veritiero per contenuto: basterebbe, ad ulteriore riprova, il fatto che esso è citato a distanza di pochissimi anni nei documenti pontifici sopra ricordati, ma crea alcuni problemi dal punto di vista diplomatico. La data, come dicevamo, manca; le sottoscrizioni non sono autografe, ma tutte della stessa mano che non si cura di modificare la scrittura o, in alcuni casi, cerca di farlo maldestramente. Da due fori ravvicinati distanti circa un cm. dal margine inferiore dell’atto passa un cordoncino di pergamena attorcigliata.
La scrittura, una minuscola di transizione con influssi cancellereschi, è posata e calligrafica.
La mancanza di data non appare cosa eccezionale e forse ricalca una prassi adottata dalla cancelleria pontificia per le litterae, che dapprima ne sono prive del tutto, poi non precisano l’anno; esiste inoltre almeno un’altra constitutionis pagina di Galdino che omette, insieme alle sottoscrizioni, questo importante elemento [20].
Uno spoglio per forza di cose incompleto ma abbastanza vasto di atti arcivescovili milanesi del secolo XII non ha confermato invece né l’uso di sottoscrizioni non autografe, né l’impiego di cordoncini di pergamena come attacco di sigilli pendenti, e senza alcun riscontro di questo genere sembra azzardato considerare questo documento un originale. Per di più riesce difficile pensare che proprio Galdino, che fu a suo tempo cancelliere arcivescovile [21], fosse così poco attento a queste formalità emanando i propri documenti, seppure in anni tanto difficili per la città e la curia milanese.
Ma escludere un’ipotesi significa proporne altre, cosa in questo caso difficile, poiché una falsificazione puramente diplomatistica, pur essendo plausibile, si scontra con l’evidenza di sottoscrizioni marcatamente contraffatte, che da sole denuncerebbero una finzione accuratamente, fino a quel punto, costruita; anche l’ipotesi di una copia semplice ed imitativa, redatta probabilmente in ambiente ecclesiastico, qui proposta, lascia dei dubbi soprattutto circa lo scopo di una simile redazione, e andrà forse riconsiderata alla luce di altri contributi.
Tra gli atti privati si devono segnalare una notula della fine del sec. XI (n. 24), una permuta di cui sono rimasti i due originali (n. 94), e un instrumentum di vendita imbreviato da un giudice e più tardi estratto in pubblica forma, previo consenso consolare, da un altro giudice (n. 127). Benché in generale gli atti si adeguino all’evoluzione del documento privato lombardo sia per quanto riguarda il tipo di formulario usato sia per la progressiva inserzione di brevia contenenti pattuizioni speciali dapprima dopo la completio, poi tra questa e i signa manuum, infine nel testo, il passaggio da carta ad instrumentum dal punto di vista formale appare nel suo complesso lento e faticoso e ciò si nota soprattutto nell’escatocollo: nonostante già nel 1158 si trovi la formula dell’interfuerunt testes usata da sola (n. 74), tuttavia la tipologia della carta viene riproposta per tutto l’arco del secolo, pur mancando talvolta il signum dell’autore (nn. 92, 110), o venendo meno in esso e in quello riservato ai testi l’uso delle tradizionali croci (nn. 106, 140), oppure presentandosi queste ultime molto frequentemente in numero non corrispondente alle persone cui si riferiscono, o infine trovandosi spesso usati insieme il signum manus per l’autore e l’interfuerunt per i testimoni.
Notevole in questo senso è il caso del giudice Bernardus de Varisio, che dimostra tale incertezza tra le due forme da ricorrere prima all’una (n. 100), poi alla seconda (n. 114), infine contemporaneamente ad entrambe (n. 130).
Soprattutto dai documenti 140, 142 si evince quanto sia ormai lontana dal suo significato originario la formula dei signa manuum, che due differenti notai usano in modo del tutto generico per ricordare autori, fideiussori, estimatori.
Anche la data si uniforma alle consuetudini milanesi: l’anno di regno o di impero si trova usato sino alla metà del sec. XI, viene poi ben presto sostituito con quello computato secondo l’era cristiana e lo stile della natività [22] espresso, come di consueto, con la formula ‘anno dominice incarnacionis’.
Il giorno del mese si trova in alcuni atti della prima metà (nn. 6, 7, 8, 9), una volta sola nel prosieguo (n. 13) del sec. XI, ricompare due volte nella prima metà del successivo (nn. 55, 65), per divenire man mano più frequente e poi costante alla fine del periodo preso in esame. Il giorno del mese può essere espresso indifferentemente secondo l’uso moderno, con la consuetudo bononiensis o con il computo classico anche da parte dello stesso rogatario [23]. Il giorno della settimana negli atti privati compare con una certa frequenza solo verso la fine del sec. XII.
L’indizione usata è la greca.
I rogatari delle carte sono nel sec. XI e nei primi quarant’anni del successivo in prevalenza notai del sacro palazzo, poi più frequentemente giudici o notai e giudici. Usano dapprima il solo nome, poi ad esso aggiungono il cognome che quasi sempre li identifica con la località di provenienza, come Petrus qui dicitur de Bimmio (nn. 62, 80) o Melior de Aplano (nn. 82, 84). I giudici Ubertus e Maleguardatus omettono il segno di tabellionato davanti alla completio (nn. 72, 73 e nn. 74, 95), ma è da notarsi che il secondo, nel sottoscrivere un breve de sententia (n. 85), si adegua alla prassi generale.
Tantissimi sono ancora gli spunti che dal punto di vista diplomatico ed ancor più storico questi atti offrono agli studiosi di molte discipline, ai quali spero questo lavoro torni utile.
Note
[1] Cf. ASMi, FR, cart. 3829, 3830, 3831, 3832, 3833, 3834, 3835, 3836, 3837, 3838, 3839; Amministrazione del FR, cart. 479.
[2] Cf. ASMi, FR, cart. 3832, copia di un sommario presentato a Roma nel 1610, che contiene regesti e atti anche del sec. XII; in Roma, Archivio Segreto Vaticano, Sacra Romana Rota, Iura diversa, 24, il fascicolo che riporta, accanto a documenti dei secoli XIII e XIV, copie di atti del sec. XII, o un terzo pure in Archivio Segreto Vaticano, Sacra Romana Rota, Processus actorum, 56, prodotto in prima istanza a Milano e giunto poi a Roma probabilmente con gli altri incartamenti relativi al processo, contenente copie di atti dei secoli XIII e XIV.
[3] Cf. ASMi, FR, cart. 3832.
[4] L. e P. F. COMOLLI, Compendium cuiuscumque instrumenti, documenti, carthae vel scripturae positarum in Archivio Capituli Sancti Victoris, BCVa, MS 6.
[5] L. e P. F. COMOLLI, Compendium cuiuscumque instrumenti, documenti, carthae vel scripturae positarum in Archivio Capituli Sancti Victoris, BAMi, L 96 suss.
[6] A commento di alcuni atti si trovano annotazioni del tipo: Nulla fit mentio de Capitulo; di questo manoscritto si giovò G. Garancini per stendere il profilo storico di Varese medioevale nell’opera di AA. VV., Varese: vicende e protagonisti. Poiché egli praticamente cita tutti gli atti regestati dai canonici, nell’edizione ho segnalato solo quelli che riproduce integralmente, anche se da precedenti edizioni.
[7] V. la chiara descrizione dell’archivio in G. SCARAZZINI, Le pergamene di S. Vittore in Varese dal 1101 al 1150. Regesti, pp. 17-18. Sull’archivio v. pure E. MAGNAGHI, Archivio della basilica di S. Vittore a Varese.
[8] Ad eccezione delle pagine 9, 10, i fogli dell’inventario sono numerati ‘a fronte’, così che, a registro aperto, presentano lo stesso numero a destra e a sinistra; nell’edizione ho indicato ad es. con f. 6a in verso del foglio di sinistra, con f. 6b il recto del successivo.
[9] V. nota n. 7.
[10] N. SORMANI, Varese e dintorni, BAMi, H 64 suss.
[11] N. SORMANI, Diplomata, anecdota, analecta ad historiam Mediolanensem sive Diplomatica Mediolanensis ex anecdotis ferme collecta ab urbe condita usque ad annum Christi post mortem MDC, BAMi, H 99-103 suss.
[12] G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi.
[13] G. C. DELLA CROCE, Codex Diplomaticus Mediolanensis ab anno 658 ad annum 1408, BAMi, I 1-23 suss.
[14] L. BORRI, Statuti ed ordinamenti dell’antichissimo capitolo della insigne basilica di San Vittore in Varese.
[15] Gli atti privati milanesi e comaschi del sec. XI, vol. I a cura di G. VITTANI e C. MANARESI; vol. II a cura di C. MANARESI e C. SANTORO; vol. III a cura di C. MANARESI e C. SANTORO; vol. IV a cura di C. SANTORO.
[16] C. MANARESI, Regesto di Santa Maria di Monte Velate sino all’anno 1200.
[17] Cf. nota n. 2.
[18] Devono essere qui menzionate anche altre pergamene in archivi diversi dal nostro e che non risultano appartenergli, ma sono interessanti per la sua storia: una carta vendicionis del marzo 1114 e una donatio et ordinatio del 14 agosto 1193 in ASMi, FR, cart. 6170; una sentenza dell’arcivescovo Algisio in data 12 luglio 1180 in Archivio delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza di Milano, Archivio Storico, Fondo Diplomatico, cart. 22, n. 1; una ‘conventio’ tra il Capitolo di S. Vittore e Alberto ‘de Bregnano’ per la fondazione dell’ospedale del Nifontano del 15 maggio 1173, andata distrutta una quindicina d’anni fa nell’incendio dell’ospedale di circolo di Varese, ma edita dal Borri, op. cit., p. 135.
[19] Non ho edito l’atto n. 100 della cart. I dell’archivio della basilica perché esso non risale al 1201 come crede anche il Borri, op. cit., p. 124, nota a, ma alla seconda metà del secolo XIII.
[20] Cf. G. VITTANI, Diplomatica, p. 110, e ASMi, FR, Pergg., cart. 74.
[21] Cf. più oltre l’atto n. 58, e fra i numerosi originali, per es. il documento in ASMi, FR, Pergg., cart. 468, n. 5, edito in Le pergamene del secolo XII della chiesa di S. Maria in Valle di Milano a cura di M. F. BARONI, p. 4.
[22] Cf. C. SANTORO, Dell’indizione e dell’era volgare nei documenti privati medioevali della Lombardia.
[23] Cf. ancora Bernardus de Varisio che nel documento 103 usa la consuetudo bononiensis, nei 129 e 132 il computo classico, nel 131 quello moderno.