pieve dei Santi Pietro e Paolo sec. XIII - sec. XVIII
Pieve della diocesi di Como. La chiesa comasca ebbe fin dai tempi remoti beni feudali in Valtellina e il vescovo comasco vi esercitava ampi diritti di natura economica. Forse già nel secolo XI il castello di Tresivio era nelle mani del vescovo di Como e molte famiglie nobili, vassalle del vescovo, immigrate nel corso dei secoli XI e XII dal comasco, si stanziarono nella pieve, investite non solo di diritti feudali, ma anche della riscossione delle decime spettanti alla mensa vescovile. Nella pieve di Trevisio venne rispettato, fin dalle origini dell’organizzazione plebana, l’obbligo di pagare le decime alla chiesa battesimale, destinate al sostentamento del clero in cura d’anime. La quartadecima o decima plebis, però, spettante al capitolo plebano, risultava insufficiente in quanto il capitolo di Tresivio arrivò a contare anche una decina di canonici. Diversi atti privati, a partire dal XII secolo, documentano le investiture fatte dai vescovi di Como delle decime spettanti alla mensa nella pieve di Tresivio. Rappresentanti delle famiglie De Piro, Beccaria, Interiortoli agivano come subconcessionari dei diritti vescovili, mentre i Quadrio sembrano prevalere tra i laici investiti dello ius decimandi da parte del capitolo di Tresivio (Carugo 1990).
L’esazione dei canoni continuò fino al XVI secolo, pur nel crescendo delle difficoltà denunciate dai vescovi di Como, dovute all’avvento della dominazione grigione e all’adesione di parte della classe dominante valtellinese alla riforma. Il primo quadro dettagliato dell’organizzazione territoriale delle pievi comasche è fornito dai registri delle decime per gli anni 1295-1298, epoca nella quale il canonico di Tresivio cumulava anche i benefici di Santa Maria Maggiore di Como e di Fino (Carugo 1990). Alla fine del XIII secolo, nella chiesa arcipresbiterale di San Pietro il collegio canonicale era costituito dall'"archipresbiter" e da otto canonici; nell'ambito della pieve due cappellani erano preposti alle "ecclesiae" di Chiuro e di Montagna (Perelli Cippo 1976). I luoghi compresi nella giurisdizione plebana erano Tresivio, Acqua, Ponte, Chiuro, Piateda, Boffetto, Faedo, Montagna. Le fonti medievali attestano l’esistenza di cappellanie con cura d’anime a Montagna e a Chiuro alla fine del XIII secolo, a Ponte nella prima metà del XIV secolo. Nel XIV secolo la collazione dei benefici dei Santi Giacomo e Andrea a Chiuro, San Giorgio a Montagna, San Maurizio a Ponte spettava all’arciprete e ai canonici di Tresivio. In seguito le stesse comunità si sarebbero riservate il diritto di eleggere i propri beneficiali (Carugo 1990).
Tra XV e XVI secolo si avviò il processo di decentramento parrocchiale. Montagna, Ponte e Chiuro, le comunità di maggiore entità demografica della pieve di Tresivio, ottennero il riconoscimento della loro autonomia ecclesiastica nel corso del XV secolo, anche se tale autonomia sarebbe stata contestata nei tempi successivi dalla chiesa matrice. Montagna ottenne per prima l’autonomia da Tresivio con un processo di smembramento avviato già nel 1427; la separazione fu concessa il 21 gennaio 1429 dal vescovo di Como Francesco Bossi attraverso una bolla rogata dal notaio curiale Francesco "de Ripa"; Ponte si sottrasse alla dipendenza dell’arcipretale di Tresivio nel 1460; la chiesa dedicata ai Santi apostoli Giacomo e Andrea di Chiuro, nata dall’ampliamento della chiesa di San Giacomo, ottenne l’autonomia dalla chiesa matrice intorno al 1490 (Carugo 1990).
Nel corso del XVI secolo, nella chiesa plebana di Tresivio, l'arciprete era coadiuvato da cinque canonici, non tutti con l'obbligo della residenza. I canonici officiavano in più luoghi e cumulavano i redditi provenienti da benefici diversi. La mancanza di un'assistenza spirituale alle popolazioni degli abitati più lontani, come Boffetto, Piateda e Ambria, indusse quelle comunità a richiedere l'autonomia parrocchiale. Nel 1514 la chiesa di San Fedele di Pendolasco si costituì in parrocchia autonoma, a seguito del distacco da Montagna delle contrade di Pendolasco, Dosso Boisio e Surana; la comunità di Piateda ottenne l’autonomia nel 1589 (Carugo 1990).
Le case di regolari sorte durante il medioevo nel territorio della pieve di Tresivio erano già in decadenza negli ultimi decenni del XIV secolo. A Tresivio, presso la chiesa di Santa Margherita, era insediata una comunità femminile degli umiliati, scioltasi probabilmente nei primi decenni del XVI secolo; gli umiliati avevano sede anche a Castione Superiore (Visita Ninguarda 1589-1593, note). Verso la metà del XVI secolo le rendite delle fondazioni religiose furono usurpate dai riformati (Carugo 1990).
Nell'elenco del clero allegato agli atti del sinodo comense convocato nel 1565 dal vescovo Gianantonio Volpi, cinque erano i "rectores" nella pieve di Tresivio, preposti alle chiese di San Maurizio di Ponte, San Giorgio di Montagna, Santa Caterina di Boffetto, Sant'Antonio di Piateda e Santi Gervasio e Agostino di Ambria e Agneda. Nel capitolo della chiesa plebana arcipresbiterale di San Pietro di Tresivio figurava la sola persona dell'"archipresbiter" (Sinodo Volpi 1565). Dagli atti della visita pastorale compiuta dal vescovo Feliciano Ninguarda alla fine del XVI si desume che nella chiesa arcipresbiterale di Tresivio, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, erano costituite altre sette prebende canonicali (Ninguarda 1589). Al tempo della visita pastorale del vescovo Filippo Archinti nel 1614 il numero dei canonicati era sceso a cinque (Visita Archinti 1614-1615).
La sede dell'arcipretura fu trasportata, nel corso del XVI secolo, nella contrada di Romanasca, dove rimase fino al XIX secolo (Visita Ninguarda 1589-1593, note). Una controversia intorno alle decime interessò nella seconda metà del XVI secolo la comunità di Montagna e il capitolo di Tresivio e si concluse nel 1594 con lo smembramento di quattro canonicati della chiesa di Tresivio, la soppressione di due e il trasferimento degli altri alla parrocchiale di Montagna (Carugo 1990). Tra XVI e XVII secolo diverse comunità della pieve ambirono a togliere a Tresivio la dignità arcipresbiterale. Nel 1594 Clemente VIII eresse la parrocchia di Montagna in arcipretura, dichiarandola plebana. Verso la fine del XVI secolo ci furono tentativi di trasferire l’arcipretura da Tresivio a Ponte. A causa dell’esiguità delle prebende canonicali e dell’abbandono della chiesa plebana, Paolo V con motu proprio promulgato il 14 maggio 1606 accordò il suo benestare al trasferimento dell’arcipretura a Chiuro, che fu eretta in collegiata. Sarebbe stato estinto in perpetuo il titolo di chiesa collegiata per San Pietro di Tresivio. La comunità di Ponte, non avendo potuto ottenere il trasferimento dell’arciprebenda alla propria parrocchiale di San Maurizio, si oppose, appoggiando gli abitanti di Tresivio e Acqua per impedire la traslazione a Chiuro. Si aprì una vertenza che si risolse a favore della comunità di Tresivio, con l’appoggio del governo grigione (Carugo 1990).
Nel 1624 il vescovo di Como, il domenicano Sisto Carcano, visitò la Valtellina, sanzionando l’ulteriore smembramento delle pievi con la costituzione di nuove parrocchie, procedendo alla consacrazione di varie chiese e all’erezione di confraternite. Nell’ottobre del 1624 visitò la chiesa plebana dei Santi Pietro e Paolo di Tresivio e le chiese figliali di Santa Maria di Tronchedo, Santa Margherita, San Tomaso e San Giovanni Battista. Nello stato della chiesa di Tresivio, la chiesa di Santa Maria di Tronchedo compare insieme a San Martino, Sant’Abbondio di Acqua e Santo Stefano in Boirolo. Le cure titolari nella pieve erano Ponte, Montagna, Chiuro, Pendolasco, Castello, Piateda; cappellanie Boffetto, eretta parrocchiale proprio nel 1624 insieme a Spriana, e Ambria. Nel settembre del 1629, in coincidenza con la visita alla pieve di Tresivio del vescovo Lazzaro Carafino, la chiesa di Castionetto fu separata dalla matrice di Chiuro; anche Faedo fu eretta parrocchia nel 1629 (Carugo 1990). Il diritto di eleggere i propri beneficiali appartenne, dall’epoca di fondazione delle parrocchie, alle stesse comunità (Visita Ninguarda 1589-1593, note).
I predicanti calvinisti verso la fine del XVI secolo avevano aperto chiese in numerose località della Valtellina, tra le quali Montagna nella pieve di Tresivio (Diocesi di Como 1986). Dagli atti della visita pastorale compiuta nel 1589 dal vescovo Feliciano Ninguarda nella pieve di Tresivio, si deduce comunque che la maggior parte delle famiglie fosse rimasta cattolica (Carugo 1990).
Per tutta l’epoca post-tridentina, e in pratica fino agli inizi del XX secolo, il termine pieve venne usato quasi esclusivamente per indicare una circoscrizione territoriale, originariamente coincidente con la giurisdizione della chiesa plebana, dalla quale nel tempo si vennero distaccando i centri minori con la costituzione di nuove parrocchie. Su tale base territoriale si venne a sovrapporre, ma non sempre a coincidere, la struttura vicariale, di valenza più marcatamente istituzionale. Spettava ai vicari foranei, infatti, presiedere le congregazioni dei parroci. Alla metà del XVII secolo Tresivio era parte di un vicariato esteso al territorio del terziere di mezzo della Valtellina, articolato in congregazioni, una delle quali coincideva con la pieve di Tresivio e con la pieve di Ponte (Ecclesiae collegiatae 1651). Nel corso del XVIII secolo il vicariato di Tresivio era coincidente con l’originario territorio plebano (Ecclesiae collegiatae 1758). Nel corso del XIX secolo accanto al vicariato foraneo di Tresivio vennero a costituirsi i vicariati di Ponte, Chiuro e Montagna.
ultima modifica: 03/01/2006
[ Alessandra Baretta ]
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