amministrazione provinciale 1791 - 1796
Fin dalla sua ascesa al trono imperiale Leopoldo II si mostrò disponibile a rivedere il sistema di governo di Giuseppe II. Una conferma ufficiale in tal senso venne il 6 maggio 1790, allorché fu trasmesso a Milano un dispaccio con il quale Leopoldo invitava i consigli decurionali delle sei principali città della Lombardia austriaca a scegliere due rappresentanti ciascuna, i quali, riuniti a Milano, deliberassero in comune sulle materie che, a loro giudizio, meritassero un “sovrano provvedimento”, specialmente sul bisogno sollecitato dal consiglio generale della città di Milano di una “rappresentanza permanente della società generale dello stato”.
Al termine dei suoi lavori, questa “deputazione sociale” espose le richieste riguardanti gli affari di interesse generale in un protocollo comune, cui si aggiunsero quelli particolari predisposti dalle singole città.
Le istanze avanzate dalla deputazione sociale furono sostanzialmente accolte da Leopoldo II, che, con dispaccio 24 gennaio 1791, regolò in cinquantasei articoli gli oggetti di interesse generale e con sessantatre articoli quelli relativi alle singole province. A essere maggiormente presa in considerazione fu l’amministrazione locale, l’autonomia territoriale delle città e province, a cominciare dal massimo organo di questa autonomia, la congregazione dello stato (Valsecchi 1959). Il sovrano dispose infatti il ripristino della congregazione, dotandola peraltro di un’autorità maggiore di quanto non avesse fino al 1786. Alla sua presidenza tornava, “secondo l’antica consuetudine, il vicario di provvisione per tempo della città di Milano”. Restava “ugualmente confermata da sua maestà la carica di regio delegato presso la congregazione colle facoltà spettanti alla sua rappresentanza” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. I-XIII). Scompariva al contempo l’ufficio di polizia, le cui incombenze vennero affidate, a Milano, al capitano di giustizia e nelle altre città e province ai pretori (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. XXXVIII). Scomparivano gli intendenti politici provinciali, sostituiti, ma con poteri minori, dai regi delegati “repristinati appresso le rispettive congregazioni provinciali […] colla sfera d’attività determinata dal codice censuario” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. XV). Ai regi delegati spettava l’ispezione sugli affari riguardanti il censo e le comunità, gli oggetti politici e di governo, cioè confini, sanità, scuole, strade, affari ecclesiastici, commercio e manifatture, a eccezione di quanto rimaneva delegato alle mense civiche (Visconti 1913).
Per le materie finanziarie rimasero le intendenze provinciali di finanza, incaricate anche degli oggetti demaniali e di mera spettanza camerale, prima espletati dalle abolite intendenze politiche (Visconti 1913).
Quanto alle amministrazioni provinciali, Milano, Como, Cremona e Casalmaggiore ottennero un ritorno alla situazione teresiana con correttivi a favore dei decurionati, mentre i patriziati di Pavia e Lodi preferirono conservare le congregazioni municipali giuseppine, dove il loro peso era superiore a quello sancito dalle riforme già promosse dall’imperatrice Maria Teresa (Capra, Sella 1984).
Alle congregazioni municipali venne tra l’altro affidato il compito “di giudicare in prima istanza in materia di carico o d’imposta” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. XIX); mentre restarono “confermate le prerogative, onorificenze e facoltà economiche competenti ai corpi civici rappresentanti o amministranti delle singole città o province a norma del codice censuario, e così anche la facoltà de’ suddetti corpi di eleggere e nominare i loro individui componenti la congregazione dello ctato e le municipali, di tempo in tempo, non eccetuata ne pure la prima volta”. Inoltre ai corpi civici rimasero “la primiera giurisdizione in materia di vittovaglie, strade, sanità e polizia urbana” e la facoltà di rivolgersi direttamente al governo “per tutte le loro occorrenze” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. XXXIII-XL).
Leopoldo II concesse alle comunità anche “la libera elezione” dei rappresentanti del governo presso le comunità stesse, cioè i cancellieri del censo, il cui numero rimase allora immutato. L’elezione doveva tuttavia cadere in un soggetto fornito dei requisiti voluti dalla riforma censuaria, e salva la successiva approvazione del consiglio di governo (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. A, art. XX). Le regole per l’elezione dei cancellieri furono pubblicate comunque solo con editto 24 luglio 1794 (Cuccia 1971).
Con il dispaccio 24 gennaio 1791 vennero inoltre rimesse “sotto la giurisdizione delle vecchie province, anche per gli oggetti politici, tutte quelle comunità che in conseguenza del compartimento 1786 ne furono staccate e aggregate ad altre province e delle quali fu fatta bensì, nell’anno susseguente, la riunione, ma per il solo censo e per le strade” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. B, art. XIX).
Le provincie erano tornate a essere sei: Milano, Pavia, Como, Lodi, Casalmaggiore, Cremona, dal cui estimo vennero nuovamente separate le terre di Soncino, Fontanella, Pizzighettone e Castelleone (dispaccio 24 gennaio 1791 a, all. B, art. XVIII).
Mantova e il suo stato, con la reale carta 24 gennaio 1791, avevano infatti riacquistato la propria autonomia amministrativa dallo stato di Milano e un “particolare e immediato governo locale, dipendente però del governo generale della nostra Lombardia in Milano, rispetto a tutti gli oggetti superiori alla direzione esecutiva e spettanti all’interesse e vantaggio generale del mantovano” (dispaccio 30 gennaio 1791).
In quella stessa data il sovrano aveva inoltre disposto la costituzione di una giunta per l’esecuzione delle riforme accordate ai deputati lombardi (Cuccia 1971), mentre, con dispaccio 30 gennaio 1791, venne decretata la riforma del governo generale della Lombardia austiaca, “per toglierne i diffetti dell’attuale suo sistema introdotto nel 1786, con totale cambiamento di quello ch’era stato stabilito nel 1771”. La riforma entrò in vigore in data 1 aprile 1791 (dispaccio 30 gennaio 1791).
Come quelli voluti da Giuseppe II, anche gli ordinamenti leopoldini non durarono a lungo: ad abbatterli questa volta fu il generale Bonaparte, pochi giorni dopo il suo ingresso in Milano, il 14 maggio 1796.
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
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