comune di Cocquio con Sant'Andrea sec. XIV - 1757
La località di Cocquio, citata come “Chocho per li nobili e vicini” negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano e facente parte della pieve di Brebbia, era tra le comunità che contribuivano alla manutenzione della strada di Rho (Compartizione delle fagie 1346).
Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVII secolo Cocquio risultava ancora compreso nella medesima pieve (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano, cartt. 7-8).
Nelle mappe di I stazione, d’insieme e di II stazione del catasto detto teresiano, assieme al territorio di Cocquio viene disegnato il territorio di Sant’Andrea, e il comune assume sempre la denominazione di Cocquio (o Coquo) e Sant’Andrea (Morando, Mura 1997-1998).
Secondo le risposte ai 45 quesiti del 1751 della II giunta del censimento, il comune risultava infeudato al conte Giulio Visconti, col pagamento di lire 129 annue per dazio d’imbottato e censo feudale.
Non vi risiedeva alcun giudice, ma si faceva riferimento al podestà feudale Carlo Bartolomeo Porta, con ufficio in Gavirate. La retribuzione del giudice feudale era di 29 lire all’anno. Il console di Cocquio prestava giuramento tutti gli anni alla banca criminale del vicariato del Seprio di Gallarate, col pagamento di 22 soldi e 6 denari, che si reputava ingiusto.
Cocquio aveva sempre fatto comune a sé; vi era inoltre un piccolo recinto, chiamato comunetto di Cochino, anticamente dei Castiglioni, soggetto al comune dominante. La comunità desiderava che restasse unito al comune dominante, per evitare disordini e liti. Non esisteva consiglio generale né particolare, ma solamente tre deputati, il console e il cancelliere. Questi rappresentanti della comunità cambiavano circa ogni tre anni. Le riunioni, per decidere i vari affari, venivano predisposte dal console con preventivo avviso ai capifamiglia e si svolgevano nella pubblica piazza in giorno festivo dopo la messa. Il comune possedeva solo una “boschina” comunale, per la maggior parte zerbo e cespugli bassi, e un pascolo per i bovini, utilizzato dagli abitanti. I riparti che si predisponevano si leggevano nella pubblica piazza ad ogni richiesta degli interessati.
Il cancelliere risiedeva nel comune ed era retribuito con 49 lire annue; conservava la documentazione relativa ai pagamenti fatti annualmente alla cassa del ducato. Altre scritture erano in possesso di due dei primi estimati. Il comune non aveva procuratori né agenti a Milano. In caso di necessità ci si rivolgeva al sindaco provinciale, senza pagamento di emolumenti. Le anime erano 653 circa, 538 collettabili, 115 non collettabili (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3035, vol. D XV-XVI, Como, pieve di Brebbia, fasc. 13).
ultima modifica: 06/09/2006
[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese ]
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