monastero di Santa Grata in Columnellis 1027 - 1798
Monastero benedettino femminile.
L'origine del monastero di Santa Grata risalirebbe al 1027 (Kehr 1913, p. 384; Locatelli, Da Re 1986, p. 39) quando, secondo la tradizione e la storiografia locale, le reliquie di santa Grata furono traslate dalla chiesa di Santa Grata "inter Vites" alla chiesa del monastero di Santa Maria "Vetus", istituzione di origine longobarda che all'inizio dell'XI secolo aveva acquisito la regola benedettina (Locatelli, Da Re 1986, pp. 37-39) e che al momento della traslazione delle reliquie cambiò il titolo da quello di Santa Maria a quello di Santa Grata "in Columnellis" con riferimento alla via presso cui sorgeva il cenobio. La storiografia è sostanzialmente concorde sulla storicità della traslazione del corpo di santa Grata, ma non sulla data in cui questo fatto avvenne: il 1027, ritenuto corretto dalla maggior parte degli storici (Kehr 1913, p. 384; Locatelli, Da Re 1986, p. 39), fa riferimento alla volontà del vescovo Ambrogio II, ma la traslazione si sarebbe potuta verificare anche nel secolo successivo, durante l'episcopato di Ambrogio III. Il primo documento pubblico che tratti del cenobio, risalente al 1049, è spurio (Kehr 1913, p. 384) e il monastero ricompare nella documentazione pontificia solo un secolo dopo (Kehr 1913, pp. 384-385). Un atto privato del 1027 fa in ogni caso riferimento al cenobio e alla badessa, Giustina (Locatelli, Da Re 1986, pp. 40-41). Nel 1186 Urbano III, rivolgendosi alla badessa Eugenia, sottopose il monastero di Santa Grata alla protezione apostolica, confermò beni e diritti tra cui la chiesa di Calvenzano, il castello e la "curtis" di Saranica, già oggetto nel 1168 di una causa coni conti Martinengo per il possesso di questi beni e i diritti giurisdizionali vantati dal cenobio in quella località, richiamò le monache all'osservanza della regola benedettina e concesse la possibilità di celebrare gli uffici divini durante l'interdetto, il diritto di sepoltura nel monastero e di libera elezione della badessa (Kehr 1913, pp. 384-385): "si tratta quindi del primo documento che attesta con certezza la pratica dell'esistenza cenobitica secondo i canoni e i dettami del ... monachesimo occidentale" (Locatelli, Da Re 1986, p. 40). L'anno successivo ai possedimenti del monastero di aggiunsero, sempre per volontà di Urbano III, la chiesa di San Gervasio, beni ad Albegno e la chiesa di San Michele (Kehr 1913, p. 385; Locatelli, Da Re 1986, p. 41). I provvedimenti di Urbano III furono confermati nel 1235 da Gregorio IX (Kehr 1913, p. 385; Locatelli, Da Re 1986, p. 41); inoltre nel 1214 il monastero aveva ottenuto l'esenzione dall'ordinario diocesano da parte del vescovo Giovanni Tornielli (Locatelli, Da Re 1986, p. 41). Nonostante questi privilegi e riconoscimenti anche il monastero di Santa Grata non rimase esente da "rilassatezza, trasgressioni religiose, irregolarità interne ... anche le ingerenze esterne non erano infrequenti" (Locatelli, Da Re 1986, p. 41). Tra il XIII e il XIV secolo la comunità appare composta da non più di dodici monache, divisa al suo interno alla fine del XIII secolo a causa dei molteplici interessi delle famiglie bergamasche nell'elezione della badessa. In questo periodo e nel successivo la comunità era composta unicamente da donne appartenenti alle principali famiglie nobili bergamasche (Locatelli, Da Re 1986, p. 42). Poche sono le notizie sul monastero di Santa Grata negli ultimi secoli del Medioevo: si sa che nel XV secolo l'obbligo della clausura non fu rispettato strettamente fino alla fine del secolo, quando il rispetto della norma fu ripristinato. La comunità in quel tempo era rappresentata da ventotto monache (Locatelli, Da Re 1986, pp. 42-43).
La storia del monastero del secolo successivo è scandita dalle visite compiute dai vescovi e dai visitatori apostolici, a partire da quella del vescovo Lippomano nel 1520 a quelle di Soranzo nel 1552, Cornaro nel 1573 e del suo vicario l'anno successivo, quindi quella del cardinale Carlo Borromeo nel 1575. Al momento della visita di Carlo Borromeo la comunità di Santa Grata era composta da cinquantasette monache: il numero comprendeva le suore di Santo Stefano di Trescore, soppresso nel 1566 da Pio V (Spinelli 1984 a, p. 43), e quelle di San Pietro di Borgo di Terzo (Spinelli 1988, p. 229). Nel corso della sua visita apostolica il Borromeo chiese al vescovo di Bergamo che l'ultima monaca di Santo Stefano rimasta a Trescore fosse condotta a Santa Grata (Locatelli, Da Re 1986, p. 49).
Le monache di San Pietro di Terzo ottennero nel 1581 da Gregorio XIII di tornare a Borgo di Terzo (Locatelli, Da Re 1986, pp. 49-50; Spinelli 1988, p. 229), nonostante il parere contrario della comunità di Santa Grata che sarebbe così stata costretta ad una nuova divisione patrimoniale (Locatelli, Da Re 1986, p. 50).
Alla fine del XVI secolo le monache, grazie alla disponibilità economica derivata dall'ampio e ben amministrato patrimonio, iniziarono la costruzione di una nuova chiesa, definitivamente conclusa solo alla metà del secolo successivo; nel 1617 le monache chiesero il permesso di aumentare il numero delle professe, fissato fino a quel momento a sessanta unità (Locatelli, Da Re 1986, p. 51). Nella seconda metà del XVII secolo "la situazione economica particolarmente solida" del monastero "doveva costituire un fatto abbastanza anomalo nel quadro del monachesimo diocesano, specialmente se rapportato ad altri monasteri femminili della città" (Locatelli, Da Re 1986, p. 51). Non si hanno altre notizie sul cenobio fino alla soppressione, decretata nel 1798 dalla Repubblica Cisalpina (Locatelli, Da Re 1986, p. 52). Il monastero fu restituito alle monache durante la parentesi austro-russa, quindi nuovamente soppresso nel 1810 (Spinelli 1984 a, p. 36; Locatelli, Da Re 1986, p. 52).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Diana Vecchio ]
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