giurisdizione di Piuro 1512 - 1797
Stabilendo il loro governo sul contado di Chiavenna, le tre leghe ne riconobbero al contempo il libero ordinamento interno, articolato nelle giurisdizioni di Chiavenna, Piuro e Val San Giacomo, e si limitarono ad inviare ogni biennio propri governatori (commissario a Chiavenna e podestà a Piuro; la Val San Giacomo, in virtù di un rapporto privilegiato, eleggeva da sè il proprio ministrale), che non partecipavano nè convocavano i consigli delle giurisdizioni, svolgendo una funzione di controllo, che si esplicava soprattutto nell’organizzazione della giustizia. Della giurisdzione di Piuro fece sempre parte la terra di Villa, anche quando questa si costituì in comune autonomo nel 1584. Nel 1539, contemporaneamente all’entrata in vigore degli statuti di Chiavenna, approvati ad Ilanz nel mese di gennaio, ebbero vigore gli statuti civili e criminali di Piuro (statuti di Piuro 1539), conformi a quelli di Chiavenna, tranne che nella forma di giuramento del podestà. Gli statuti di Piuro subirono aggiunte fino all’anno 1552 (Bossi 1965).
Era prerogativa del consiglio ordinario segreto del comune di Piuro la nomina dei consoli di giustizia e dell’assessore (oriundi della valle) preposti all’ufficio del podestà della giurisdizione.
Dopo la rovina di Piuro nel 1618, la sede del podestà dal distrutto borgo venne trasferita per qualche tempo in Sant’Abondio di Roncaglia, e quindi nel 1639 in Santa Croce. Il podestà di Piuro, come il commissario di Chiavenna, era tenuto a tenere udienza tre volte la settimana (martedì, giovedì e sabato). Nelle cause civili, al fine di prevenire e impedire gli abusi ed arbitri ai danni degli statuti e della giustizia, la decisione in prima istanza era commessa al consiglio del savio, giusperito scelto su accordo delle parti o scelto in sorte su nominati dalle parti: in ordine al suo consiglio il giudice era poi tenuto a proferire la sua sentenza. Il podestà, in caso di procedure criminali, era tenuto ad emanare ogni sei mesi le condanne e le liberazioni in tutti i delitti in cui si applicava la pena pecuniaria, e queste condanne e liberazioni non potevano essere fatte senza la partecipazione, il consiglio e l’intervento dei consoli di giustizia. A limitare il possibile arbitrio e giudizio di parte, il governo grigione con suo decreto 20 giugno 1599 aveva disposto che nelle giurisdizioni del contado in ogni caso di prigionia, di tortura o di sentenza criminale definitiva, dovesse essere consultato un dottore imparziale, e mettere senza replica in esecuzione il voto di questi. Il capitolato di Milano del 1639 convertì in privilegio garantito tale provvedimento.
Tanto il podestà di Piuro che il commissario di Chiavenna dovevano essere assistiti da un assessore, il quale doveva curare che nel’esame dei testimoni, nei casi di tortura, nelle sentenze, fosse amministrata rettamente la giustizia e fossero inviolabilmente osservati gli statuti di giurisdizione.
Erano i consigli generali di Piuro e della giurisdizione di Chiavenna a nominare tre esperti legali tra le quali l’ufficiale delle tre leghe sceglieva l’assessore. L’autorità di questo funzionario era tale che nessun giudice poteva procedere ad alcuna sentenza o ad altro atto pregiudiziale contro qualsiasi inquisito senza il precedente voto del medesimo, e siccome questo voto era inappellabile e doveva invariabilmente porsi in esecuzione dai giudici, così questi erano legati nell’amministrazione della giustizia ai voti degli assessori (Crollalanza 1867).
ultima modifica: 09/01/2007
[ Saverio Almini ]
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