monastero di Santa Maria della Colomba sec. XII - 1294
Monastero cistercense femminile.
Si trovava a Manerbio, probabilmente in corrispondenza degli attuali cascinali "Monastero" e "Monasterolo", tra Manerbio e Porzano (Guerrini 1937, pp. 86-87). Non se conosce l'atto di fondazione e diverse sono le teorie a proposito dell'originario ordine di appartenenza. La fondazione del cenobio fu attribuita dalla storiografia locale al 1136 (Guerrini 1957 b, p. 15), o al 1141, anno del primo documento che citava l'ente religioso (Kehr 1913, p. 350; Merati 2001 a, p. 74). Tutta la storiografia è invece concorde sull'intervento del vescovo bresciano Manfredo nell'istituzione della comunità monastica. Appare quindi corretto attribuire la costituzione di Santa Maria di Manerbio agli anni tra il 1134, inizio dell'episcopato di Manfredo e il 1141, data del primo documento (Merati 2001 a, p. 75). Il monastero venne eretto con ogni probabilità dallo stesso vescovo Manfredo, il quale "viene del resto menzionato anche in tutte le bolle papali dirette al monastero" (Merati 2001 a, p. 75; Guerrini 1937, p. 86); sembra certo l'influsso che sul vescovo esercitò Bernardo di Chiaravalle, sulla base di un comune "intento antiarnaldista" (Merati 2001 a, p. 77). Per quanto riguarda l'originario ordine di appartenenza del cenobio, la storiografia è divisa tra un'origine cistercense, in considerazione dei rapporti di Manfredo con san Bernardo e del titolo di "Santa Maria della Colomba" del cenobio (Guerrini 1957 b, p. 15) e un'origine benedettina a cui avrebbe fatto seguito un passaggio all'obbedienza cistercense nel 1173, quando Alessandro III rilasciò all'ente un documento in cui si faceva esplicito riferimento agli statuti cistercensi (Kehr 1913, pp. 350-351). Sembra corretto considerare che i rapporti tra il vescovo Manfredo e Bernardo "rendono plausibile l'ipotesi di una fondazione femminile che si ispirava, fin dalle origini, all'esperienza cistercense, pur senza essere mai formalmente ammessa nell'ordine ... l'adesione del monastero all'ordine era soltanto 'de facto', ma non aveva alcuna sanzione istituzionale da parte della gerarchia ... tuttavia, a dimostrazione che non c'era ambiguità sulla condizione delle monache di Manerbio ... Alessandro III nomina esplicitamente gli 'statuta ordinis Cisterciensis' per indicare la loro norma di vita ... " (Merati 2001 a, p. 78). La comunità si caratterizzava come "un gruppo di religiose che cercava effettivamente di mettere in pratica la normativa stabilita dall'ordine di Citeaux adottando il modello fornito dai monasteri maschili ... l'isolamento della comunità rispetto al resto della famiglia cistercense .... da un lato ha sicuramente preservato l'originalità dell'esperienza manerbiese, dall'altro può essere stato all'origine del mancato riconoscimento ufficiale ... " (Merati 2001 a, pp. 104-105). Il vescovo Manfredo pose a guida del monastero la parente Caracosa: entrambi appartenevano, a quanto pare, alla potente famiglia capitaneale bresciana dei Confalonieri, definiti anche Boccacci (Guerrini 1957 b, p. 16) o "de Manervio" (Merati 2001 a, p. 78). Caracosa era la madre di uno dei primi beneficiari del monastero: il rapporto dei "de Manervio" con il monastero fu sempre diretto e privilegiato. Dato l'interesse di Manfredo per l'istituzione manerbiese, il monastero fu fin dall'origine soggetto alla giurisdizione del vescovo di Brescia. Nel 1144 Celestino II pose Santa Maria sotto la protezione apostolica (Kehr 1913, p. 351); nel188 il vescovo Giovanni da Fiumicello, confermando i precedenti privilegi del monastero, richiese al cenobio il censo annuo di due libbre di cera da corrispondere alla Mensa vescovile (Guerrini 1937 b, p. 88), a ribadire il legame di Santa Maria con l'episcopato bresciano. Per quanto concerne il patrimonio monastico, i beni di Santa Maria si concentravano nella "curtis" di Manerbio ed erano costituiti da terre arabili e a bosco con diritti di pascolo, di decima su animali e prodotti e importanti diritti sulle acque dei vicini corsi d'acqua, che le monache seppero sfruttare positivamente (Merati 2001 a, pp. 78- 80) e che furono più volte confermati dall'autorità papale e vescovile. Tra il 1174 e il 1184 al monastero fu unito il vicino priorato di Santa Maria di Fontana Coperta, sito tra Lonato e Solferino, già dipendente dai canonici di San Polo di Castel Venzago, con i relativi diritti di acque in territorio di Desenzano e beni presso la chiesa. Questo passaggio di proprietà, che "avvenendo nell'ambito di realtà legate alla famiglia protettrice, appare da essa orchestrato" (Merati 2001 a, p. 91) fu posto in discussione dai canonici di San Polo: ne scaturì una causa, risoltasi favorevolmente per Santa Maria nel 1185. Nel 1250 il vescovo di Brescia Azzo da Torbiato, confermando al monastero i precedenti privilegi e beni, concesse alle monache la chiesa bresciana dei Santi Felice e Fortunato, già nota anch'essa come Santa Maria di Fontana Coperta (Guerrini 1933, p. 59; Guerrini 1937, p. 88). La comunità manerbiese appare, dall'analisi dei possedimenti e dell'attività economica, "decisamente attiva in ambito economico e ricca di iniziative per il miglioramento della produzione agricola, tratti caratteristici dell'esperienza cistercense: le monache ... sviluppavano le risorse delle quali erano in possesso" (Merati 2001 a, p. 92). Alla fine del XIII secolo, il vescovo Berardo Maggi si interessò del cenobio in considerazione dei pericoli a cui poteva essere sottoposta la comunità femminile, isolata nel contado ed esposta ai sanguinosi conflitti tra guelfi e ghibellini, forse in seguito a qualche preciso episodio di violenza (Guerrini 1937, p. 88). Il 13 novembre 1294 il vescovo ordinò che le monache si trasferissero a Brescia, presso la chiesa dei Santi Felice e Fortunato (Guerrini 1957 b, pp. 38-39). Il progetto di realizzare a Manerbio una comunità benedettina maschile, avanzato nel 1305, non fu attuato e il cenobio continuò a far parte del patrimonio delle monache (Guerrini 1937, p. 89), a cui apparteneva ancora nel 1580, quando il cardinale Carlo Borromeo visitò Manerbio e la chiesa, definita nella visita pastorale "Oratorium Sancte Marie Annuntiatae campestre" (Guerrini 1937, p. 89).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Diana Vecchio ]
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