pieve di Sant'Eufemia sec. XII - sec. XVIII
Pieve della diocesi di Como. La pieve di Teglio sarebbe sorta sul distretto di uno dei "castella" del "municipium" di Como; il distretto del "castellum", divenuto quello del "concilium" romano, fu lo stesso sul quale dispiegò la sua giurisdizione la pieve. L'antico capoluogo del "concilium" tellino divenne il centro della pieve: in esso si sarebbe insediato il "presbyter", da cui dipendeva il collegio dei chierici. I confini entro i quali venne a estendersi la giurisdizione pievana erano delimitati a est dal rio di Bianzone e dal rio della Motta, dove cominciava la pieve di Villa, a ovest dalla Val Rogna e dalla Val Malgina, lungo le terre della pieve di Tresivio. Mentre il signore in temporalibus fu l'arcivescovo di Milano, titolare del beneficio imperiale legato alla castellanza forse fin dai tempi di Ottone I, in spiritualibus la pieve fu vincolata fin dalle origini al vescovo di Como. Il peraltro discusso diploma dell'imperatore Lotario I del 3 gennaio 824, con il quale l'imperatore confermava al vescovo di Como i privilegi a lui concessi da Ludovico I e da Carlo Magno, non nominava fra le "ecclesiae baptisimales" quella di Teglio, mentre vi figuravano quelle di Mazzo, Bormio e Poschiavo. La prima attestazione documentaria della pieve di Teglio risalirebbe al 1117. Si tratta di un atto notarile, datato 8 novembre 1117, riportato da un documento apografo del XVI secolo, relativo alla consacrazione della chiesa di Sant'Eufemia "in plebana Tilij" da parte di Guido Grimoldi, vescovo di Como, "in honore Sancte Eufemie virginis et martiris et Sancte Agnetis virginis et martiris et Sancte Cecilie virginis et martiris". L'indicazione della pieve di Teglio dovrebbe essere stata usata nel significato giuridico-ecclesiastico, a motivo della redazione dell'atto in ambiente curiale. La pieve tellina è nominata in un altro documento, redatto nel palazzo pontificio di Anagni il 29 aprile 1161 con il quale il papa Alessandro III prendeva sotto la sua protezione il monastero di San Benedetto d'Altirone con i suoi possedimenti nelle varie pievi della diocesi comasca. L'autonomia religiosa di Teglio rispetto alle limitrofe pievi di Villa e di Tresivio risulterebbe in modo manifesto dal registro delle Rationes decimarum del 1295-1298. La sua chiesa appare ricordata non come plebana, ma nell'elenco degli "Extravagantes", tra i monasteri esenti, rappresentata da "Ubertus de Besta clericus ecclesie de Telio" e dal "presbiter Alamanus Mascarpa", sempre della chiesa di Teglio (Garbellini 1991): resta così documentata la sua soggezione al vescovo di Como. Nel registro delle decime compaiono anche le due case degli umiliati presenti a Teglio (Perelli Cippo 1976). A partire dal XIII secolo la cura della chiesa di Sant'Eufemia di Teglio sarebbe stata di spettanza degli umiliati della "domus" di Sant'Orsola dello stesso borgo. Il fatto che i detentori del beneficio di Sant'Eufemia siano designati come "rectores" e "curati" sarebbe imputabile sia alla dipendenza in temporalibus di Teglio e della sua castellanza dall'arcivescovo di Milano, sia al legame di carattere beneficiale tra la parrocchia di Teglio e la locale "domus" umiliata di Sant'Orsola (Xeres 1999). Secondo il Quadrio il preposito degli umiliati dipendeva dall’arcivescovo di Milano (Quadrio 1775-1776); non è da escludersi che la chiesa di Teglio, pur formalmente nella diocesi di Como, godesse di ampia autonomia per il fatto stesso di essere stata affidata alle cure degli umiliati, il cui priore, non gerarchicamente sottoposto all’ordinario diocesano, obbediva unicamente al maestro generale dell’Ordine di Milano. Forse a partire dalla prima metà del XIV secolo, allorchè la Valtellina fu sottoposta al dominio dei Visconti, Teglio fu alle dipendenze dirette, anche in campo spirituale, dell’arcidiocesi ambrosiana. L’ingerenza milanese nella chiesa di Teglio dovette estinguersi molto prima del 1534, anno in cui Ippolito d’Este, arcivescovo di Milano, cedette ad Andrea Guicciardi e ad Azzo Besta ogni possesso e ogni diritto della chiesa ambrosiana in Teglio e Valtellina. Nei documenti del XV secolo non si trovano riferimenti all’autorità dell’arcivescovo “in spiritualibus” su Teglio: viene indicato, senza mai precisare a chi fosse genericamente sottomesso, il rettore di Sant’Eufemia (Garbellini 1991). Intorno al XV secolo, da parte dei vicini, cui spettava l'elezione dei due rettori, cominciarono a essere scelti, per la cura d'anime, preti secolari (Visita Landriani 1444-1445, note). La chiesa di Sant’Eufemia è attestata come "parochialis" negli atti della visita pastorale del vescovo Gerardo Landriani del 1445; due sono i "rectores", titolari delle prebende curate di detta chiesa, interrogati dai vicari visitatori (Visita Landriani 1444-1445).
Lo smembramento della pieve di Teglio ha inizio nel XV secolo. Le prime chiese a chiedere la separazione dalla matrice di Teglio furono Grania (San Giacomo di Teglio) (1423), Carona (1425) e Aprica (1427). Il decentramento religioso provocava un indebolimento delle prerogative economiche spettanti alla chiesa plebana, generando conflitti come quello che indusse i "rectores" della chiesa di Santa Eufemia di Teglio ad avanzare delle rimostranze di fronte al distacco della chiesa di San Giacomo delle Piatte in località Grania, avvenuto nel 1441; i vicari del vescovo Gerardo Landriani, durante la visita pastorale del 1445, imposero alla comunità di corrispondere decime e primizie alla parrocchiale di Santa Eufemia, almeno fino all'accertamento dell'avvenuta separazione (Visita Landriani 1444-1445, Introduzione).
Nel 1589, durante la visita pastorale del vescovo Feliciano Ninguarda nella pieve di Teglio, il borgo di Teglio, sede della chiesa plebana dedicata alle Sante vergini e martiri Eufemia, Cecilia e Agnese, contava circa 265 famiglie, 39 delle quali luterane, le restanti cattoliche. Nel borgo esistevano anche le chiese di San Lorenzo martire, San Silvestro, Santo Stefano protomartire, San Pietro apostolo, Sant'Orsola, già prepositura degli umiliati, a quel tempo utilizzata dai protestanti. Nella pieve figuravano le “ecclesiae parochiales” di Boalzo (Tresenda), Grania (San Giacomo di Teglio), Aprica, Carona; furono visitate anche le chiese di San Giorgio martire, nei pressi di Grania, occupata dai luterani, Santa Maria di Aprica, San Giovanni Battista di Caprinale, Santa Maria di Bondone, San Paolo di Belvisio. Anche nelle comunità della pieve numerose erano le famiglie di fede protestante (Ninguarda 1589). Con bolla nell’anno 1624, ovvero il 19 settembre 1625 (Visita Ninguarda 1589-1593, note) il pontefice Urbano VIII eresse la chiesa di Sant’Eufemia in prepositura e collegiata, con quattro canonici (Quadrio 1775-1776).
Per tutta l’epoca post-tridentina, e in pratica fino agli inizi del XX secolo, il termine pieve venne usato quasi esclusivamente per indicare una circoscrizione territoriale, coincidente con l’originaria giurisdizione della chiesa plebana, dalla quale nel tempo si vennero distaccando i centri minori con la costituzione di nuove parrocchie. Su tale base territoriale si venne a sovrapporre, ma non sempre a coincidere, la struttura vicariale, di valenza più marcatamente istituzionale. Spettava ai vicari foranei, infatti, presiedere le congregazioni dei parroci. Alla metà del XVII secolo risultava costituito un vicariato esteso sulle tre pievi costituenti il terziere superiore della Valtellina, sulla giurisdizione di Teglio, e sul contado di Poschiavo, ciascuna delle quali, con l’esclusione di Poschiavo, coincideva con una "congregatio" del clero (Ecclesiae collegiatae 1651). Nella seconda metà del XVIII secolo il vicariato di Teglio coincideva con l’ambito della giurisdizione civile di Teglio, comprendendo le parrocchie di Boalzo (Tresenda), Grania (San Giacomo di Teglio), Aprica, Carona; il collegio canonicale contava sempre quattro membri, a esclusione del preposito, nel 1758 e cinque nel 1794 (Ecclesiae collegiatae 1758; Ecclesiae collegiatae 1794).
Il collegio canonicale, soppresso alla fine del XVIII secolo, fu ricostituito nel corso del XIX secolo.
ultima modifica: 03/01/2006
[ Alessandra Baretta ]
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