Valtellina 1512 - 1797
Durante il periodo grigione la Valtellina era suddvisa in cinque giurisdizioni, dette terziere superiore, con capoluogo Tirano; giurisdizione di Teglio; terziere di mezzo, con capoluogo Sondrio; squadra di Morbegno, con capoluogo Morbegno; squadra di Traona, con capoluogo Traona (queste due ultime formanti il terziere inferiore della valle).
Per il governo della Valtellina le tre leghe inviavano ogni due anni sei funzionari (Amleute) o ufficiali: un governatore o capitano generale e un vicario con residenza a Sondrio, e quattro podestà, uno per ciascuna delle giurisdizioni di Tirano, Teglio, Morbegno, Traona. Fino al 1603 tali funzionari vennero eletti dalla dieta federale delle tre leghe, in seguito vennero designati a rotazione secondo un preciso turno dai comuni retici, mediante appalto. Ciascuna giurisdizione manteneva i propri organi di autogoverno, cioè consiglio, cancelliere, consoli di giustizia, agenti e servitori; organo della Valtellina nel suo complesso era il consiglio di valle.
Nel 1531 i valtellinesi stesero un progetto di fusione degli ordinamenti o statuti locali e lo presentarono alla dieta delle tre leghe per l’approvazione con il nome di statuti di Valtellina (statuti di Valtellina 1531), ove erano raccolte le disposizioni in materia civile (in 287 articoli) e criminale (in 109 articoli), con le rispettive norme di procedura. Sull’originale in latino fu compilata la traduzione italiana per ordine e approvazione del governo retico dai dottori Giacomo Cattaneo di Teglio e Giovanni Pietro Quadrio di Ponte (Romegialli 1886; Zoia 1997; Besta 1937).
La Valtellina non pagava alla repubblica delle tre leghe tributi diretti, dopo che, all’epoca di Ludovico il Moro, si era affrancata dal tributo o censo che allora veniva pagato alla camera ducale di Milano con il versamento di 103.212 lire e soldi 12 (ASSo, Notarile, vol. 442, notaio Giovanni Mattia Foppa fu Pietro di Morbegno).
I rapporti instaurati all’indomani dell’occupazione del 1512 tra le comunità retiche delle tre leghe, la Valtellina e i contadi (se basati su un rapporto di dedizione e sudditanza, o su una originaria unione paritaria e confederativa) sono stati oggetto fin dal XVII secolo di controversie, non ancora del tutto risolte.
Già il Lavizzari definì quella dei valtellinesi rispetto ai Grigioni una “sudditanza privilegiata”, formula che si incontra con quella proposta dal Besta, il quale la giudicava un’alleanza differenziata, un “foedus iniquum”; in altre parole, l’alleato debole o meno forte (i valtellinesi) dovevano determinate forme di soggezione all’alleato potente (i Grigioni). Si spiegherebbero così i primi contrasti sorti all’indomani dell’occupazione grigione: gradatamente, già a cominciare dal 1512, e più energicamente dal 1515, le autorità delle tre leghe avrebbero cercato di far decadere o meglio di vanificare l’effettivo esercizio delle prerogative giuridicamente attribuite alla Valtellina.
Bisogna considerare che le leghe erano costrette ad esercitare sui terzieri, e soprattutto sui contadi di Bormio e Chiavenna, una politica ambivalente: da una parte miravano a tenere in pugno le fila politiche ed economiche dei loro “sudditi privilegiati”, ma dall’altra tendevano a non intaccare oltre certi limiti gli antichi privilegi goduti dalla locale aristocrazia, e nemmeno il più potente istituto politico-amministrativo della società valtellinese, cioè le comunità, appoggiate tenacemente agli statuti locali, ai privilegi commerciali, alle concessioni fiscali.
Il secondo punto cruciale in cui si evidenziava necessariamente la natura del rapporto istituzionale con le leghe erano le liti: le opposizioni avanzate dal consiglio di valle erano soprattutto di natura economica, puntavano per lo più su questioni di contributi straordinari e di licenze commerciali, anche se poteva accadere che la questione economica investisse poi relazioni di fondo, necessariamente politiche: ma si trattava, in definitiva, delle stesse opposizioni che i valligiani avevano avuto da secoli con le autorità feudali prima e con il ducato di Milano poi.
Quando, circa un secolo dopo l’inizio del dominio grigione, l’equilibrio si ruppe e ne seguì un periodo di crisi, che si può collocare tra i processi di Thusis del 1618 e il capitolato di Milano del 1639, la rottura fu da attribuirsi fondamentalmente al venir meno dell’instabile equilibrio politico internazionale: non soltanto la Valtellina, ma le stesse tre leghe furono vittime dello scontro tra le grandi potenze.
Una prova decisiva che conferma l’alleanza differenziata tra Grigioni e valtellinesi è data dal fatto che quasi tutti gli alti funzionari rappresentanti delle leghe furono fin dai primi anni grigioni. Questa netta dicotomia non fu solo passivamente accettata dalla Valtellina, ma concordata: da una parte i funzionari grigioni, dall’altra il consiglio di valle; da una parte l’autorità delle tre leghe, dall’altra la libera organizzazione amministrativa ed economica delle comunità. È probabile che le tre leghe intendessero garantirsi, con i loro propri magistrati, la lealtà valligiana, potendo sottoporli a controlli diretti; dall’altra parte nei terzieri i valtellinesi accentuarono la netta distinzione tra le facoltà dei funzionari grigioni e quelle dei consigli di comunità. Questo principio della divisione delle competenze garantiva in primo luogo la chiarezza e la liceità giuridica dei ricorsi, garantiva in secondo luogo l’autonomia e soprattutto l’indipendenza morale (non quella politica) dei “sudditi privilegiati”.
Bormio e Chiavenna conservarono la loro fisionomia giuridica e i loro larghi privilegi giuridici e commerciali confluenti in una relativa autonomia, che era di fatto temperata soltanto dal commissario retico a Chiavenna, e in Bormio dal podestà.
I terzieri della Valtellina, pur non avendo i poteri, analoghi ai comitali, attribuiti a Chiavenna e a Bormio, non soffrirono riduzioni delle loro tradizionali autonomie. Gli stessi statuti subirono modificazioni sempre inerenti e omogenee alla loro tradizione e generalmente favorevoli all’autonomia valligiana. In nulla fu mutato l’antico rapporto composto fra le tradizioni e i privilegi feudali dei nobili e le autonomie comunali, come del resto avvenne nello stesso libero stato delle tre leghe (Mazzali, Spini 1968).
Gli statuti di Valtellina, riformati nel 1548, comprendevano gli statuti civili, gli statuti criminali e i capitoli e ordini a cui erano tenuti per giuramento i capitani e gli altri ufficiali civili delle tre leghe eletti nella Valtellina, limitatamente ai terzieri. Gli statuti contenevano minute ed esatte prescrizioni relative alle figure dei giudici, confidenti, imputati, testimoni, notai, modo di procedere negli appelli. Altrettanto fitta era la legislazione concernente il matrimonio, la dote e l’eredità, le norme sugli uffici e facoltà dei tutori e curatori, debitori e creditori, sulle obbligazioni, donazioni, sugli atti di vendita e di compera, sulle interdizioni ai dissipatori, emancipazioni, eredità in generale, sulla validità e conservazione dei testamenti, sulla legittimità.
Nella parte degli statuti dedicata al diritto fondiario, si rileva una vigorosa difesa dei beni demaniali, mirata alla conservazione della struttura economica delle comunità.
Negli statuti criminali, erano stabilite le procedure giudiziarie e le pene; sempre dagli statuti criminali si ricavano notizie sul funzionamento e la manutenzione delle opere pubbliche (Mazzali, Spini 1968).
Quanto alla gestione finanziaria, il sistema fiscale in ciascuna delle comunità che componevano la Valtellina si basava principalmente sugli estimi, e sull’imposizione personale (”focatico”). Tra gli anni 1523 e 1531 vennero rogati i “capitoli novi” dell’estimo dell’intera Valtellina. Erano estimi senza fondamento catastale, quindi approssimativi, e resi ancora più difficili dalle transizioni regolate in natura. Dagli atti del 1523 risulta che l’estimo venne calcolato o in ragione del fitto percepito (prati, boschi, case, fucine) o dei prodotti che se ne traevano. I “capitoli novi” investivano tutti i beni posseduti, senza discriminazioni e distinzioni (Mazzali, Spini 1968). Così tutti i beni della valle, compresi anche quelli di famiglie o possessori un tempo esentati dal pagamento di tributi, vennero valutati secondo un unico criterio. In base alla revisione del 1523, venne completato un compendio sommario di tutto l’estimo del territorio di Valtellina (ASSo, Fondo manoscritti della Biblioteca, D. I.III. 40 fasc. 4; ed anche ASMi, Censo p.a. cart. 343 e ASMi, Catasto cart. 566) dove erano riportati il valore e l’entità dell’estimo di ogni comunità della Valtellina. Sulla base di quest’ultimo valore si ripartirono le taglie e i salari dei magistrati grigioni.
L’estimo in Valtellina era calcolato per terzieri e la sua ripartizione era stabilita dal consiglio di terziere in pubblica adunanza. La revisione avveniva probabilmente ogni cinque anni. Gli estimi in realtà furono due: quello terriero e quello forestiero. Quest’ultimo era applicato oltre che ai non residenti in valle, ma proprietari di beni in essa, anche ai residenti non considerati membri effettivi della comunità. Queste due categorie di contribuenti erano esenti dai carichi comunali ordinari e straordinari e partecipavano solo al comparto degli aggravi relativi alle spese di terziere, cioè salari dei podestà, dei vicari, del governatore, spese di cancelleria e criminali (Bondio 1990).
Per quanto riguarda, in generale, gli organi di autogoverno e gli aspetti amministrativi, la Valtellina aveva per capo un cancelliere detto di valle; i terzieri e le due squadre avevano anch’essi un cancelliere. I comuni avevano per capo un decano o un console, dei deputati consiglieri o agenti del comune. I comuni inoltre avevano un cursore o servitore del comune e un cancelliere di comunità.
Il metodo di elezione, il numero, la denominazione e il complesso delle competenze dei funzionari variava da comune a comune.
Ogni giurisdizione della Valtellina teneva propri consigli, formati dai decani, consoli o deputati di ciascun comune. La pluralità dei voti dei comuni formava il risultato delle deliberazioni dei consigli di giurisdizione. Ciascuno di tali consigli inviava uno o due deputati al consiglio generale di valle.
Nella propria amministrazione ed economia i comuni (tramite decani e consigli) e la Valtellina (tramite il consiglio di valle) erano indipendenti.
La rappresentanza e l’amministrazione del comune spettavano al decano o al console: essi facevano pubblicare ed eseguire i regolamenti particolari dei comuni sui pascoli pubblici, sui boschi, sull’annona e vettovaglie, infliggevano le multe ai contravventori, venivano convocati in giudizio per i debiti dei comuni, sostenevano cause attive e passive (con o senza la partecipazione e l’adesione del consiglio della comunità), prima di entrare in carica prestavano giuramento nelle mani dell’ufficiale di giurisdizione; i decani o consoli, di regola in carica per un anno, potevano però anche essere confermati. Per le decisioni di maggior rilievo agivano in concorso con i deputati del comune, ossia i rappresentanti delle contrade o sezioni in cui il comune stesso si divideva.
I cancellieri (o notai o attuari) del comune (che potevano risiedere anche al di fuori del comune) custodivano i libri dell’estimo, facevano le volture, estraevano i quinternetti per l’esazione delle imposte che si emettevano per il pagamento delle spese e dei debiti comunali e li consegnavano agli esattori; i cancellieri registravano i verbali dei consigli e ne custodivano gli atti.
I cursori o servitori dei comuni erano depositari delle fede pubblica; essi avevano l’obbligo di pubblicare gli ordini e gli avvisi, tanto governativi che comunali, intimavano le multe, avevano il diritto di fare gli atti esecutori contro i debitori anche dei privati, se ne venivano incaricati.
Gli esattori venivano scelti dal consiglio comunale, o dal decano o console, generalmente per contrada, squadra o colondello, ovvero per le sezioni in cui si suddivideva il comune, che potevano avere estimo, attività e passività separate. In questi casi, i capifamiglia delle singole sezioni tenevano proprie adunanze per tutto ciò che riguardava la particolare economia e la rappresentanza delle rispettive contrade, nominando propri deputati, consiglieri, campari, saltari. In alcuni comuni queste frazioni non intervenivano ai consigli di comunità che per tramite dei rispettivi deputati o consiglieri.
Nel governo della propria economia, e di conseguenza nel metodo di esazione delle imposte e di contabilità, le comunità valtellinesi erano, come si è detto, autonome.
In via generale, il decano o il console ricevevano dai consiglieri, deputati o canepari delle quadre o altre sezioni del comune l’importo delle tasse risultanti dai quinternetti approntati dai cancellieri e consegnati agli esattori. Il decano riceveva parimenti i proventi comunali per l’affitto di monti, alpi, case e terreni del comune, e le multe dipendenti da qualsivoglia titolo, tenendone annotazione in un apposito libretto. Era ancora compito del decano o console pagare tutti i crediti del comune per onorari, interessi di capitali, spese comunali, tenendone un conteggio diviso tra attività e passività. Al termine del mandato, il decano presentava in consiglio il libretto di debito e credito, dopo di che si procedeva a liquidare le partite, prendendone registrazione negli atti di consiglio: se il decano risultava in credito, nell’anno successivo gli veniva assegnata dal consiglio una rendita del comune o gli veniva costituito l’interesse sulla somma di credito, oppure si ammetteva qualche nuova imposizione; risultando in debito, se la passività era estinguibile facilmente, veniva rimessa all’anno successivo, se il decano invece non era in grado di provvedere al pagamento, si registrava tra i debitori del comune e gli si costituiva l’interesse del 5% sopra la somma dovuta (Amministrazione provincia di Valtellina, 1795).
Nelle comunità valtellinesi la grande maggioranza della popolazione fu sempre dedita all’agricoltura, radicata nelle valli e sui versanti, e all’allevamento, in simbiosi con l’ambiente naturale. Se, certo, non sempre le comunità contadine riuscirono, nel corso dei secoli, a mantenere un adeguato livello di autosufficienza alimentare, bisogna ricordare che esse diedero vita ad un’economia quasi completamente autarchica con limitate ed essenziali forme di scambio. L’attaccamento alle proprietà dei campi, dei boschi, dei pascoli, vitali risorse primarie di sussistenza, non era d’altra parte che un riflesso dell’antico inscindibile legame tra quelle stesse risorse e le condizioni di relativa libertà personale e comunitaria di cui potevano godere gli abitanti (Benetti, Guidetti 1990).
L’organizzazione dell’economia e della società valtellinese, prolungatasi senza fratture dal medioevo alla fine dell’età moderna, risentì ovviamente delle trasformazioni climatiche, delle pestilenze, delle vicende militari, delle lotte politiche e religiose, che lasciarono tracce durature e indebolirono con l’andare del tempo le capacità economiche delle comunità, sempre alla ricerca, tra l’altro, di un equilibrio tra le risorse e l’elemento demografico. Se è pur vero che la Valtellina, dall’epoca del capitolato di Milano (1639) alla fine del dominio grigione (1797) potè godere di un lungo periodo di pace, molto spesso i comuni si trovarono esposti a gravi situazioni debitorie. In questo contesto, nella seconda metà del XVIII secolo, i valtellinesi tollerarono con crescente difficoltà che il legame politico con le tre leghe (che si sostanziava nell’amministrazione della giustizia, la più delicata e vitale funzione sovrana) costituisse per i comuni un aggravio alla già difficile situazione, per via della malversazione e corruzione degli ufficiali grigioni. Ma fu ancora una volta il rapido mutare della situazione internazionale, tra il 1796 e il 1797, più che il dibattito interno tra Grigioni e valtellinesi, a determinare le scelte decisive per il destino della valle (Massera 1991 a).
ultima modifica: 09/01/2007
[ Saverio Almini ]
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/10000457/