amministrazione provinciale 1786 - 1791
Con l’ascesa di Giuseppe II al trono imperiale absburgico, avvenuta nel 1780, il processo riformatore già intrapreso da Maria Teresa subì una forte accelerazione.
Abbandonata la linea moderata seguita dall’imperatrice, Giuseppe II diede un deciso impulso anche alla riorganizzazione dell’amministrazione locale, nel segno dell’uniformazione, dell’accentramento e della separazione tra funzione amministrativa e giudicante, provvedendo al contempo alla razionalizzazione delle circoscrizioni territoriali che le riforme teresiane avevano lasciato in uno stato di sostanziale disomogeneità.
Da solo il ducato di Milano continuava infatti a comprendere oltre il sessanta per cento delle comunità dello stato e, nonostante la giunta del censimento avesse progettato di creare in ogni provincia un solo organo rappresentativo espressione di tutti gli estimati (la congregazione generale) le istituzioni provinciali uscite dalle riforme teresiane furono il prodotto di compromessi politici con i ceti decurionali locali, risultando pertanto differenti da luogo a luogo, a seconda della forza economica e politica che i ceti dirigenti cittadini avevano mantenuto (Cuccia 1977).
Un primo e importante intervento di Giuseppe II sulle amministrazioni locali si ebbe con il regio dispaccio 23 novembre 1784, che sancì la fine del monopolio patrizio nelle cariche pubbliche: da allora una parte, sia pure minoritaria, dei membri delle congregazioni del patrimonio, organo finanziario dell’amministrazione civica, dovette infatti essere scelta al di fuori del ceto nobiliare, fra i “cittadini e negozianti più accreditati e facoltosi”; tale allargamento, due anni più tardi, venne applicato anche alla neoistituita congregazione municipale (dispaccio 23 novembre 1784).
L’aggregazione del mantovano al territorio lombardo fornì l’occasione per intraprendere una profonda riorganizzazione delle cancellerie del censo: con l’editto governativo 18 marzo 1785, emanato in attuazione del regio dispaccio 5 novembre 1784 (dispaccio 5 novembre 1784 a), il numero delle delegazioni venne ridotto a ottantadue (compreso il mantovano) e fu delineato il nuovo compartimento territoriale, poi ritoccato secondo quanto previsto nel regio dispaccio 26 settembre 1786. Al contempo i salari dei cancellieri vennero aumentati e trasferiti a carico delle casse provinciali, e non più, come in precedenza, a quelle delle singole comunità (editto 18 marzo 1785 b).
Le novità introdotte con l’editto 18 marzo 1785 non si limitavano comunque alle sole articolazioni periferiche del sistema censuario. Ai regi delegati, in ciascuna delle sette città lombarde, subentrarono infatti altrettanti viceintendenti del censo, muniti non soltanto di più estesi poteri di controllo e di intervento sulle congregazioni patrimoniali e sui cancellieri, ma anche di attribuzioni in ambiti diversi. Nonostante la subordinazione formale alle intendenze di finanza, i nuovi funzionari prefiguravano chiaramente i regi intendenti provinciali istituiti il 26 settembre 1786 (Capra, Sella 1984).
Proprio tale data segna il compimento della riforma giuseppina delle amministrazioni provinciali. Il 26 settembre 1786, per “dare al corso degli affari nelle province della Lombardia austriaca una forma regolare e coerente al sistema politico recentemente introdotto in questa e nelle altre parti della sua monarchia”, furono infatti promulgati tre diversi dispacci regi. Con essi l’imperatore provvide a riorganizzare le circoscrizioni territoriali delle province lombarde e a dotarle di nuovi organi amministrativi e di governo: le congregazioni municipali e gli intendenti politici, funzionari, questi ultimi, “sotto l’immediata subordinazione del regio imperiale consiglio di governo”, dai quali venne in pratica a dipendere tutta la vita amministrativa, economica e sociale delle province. Nelle loro mani furono infatti concentrate numerose e importanti funzioni in precedenza attribuite a diversi organi allora soppressi.
In merito a tali soppressioni, l’editto di istituzione delle intendenze politiche disponeva l’abolizione del magistrato di sanità e delle vice intendenze provinciali, della commissaria generale dello stato, della congregazione generale dello Stato e degli uffici da quella dipendenti, come pure “di ogni altro dicastero o mensa civica”. In quello stesso anno, come è noto, erano stati soppressi anche il senato e il magistrato camerale e abrogate le novae constitutiones.
Tra gli organi di ambito provinciale erano sopravvissute le intendenze di finanza, che facevano capo all’intendenza generale di Milano, mentre i soli organi civici a non essere aboliti furono i consigli generali priviati di ogni reale funzione se non quella, puramente formale, di approvare i bilanci annuali (Capra, Sella 1984).
Con le riforme del 1786 il sistema di governo era stato dunque profondamente ridisegnato e le autonomie locali pressoché cancellate a spese di uno stato che assunse la totale direzione della vita del paese. La costruzione giuseppina ebbe però vita breve. Neppure cinque anni più tardi venne infatti in gran parte smantellata dal successore Leopoldo II.
Con l’editto 26 settembre 1786 la Lombardia austriaca venne divisa in otto provincie con altrettante intendenze politiche e si procedette a un riordino delle congregazioni municipali. Il riordinamento si proponeva di uniformare le strutture amministrative della Lombardia a quelle del resto della monarchia absburgica. Le otto circoscrizioni (il progetto originariamente proposto da Giuseppe II ne prevedeva sette, mentre quello elaborato a Milano ne suggeriva nove) avevano per capoluogo Milano, Mantova, Pavia, Como, Cremona, Lodi, Bozzolo e Gallarate (editto 26 settembre 1786 c).
Anche la provincia di Pavia, come quelle di Como e di Gallarate, aveva potuto avvalersi di un ampliamento territoriale derivante dallo smembramento della provincia milanese.
In ciascuna provincia venne eretta, in luogo della congregazione del patrimonio a suo tempo introdotta dalla riforma teresiana, una congregazione municipale le cui competenze non riguardavano solamente “gli oggetti dell’economica amministrazione del patrimonio pubblico a norma degli ordini censuari”, ma anche la manutenzione delle strade urbane e provinciali, la soprintendenza alle fabbriche, gli alloggiamenti e le fazioni militari, l’annona e alcune mansioni di polizia e di igiene pubblica.
Le congregazioni, che erano presiedute da un prefetto, erano composte da nove membri a Milano, Mantova e Cremona e da sette nelle rimanenti province.
La maggioranza dei componenti della congregazione di Pavia - cinque su sette - dovevano appartenere al ceto decurionale mentre i rimanenti due erano semplici estimati con un estimo di almeno duemila scudi. La sistemazione prevista per Pavia era condivisa da Lodi e Como, mentre a Bozzolo e a Gallarate il governo era affidato a soli estimati. Le congregazioni dovevano durare in carica sei anni e gli amministratori erano nominati dal governo su terne presentate dal consiglio cittadino.
La congregazione era costituita da un prefetto e da sei assessori, due in più erano previsti a Milano “per gli affari concernenti il loro corpo amministrativo”.
Un altro editto governativo, anch’esso datato 26 settembre 1786 determinava i compiti e le attribuzioni dei nuovi intendenti politici provinciali, che con il loro campo d’azione coprivano tutta la vita amministrativa delle province (editto 26 settembre 1786 a). Gli intendenti avevano un forte controllo sull’operato delle congregazioni municipali, che dovevano trasmettere loro ogni otto giorni i rispettivi protocolli. Gli intendenti avevano poi facoltà di intervenire alle riunioni delle congregazioni municipali e di convocarle in via straordinaria. Era richiesta l’approvazione dell’intendente per l’elezione dei deputati dell’estimo, dei sindaci e dei consoli delle comunità e per la nomina degli esattori. Ogni atto dei cancellieri era sottoposto al loro sindacato (Capra 1982). Questa tendenza accentratrice venne interrotta restituendo ai corpi civici le attribuzioni in precedenza attribuite al livello provinciale.
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
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