Introduzione
Il fondo archivistico della chiesa di S. Stefano di Vimercate è certamente uno dei più notevoli per antichità e consistenza fra quelli conservati nell’Archivio di Stato di Milano ed appartenenti ad un’istituzione ecclesiastica del contado milanese. Il suo pezzo più antico, sia pure conservatoci in copia, risale infatti alla metà dell’VIII secolo ed è noto già da tempo [1]. Grazie all’edizione degli Atti privati milanesi e comaschi del secolo XI si è incrementata con una trentina di atti la conoscenza dell’archivio vimercatese portandolo fino all’anno 1100 [2].
Per il secolo dodicesimo gli atti che qui si pubblicano sono centoventi; sono tutti atti privati e la stragrande maggioranza di essi è costituita da originali. Fanno eccezione: tre copie autentiche del secolo XIII [3], una imbreviatura [4], due ‘scritture memoratorie’ – ossia un elenco dei possedimenti della chiesa di S. Stefano nei territori di Caponago e Cavenago [5] ed un altro elenco che riporta il quantitativo di olio (o il suo corrispettivo in denaro) dovuto alla chiesa da diversi affittuari [6] –; infine otto documenti giuntici in copia settecentesca, e con omissis, tratti dal Codex Diplomaticus Mediolanensis di Giulio Cesare Della Croce. Questi ultimi atti vengono inseriti nella edizione del fondo pergamenaceo vimercatese (dal quale il Della Croce scrive che erano tratti), nonostante di fatto le pergamene non siano ora più rintracciabili, secondo l’uso invalso in questa collana che risponde alla volontà di pubblicare tutti gli atti presumibilmente presenti nell’archivio dell’ente al momento del suo versamento all’Archivio Generale del Fondo di Religione [7].
Quantunque siano nella quasi totalità inediti, gli atti vimercatesi del secolo XII sono in parte già noti a coloro che si sono occupati in epoca passata o recente delle vicende relative alla storia di Vimercate nel medioevo e alla storia del contado milanese in senso lato: sulla scorta di alcuni di questi atti sono stati condotti infatti studi di storia sociale, economica, religiosa e si è anche potuto ricostruire in parte la situazione urbanistica del locus, poi burgus di Vimercate: di una parte di questi studi do notizia in Bibliografia. Tuttavia ancora molti aspetti della storia del borgo e della sua chiesa, che fu a capo di una delle circoscrizioni pievane più antiche e al tempo stesso più compatte e longeve nel tempo, attendono di essere approfonditi: per fare solo qualche esempio, i motivi di questa longevità e compattezza della circoscrizione pievana ‘gestita’ dal clero vimercatese, nonostante il manifestarsi abbastanza precoce di tendenze autonomistiche in un territorio che sappiamo di antico e tradizionale insediamento e nonostante il sorgere di altre istituzioni religiose che vediamo già attestate nelle carte che qui si pubblicano. E poi sono ancora da ricostruire i legami che questa chiesa, dotata di un consistente capitolo canonicale, mantenne con le istituzioni milanesi sia ecclesiastiche sia laiche; ed ancora le capacità di gestione amministrativa, oltreché di guida spirituale – è cosa per altro nota che non è questa la documentazione che più ci possa fornire notizie a tale riguardo – di un clero abbastanza vivace, sicuramente presente ed attivo almeno nel secolo XII, e non alieno da interessi di tipo culturale [8]; e poi ancora il ruolo sostenuto dalla famiglia dei Capitanei de Vicomercato, precocemente inurbatisi, ma comunque presenti ancora sul territorio in taluni loro rami; per non parlare delle vicende legate alla storia del paesaggio agrario e delle sue trasformazioni operate a partire dal pieno Millecento.
Tra i circa trenta estensori degli atti che compaiono in questo volume ci sono notai – e giudici – [9] che rogano a Milano, ed alcuni sono anche personaggi di rilievo nel mondo giuridico milanese. Fra i nomi più noti ci sono quelli di Lanfrancus Bandus notarius sacri palatii [10], del giudice Laurentius de Concorezo [11] e dei suoi familiari Andriottus sacri palatii notarius [12] e Lanfrancus notarius Henrici imperatoris [13]. Altri, presenti nel cartario di S. Stefano come autori di un solo documento, risultano attivi in diverse parti del contado [14]. Il ‘grosso’ della documentazione di S. Stefano si deve tuttavia a notai e giudici che vivono e lavorano nel Vimercatese, quantunque non dichiarino esplicitamente la loro origine, se non a partire dagli ultimi anni del secolo, come è per altro consuetudine un po’ di tutto il territorio lombardo. Su di loro vorrei fare alcune brevi considerazioni.
Questi professionisti prestano la loro opera a privati, a qualche ente religioso locale e alla canonica, che di norma predilige servirsi a lungo della stessa persona, nella quale ripone fiducia. Rogano per lo più a Vimercate, ma si spostano, quando è loro richiesto, dal centro principale ai luoghi vicini, raramente tuttavia recandosi molto lontano. Dei più fra questi notai che chiamerei di ambito vimercatese sono rimaste poche carte a testimoniare della loro attività; di altri e della loro carriera è possibile conoscere qualcosa.
Dalfinus notarius sacri palatii compare nell’archivio di S. Stefano a partire dal 1114 [15] come autore di alcuni atti che documentano transazioni fra abitanti della località di Passirano, nel territorio facente capo a Vimercate; quindi dal dicembre 1133 [16] lo stesso personaggio, che si sottoscrive ora con le qualifiche di iudex e di notarius et iudex [17] ed un nome più articolato, quello di Iohannes qui dicor Dalfinus, entra in diretto contatto anche con un altro tipo di clientela, quella ecclesiastica, dei chierici delle chiese vimercatesi di S. Damiano e di S. Pietro ad Centilianum. Continua comunque a lavorare soprattutto per privati finché nel 1142, nello stesso mese di marzo, roga due atti di donazione pro anima fatti in favore della chiesa di S. Stefano e una investitura a livello dietro richiesta del preposito della chiesa pievana di S. Stefano [18]: riesce in quest’ultima occasione ad ‘intaccare’ il monopolio esercitato negli anni 1130-1140 come notaio di fiducia della chiesa da Petrus notarius sacri palatii [19]. Nelle due donazioni Iohannes … Dalphinus aggiunge la qualifica di missus domini Chunradi regis a quella di iudex. Siamo a mio modo di vedere di fronte ad una carriera in ascesa, sia pure effettuata in un ambito territoriale limitato e che non possiamo seguire oltre il settembre 1143, data dell’ultima attestazione di questo rogatario nel fondo archivistico: una carriera di una trentina di anni almeno, scandita dall’acquisizione di diverse competenze di carattere giuridico (che lo portano a qualificarsi come iudex, abbandonando nella sottoscrizione la qualifica di notarius sacri palatii) e da un lento ma visibile allargarsi della clientela in origine decisamente ristretta.
Manescottus de Calo (de Callo, de Caloe), operante nella seconda metà del XII secolo, compare per la prima volta senza alcuna qualifica come estensore delle ultime volontà dettate da un fedele: è l’anno 1157 [20], e bisogna attendere il 1180 (e forse l’acquisizione di nuove competenze) perché il suo nome ricompaia nella sottoscrizione di un atto: si tratta questa volta di una compravendita e Manescottus la roga in qualità di notaio [21]. A metà dei successivi anni Novanta egli aggiunge l’indicazione sacri palatii alla sua qualifica notarile, e nello stesso torno di tempo assume – in un atto di vendita – la carica di rappresentante dei vicini del quartiere che fa capo alla porta di Borgo ed aggiunge l’indicazione de burgo Vicomercato alla sua sottoscrizione [22]. Anche la carriera di Manescottus è decisamente molto lunga, dal momento che risulta ancora operante nei primi anni del secolo XIII [23].
Da ultimo vorrei segnalare un nome che ricorre nelle carte qui edite una quarantina di volte, e sempre ad indicare un autore di atti: ad un Covadus si deve infatti circa un terzo della nostra documentazione. Il nome, piuttosto inconsueto, molti tratti caratteristici della scrittura (come la legatura e la fattura di certe lettere) e in particolare della sottoscrizione, pur con qualche variante imputabile al passare degli anni, l’uso assai frequente di apporre brevi note sul dorso della pergamena, il ricorrere dello stesso signum – per altro uno dei più frequentemente usati nel Milanese in quest’epoca [24] – mi hanno fatto pensare che si tratti della stessa persona che, sia pure con qualifiche diverse, roga dagli anni Cinquanta almeno del XII secolo e fino al settembre 1208 [25]: una longevità professionale, ma anche in senso assoluto fuori del comune (ma già riscontrata anche nel Manescottus di cui già si è detto). Covadus notarius sacri palatii (e quindi con una qualifica professionale già acquisita, contrariamente forse a quello che si può pensare di Manescottus al suo primo apparire nella documentazione vimercatese) compare per la prima volta in questo fondo archivistico in una carta dell’ottobre 1152 [26]. Da questa data e per oltre un decennio, fino al 29 settembre 1163 [27], roga una dozzina di atti, richiesto della sua opera sia da privati sia dalla chiesa di S. Stefano. Trascorrono poi alcuni anni di silenzio, – ma è la documentazione vimercatese che si fa scarsa intorno alla metà degli anni Sessanta, che corrispondono, come è noto, ad uno dei periodi più critici nella storia politica del Milanese del secolo XII – e Covadus ricompare, sempre come autore di un documento ma con la qualifica di iudex, in un atto privato del 28 dicembre 1168 (giuntoci in sola copia settecentesca) e subito dopo la sottoscrizione dell’arcivescovo di Milano Galdino [28]. Dal marzo 1170 in poi Covadus iudex roga altri venticinque atti fino alla fine del secolo, stesi per lo più a Vimercate ma anche in centri più o meno vicini (Caponago, Ornago, Oldaniga e fino a Paullo). A partite dal 10 febbraio 1193 [29] Covadus aggiunge alla qualifica di iudex la specificazione Vicomercati o de Vicomercato, con la quale compare ancora nelle carte del primo decennio del secolo XIII [30]. Una carriera dunque simile per alcuni versi alle altre che ho precedentemente riassunto, anche se tocca forse punte più alte nel momento in cui Covadus si trova ad operare in presenza dell’arcivescovo, è chiamato a mettere la sua esperienza professionale al servizio dei colleghi cittadini quando vanno ad operare transazioni nel Vimercatese [31], assiste in qualità di missus domini Friderici imperatoris una vedova in un atto di vendita [32], dà prova di una maggiore mobilità professionale e di una buona produttività documentaria, per quello che possiamo dire in base a quanto di suo ci è rimasto, anche rispetto ai suoi pur longevi colleghi.
Mi sono soffermata su questi personaggi perché mi sembra che le loro vicende suggeriscano qualche ulteriore considerazione. Mentre mi pare ormai assodato che in molti casi la qualifica di notarius, notarius sacri palatii, missus domini regis, iudex sia usata indifferentemente dai sottoscrittori nel corso del XII secolo, come suggeriscono gli studi di Maria Franca Baroni e Cecilia Piacitelli [33], i tre esempi vimercatesi surriportati sembrerebbero, ma il condizionale in questi casi è d’obbligo, far pensare che ci si trovi di fronte ad una evoluzione degli elementi della sottoscrizione in più diretta relazione con l’aumento delle responsabilità, degli impegni o comunque dell’esperienza dei professionisti, che si riflette sulla quantità e sulla qualità della clientela: in altre parole un’evoluzione delle qualifiche in rapporto ad una sorta di cursus honorum, di vera e propria carriera compiuta in ambito giuridico. E ciò ripropone per questo ambito territoriale uno schema che si avvicina alla linea interpretativa formulata a suo tempo da Alberto Liva nel suo studio sul notariato milanese [34] e riconosciuta anche, almeno per qualche circostanza, da Ezio Barbieri per l’ambito pavese [35].
Per quanto concerne il livello culturale di questi notai, essi risultano alquanto scorretti dal punto di vista linguistico, specialmente nei primi decenni del secolo, e ciò vale anche per qualcuno dei personaggi di un certo spicco destinati ad una buona carriera, come per esempio il già citato Iohannes … Dalfinus; poi la situazione tende a migliorare, secondo un andamento che si riscontra un po’ dovunque in tutta l’Italia centro settentrionale.
*****
L’attuale collocazione di questi documenti è nelle cartelle 610, 611, 612, 613 del fondo Pergamene per fondi dell’Archivio Diplomatico secondo una numerazione progressiva data probabilmente nel corso del sec. XVIII da un archivista della chiesa di S. Stefano, in epoca antecedente alla soppressione della pieve (1798) ed al versamento della sua documentazione nell’Archivio di Stato [36]; presumibilmente alla mano di questo archivista si devono anche il ‘grosso’ dei regesti ed alcune fra le numerose annotazioni, specie quelle relative ad indicazioni di luoghi, presenti sul verso delle pergamene. Difficile è tentare di ricostruire l’ordinamento archivistico originale, che non è cronologico (nelle stesse cartelle sono infatti presenti atti dei secoli XIII, XIV, XV, XVI e XVII purché redatti su supporto pergamenaceo); non è, se non approssimativamente, ‘per materia’, né per tipo di negozio; segue piuttosto, ma solo a grandi linee, un orientamento topografico, che raggruppa cioè gli atti tenendo conto della località alla quale si riferiscono [37]. Mi sembra probabile che tutti i criteri suaccennati e forse altri ancora entrassero nel metodo di classificazione ideato dall’archivista che ancora aveva a che fare con un archivio ‘vivo’ e che provvide a sistemarlo secondo le sue esigenze e i dettami della pratica archivistica del tempo: di questi tentativi di riordino dà notizie Eugenio Cazzani nella sua Storia di Vimercate [38].
Note
[1] Si tratta di una copia autentica del sec. XIII di un atto datato aprile 745. Cfr. A. R. NATALE, Il Museo diplomatico dell’Archivio di Stato di Milano, I, 1970, n. 13, che riporta anche tutte le precedenti edizioni, a cominciare da quella di metà Ottocento curata da G. Dozio in Notizie di Vimercate.
[2] Agli editori degli Atti privati era sfuggita la presenza dell’originale di una carta datata Milano settembre 1100 che pubblicarono comunque (vol. IV, n. 895, pp. 634-635) sulla base dalla copia ecceterata tratta a fine XVIII secolo dall’erudito G. C. Della Croce per il suo Codex Diplomaticus Mediolanensis. L’originale è stato ora rinvenuto nella cartella 610 del fondo Pergamene dell’Archivio Diplomatico e riporta il n. 100 della numerazione antica, quella cioè apposta dall’archivista della chiesa vimercatese in epoca sicuramente antecedente al deposito nel fondo di quello che sarebbe diventato l’Archivio di Stato di Milano. Si tratta di una donazione “pro anima“ fatta alla chiesa milanese di S. Stefano a Nuciculam (in Nosiggia) fatta da un abitante della città in procinto di partire per Gerusalemme: in cambio di un usufrutto per la madre e la moglie e della consegna di donacivi ai poveri egli dona certi suoi beni situaci a Caponago e a Paullo (così penso debba identificarsi infatti il ‘locus et fundus Paule’ chiaramente leggibile nell’originale).
[3] Cfr. 85 del 5 novembre 1178, 87 del 9 settembre 1179, 109 del 15 maggio 1194.
[4] Cfr. 77 del 1173.
[5] Cfr. 120.
[6] Cfr. 119.
[7] Gli originali pergamenacei di sei (8, 58, 59, 70, 89, 113) di questi otto documenti erano probabilmente andati dispersi nel corso degli smembramenti archivistici effettuati nella prima metà dell’Ottocento: non risultano infatti regestati nel Catalogo delle Pergamene del secolo XII, composto intorno agli anni Cinquanta del XIX secolo dall’archivista Luigi Ferrario, al quale sfuggirono anche pochi altri atti, pure ora presenti in originale, forse perché ricollocati nel fondo vimercatese a seguito dei riordini avvenuti successivamente; altri due invece, presenti in regesto nel Catalogo e visti in tempi recenti nelle cartelle del fondo Pergamene dell’Archivio Diplomatico, risultano oggi (dicembre 2000) mancanti: si tratta degli atti 46 e 66, rispettivamente del giugno 1151 e del 15 settembre 1163.
[8] Segnalo a questo proposito l’atto 32 del 14 dicembre 1140 dal quale risulta la volontà di un chierico vimercatese di disporre la fattura di una copia dei Moralia in Job, di Gregorio Magno, uno dei libri più noti del medioevo occidentale.
[9] Sulla fitta presenza di rogatari che si qualificano come iudices, specie in ambito milanese, e sulle motivazioni di tale presenza, è tornato di recente – ma la questione è ricca di bibliografia – G. G. FISSORE, Origine e formazione del documento comunale a Milano in «Atti dell’11° Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo. Milano 26-30 ottobre 1987», Spoleto 1989, vol. II, pp. 551-588; ricordo tuttavia che la situazione interessa anche gli atti di natura privata, come già era stato notato da M. F. BARONI, Il notaio milanese e lo redazione del documento comunale fra il 1150 e il 1250, in Felix olim Lombardia. Studi di storia padana dedicati dagli allievi a Giuseppe Marlini, Milano 1978, pp. 5-26, in particolare p. 7.
[10] Atti rogati da Lanfrancus Bandus negli anni Settanta e Ottanta del XII secolo si trovano per es. – e con riferimento al solo materiale già pubblicato – nei fondi archivistici delle fondazioni ecclesiastiche milanesi di S. Apollinare, S. Lorenzo, S. Pietro in Gessate, S. Protaso ad monachos, S. Radegonda, tutti editi da diversi curatori nei volumi di questa collana, e nel volume Le pergamene della canonica di S. Ambrogio nel secolo XII. Le prepositure di Alberto di S. Giorgio, Lanterio Castiglioni, Satrapa (1152-1178), a c. di A. Ambrosioni, Milano 1974.
[11] Laurentius de Concorezo è forse il più documentato fra i membri di una famiglia di professionisti del diritto ed il suo nome si incontra in molti atti dei fondi archivistici di S. Apollinare, S. Maria in Valle, S. Pietro in Gessate, S. Valeria, e nel fondo della canonica di S. Ambrogio.
[12] Andriottus da Concorezo roga atti presenti nell’archivio della canonica di S. Ambrogio e in quello del monastero di S. Margherita, pure edito in questa collana.
[13] Lanfrancus da Concorezo appartiene ad una generazione successiva a quella di Laurentius e di Andriottus, dal momento che roga nei primi decenni del Duecento (cfr. Gli Atti del comune di Milano cit., a c. di C. Manaresi e Gli Atti del comune di Milano del sec. XIII cit., a c. di M. F. Baroni), e fece probabilmente parte del seguito di tecnici ed officiali di Guglielmo da Pusterla quando questi si recò a Corno nel 1227 a reggervi l’ufficio di podestà (cfr. C. CAMPICHE, Die Comunalverfassung von Como im 12. und 13 Jahrhundert, Zürich 1929, per la data della podesteria del da Pusterla).
[14] Si tratta di Iohannes iudex de Casa Ferrarii, che roga un atto datato dal borgo di Lecco del 15 febbraio 1172 (74), e di Niger iudex de Vineate cui si deve l’atto del 1173, dato a Paullo (77).
[15] Cfr. atto 10.
[16] Cfr. atto 21.
[17] Cfr. atto 23.
[18] Cfr. rispettivamente atti 33 e 35 (le due donazioni) e 34 (l’investitura).
[19] Petrus notarius sacri palatii è attestato negli atti 18, 19, 20, 22, 24, 26, 30, 32, 41, 45 (negli ultimi due presenzia in qualità di iudex ad atti che vedono come attore la chiesa di S. Stefano, ma sono rogati da altri).
[20] Cfr. atto 47.
[21] Cfr. atto 88.
[22] Cfr. atto 117.
[23] Manescottus risulta attivo almeno fino al 1210: cfr. atto del 21 febbraio 1224 in A.S.M., A D, Pergg., cart. 611, n. 198, edito in R. PERELLI CIPPO, Documenti per la storia cit., pp. 371 55.
[24] Cfr. A. LIVA, Notariato e documento notarile a Milano. Dall’Alto Medioevo alla fine del Settecento, Roma 1979, p. 67 ss.
[25] Covadus iudex de Vicomercato compare come rogatario ancora in una carta del 7 settembre 1208 (cart. 613, n. 613), trascritta in M. MENCAGLIA, La pieve di Vimercate nel primo trentennio del XIII secolo, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1995-1996, relatore prof. L. Chiappa Mauri, pp. 222-223; e in L. FOIS, I canonici della chiesa di S. Stefano di Vimercate nel sec. XIII, tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Milano, anno accademico 1998-1999, relatore prof. G. G. Merlo, pp. 153-154.
[26] Cfr. atto 48.
[27] Cfr. atto 47.
[28] Cfr. atto 49.
[29] Cfr. atto 105.
[30] Cfr. le appendici documentarie ed i relativi indici delle tesi di laurea di M. Mencaglia e L. Fois sopra citate.
[31] Cfr. atto 78.
[32] Cfr. atto 98.
[33] Cfr. M. F. BARONI, Il notaio milanese cit., e C. PIACITELLI, Notariato a Milano nel XII secolo: qualifiche e nomina, in «Atti dell’11° Congresso» cit., pp. 969-980.
[34] Cfr. A. LIVA, Notariato e documento cit., cap. I.
[35] Cfr. E. BARBIERI, Notariato e documento notarile a Pavia (secoli XI-XIV), Firenze 1990, pp. 20 ss.
[36] Fa eccezione a questa regola l’atto 75 del 20 maggio 1173, che si trova inserito in un fascicolo a parte della cart. 613; la pergamena non presenta sul dorso traccia della numerazione riportata su tutte le altre, né il sommario regesto che di norma l’accompagna, presenta invece la dicitura ‘privati’. Non è noto il momento dell’inserimento di questo atto nel fondo archivistico della chiesa di S. Stefano, che precede comunque quello della sua regestazione nel Catalogo delle Pergamene.
[37] Considerazioni in tal senso compaiono già nella citata tesi di laurea di M. MENCAGLIA, La pieve di Vimercate, pp. 194 ss.
[38] Cfr. E. CAZZANI, Storia di Vimercate, cit., pp. 265-272.