monastero di San Giacomo 1491 - 1798
Monastero benedettino cassinese maschile.
I monaci della congregazione di Santa Giustina di Padova si sostituirono, alla fine del XV secolo, ai monaci cluniacensi che risiedevano nel monastero di San Giacomo di Pontida, fondato nel 1076 da Alberto da Prezzate e passato in commenda alla fine del XIII secolo. Nella seconda metà del XV secolo l'ente fu al centro delle attenzioni della Repubblica di Venezia, che premeva per aggregare il priorato e il suo consistente patrimonio a San Marco. L'11 ottobre 1487 Innocenzo VIII decretò l'incorporazione di San Giacomo alla cappella ducale di San Marco (Spinelli 1996 a, pp. 73-75), nonostante l'opposizione del commendatario, Marco Barbo, che cercò invece di aggregare l'ente alla congregazione di Santa Giustina di Padova e "con l'assenso del doge, Innocenzo VIII, con bolla del 5 giugno 1490, univa in perpetuo il priorato di Pontida alla congregazione di Santa Giustina di Padova ... il 12 marzo 1491 i procuratori di San Marco venivano immessi nel possesso del priorato ... Rimanevano da attuare le disposizioni ... relative all'introduzione dei monaci di Santa Giustina: ciò avvenne il 5 luglio 1491 con un piccolo gruppo di monaci ... Già da un anno però un monaco della congregazione si trovava nel monastero per sorvegliare i lavori di riparazione ... e per preparare la venuta della nuova comunità. L'immissione ufficiale di quest'ultima avvenne ... il 26 settembre 1491" (Spinelli 1996 a, p. 74). In quella data i procuratori di San Marco stesero un documento che regolamentava le condizioni dell'ingresso dei monaci padovani a Pontida: i monaci dovevano rinunciare ai possedimenti pontidesi a est del fiume Brembo, mantenendo invece quelli a ovest, pagando per questi ultimi - costituenti la mensa conventuale - un censo annuo di 150 ducati, il tutto a favore della cappella di San Marco; i monaci cluniacensi impegnati nella cura d'anime nelle chiese dipendenti da San Giacomo dovevano essere sostituiti da secolari, il cui stipendio doveva essere pagato dalla congregazione (Spinelli 1996 a, pp. 74-75). Poco meno di un mese dopo, con un documento del 17 ottobre 1491 i monaci di Santa Giustina accettarono le condizioni; il provvedimento fu ratificato da Alessandro VI il 22 febbraio 1493 e così il monastero di Pontida entrò nella congregazione (Spinelli 1996 b, p. 104).
Il primo secolo di vita dei monaci cassinesi a Pontida è stato definito dalla storiografia un periodo di "ordinaria amministrazione" (Spinelli 1996 b, p. 106). Di fatto il monastero, all'estremo lembo dei possessi veneti in terraferma, non era ambito dai monaci della Repubblica; inoltre Venezia vietava la costituzione a Pontida di una comunità con noviziato, nel quale si sarebbero formati monaci destinati a tarscorrere la loro vita a San Giacomo (Spinelli 1996 b, pp. 106-107). Un evento critico del periodo in questione sembra risalire al 1509, quando Pontida fu devastata dalle truppe della lega di Cambrai e, decaduta l'autorità di Venezia sul territorio, il monastero passò in commenda a Sigismondo Gonzaga; in seguito all'appello della congregazione, il Gonzaga mantenne solo il censo di 150 ducati che Pontida doveva corrispondere a Venezia e il cenobio restò ai cassinesi, che ripresero il controllo amministrativo dei beni monastici (Spinelli 1996 b, p. 109).
Al ritorno di Bergamo sotto il dominio di Venezia, ripresero i lavori di restauro delle strutture monastiche già iniziati alla fine del XV secolo. Tra le figure di abati del XVI secolo si ricorda Isidoro da Chiari, umanista, teologo, oratore al concilio di Trento (Spinelli 1996 b, p. 110). I suoi successori ebbero diverse questioni giurisdizionali concernenti la designazione dei sacerdoti delle parrocchie dipendenti da Pontida dall'età cluniacense, quali Pontida stessa, Ambivere, Palazzago, Endenna e Somendenna (Spinelli 1996 b, p. 110). Nel 1575 Carlo Borromeo, in visita apostolica a Bergamo, rilevò la situazione di difficoltà nella cura d'anime delle chiese dipendenti da Pontida, affidate a sacerdoti poco capaci e poco attenti al loro compito, nonché lo stato di crisi dell'osservanza dei monaci del cenobio di San Giacomo. I monaci comunque rimasero sempre fedeli a Venezia, come nel caso dell'interdetto scagliato all'inizio del XVII secolo da Paolo V contro Venezia, durante il quale i monaci pontidesi continuarono a celebrare gli uffici divini (Spinelli 1996 b, p. 111). Una spia della situazione di limbo vissuta da Pontida per oltre cent'anni può essere vista nelle disposizioni di Innocenzo X del 1650, che sulla base del censo del cenobio prevedevano la presenza di diciotto monaci al massimo: numero che non fu mai raggiunto a San Giacomo (Spinelli 1996 b, pp. 107-108) e fu spesso lontano da quel limite, come nel 1630 quando la peste colpì anche i monaci del cenobio e ridusse di alcune unita la già scarsa comunità monastica (Spinelli 1996 b, p. 113). Il cambiamento radicale della situazione avvenne nella seconda metà del XVII secolo: Venezia, in difficoltà economica in seguito alla guerra di Candia, vendette i beni di San Giacomo di Pontida e di Sant'Egidio di Fontanella ai conti Giovannelli di Gandino, ai quali sarebbe stato corriposto dai monaci il censo annuo già dovuto alla Repubblica (Spinelli 1996 c, p. 136). Questo fatto determinò una maggiore libertà del monastero, di cui approfittò l'abate Pietro Vecchia (Spinelli 1996 c, p. 136); nel 1671 Venezia abrogò formalmente il divieto di costituire a Pontida una comunità monastica, stabilito da più di un secolo (Spinelli 1996 c, p. 137) e nel 1675 (Locatelli, Da Re 1986, p. 83) al capitolo generale della congregazione cassinese di Perugia, si autorizzò il cenobio di San Giacomo ad aggregare sacerdoti e chierici provenienti da altri monasteri e accogliere fino a quindici postulanti che sarebbero stati formati e avrebbero vissuto a Pontida (Spinelli 1996 c, p. 137). Questi fatti determinarono un cambiamento radicale della vita di San Giacomo: maggiore stabilità, miglior livello spirituale, religioso e culturale, benefici che continuarono nel XVIII secolo (Spinelli 1996 c, pp. 138-141; Locatelli, Da Re 1986, p. 83).
Il XVIII fu anche il secolo della soppressione del cenobio, già richiesta nel 1779 e rigettata dal Magistrato veneto sopra i monasteri (Spinelli 1996 c, p. 141). Il 6 giugno 1797 la repubblica cisalpina decretò la soppressione del vicino monastero di San Paolo d'Argon, che i monaci avrebbero dovuto lasciare entro ventiquattro ore per aggregarsi a Pontida; il 13 maggio 1798 venne decretata anche la soppressione di San Giacomo di Pontida. A quella data erano presenti nel cenobio undici monaci e un converso (Spinelli 1996 c, p. 141).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Diana Vecchio ]
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