collegio a riconoscere le cittadinanze 1681 - 1797
La necessità di vedere riconosciuta la propria “cittadinanza originaria” allo scopo di poter partecipare, a vari livelli, alla vita politico – amministrativa (e non solo) di Bergamo e del territorio, portò, sin dalla fine del ’400 (ma con maggiore frequenza dalla seconda metà del ’600), un sempre maggior numero di cittadini a dover produrre attestazioni in tal senso.
È necessario, in primo luogo, citare il primo riferimento a tale questione, riferimento contenuto in una parte del 10 aprile 1489, con la quale il consiglio maggiore stabilì che le concessioni o i riconoscimenti di cittadinanza fossero di propria esclusiva pertinenza. Il 26 dicembre 1681, il consiglio maggiore, prendendo atto della frequenza con la quale persone non in regola con le norme statutarie accedevano a cariche comunali, elesse tre deputati incaricati di vedere gli attestati di cittadinanza dei candidati a cariche comunali. Alla base di tale decisione stava, quindi, la necessità di razionalizzare il funzionamento della macchina amministrativa del comune.
Il 18 aprile 1701 il consiglio maggiore, allo scopo di meglio operare in materia, deliberò all’unanimità in favore di una più regolare elezione di tali deputati. È probabile che tale deliberazione non ottenesse i risultati sperati, tanto che il 28 febbraio 1733 ancora il consiglio maggiore deliberò a larga maggioranza che i deputati incaricati di controllare gli attestati di cittadinanza fossero affiancati, nelle pratiche attivate da supplica, dai deputati di mese. Il 10 maggio 1738, comunque, ancora il consiglio maggiore ribadì quanto contenuto nella parte deliberata cinque anni addietro, a testimonianza di una difficoltà notevole a superare resistenze in una materia così delicata.
Si giunse al 31 agosto 1786: il consiglio minore decise che l’esame degli attestati di cittadinanza fosse di competenza di un collegio di cinque membri, tre deputati e i due deputati di mese.
In primo luogo non sempre l’attestazione di cittadinanza veniva definita d’ufficio, ma in non pochi casi essa seguiva una precisa richiesta da parte di cittadini per ragioni che esulavano la partecipazione o meno a pubbliche “balotazioni” (scrutini elettorali). Le procedure, a seconda dei casi, erano dunque assai differenti, e la produzione documentaria altrettanto varia.
Nel primo caso, che era anche quello di gran lunga più frequente si aveva la stesura di una semplice relazione da parte dei tre deputati, relazione che non veniva presentata in consiglio ma rimaneva interna alla cancelleria. Tale relazione aveva, dunque, valore probatorio, e non necessitava di altre conferme o attestazioni.
Nel secondo caso la procedura era più complessa: si iniziava con una supplica presentata in consiglio minore, il quale nominava i deputati incaricati di visionare i documenti prodotti dal supplicante. Dopo un periodo di tempo variante fra uno e tre mesi, i deputati presentavano la loro relazione in consiglio che, dopo averla letta, ordinava al cancelliere di stendere il diploma di cittadinanza.
In pratica: quando l’operazione era di routine agivano direttamente i tre deputati a riconoscere le cittadinanze; quando faceva seguito a una supplica che richiedeva la stesura di un diploma, si formava una sorta di collegio straordinario misto. Il collegio era, quindi, stabile per il primo genere di pratiche, straordinario per il secondo (AC Bergamo, inventario Archimedia).
ultima modifica: 19/01/2005
[ Fabio Luini, Cooperativa Archimedia - Bergamo ]
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