consiglio maggiore sec. XIV - 1797
La presenza tra le istituzioni del comune di Brescia di un consiglio di “500 qualche volta 300 e più tardi di 100 membri”, benché sostenuta da alcuni anche per i tempi più antichi, non trova però conferma tra le fonti (Valentini 1898).
La prima menzione di una certa rilevanza riguardante un organismo assembleare dotato di ampi poteri deliberativi risale al 1313: gli statuti riformati in quell’anno menzionano un consiglio dei 500, che in caso di riforme e decisioni importanti deve congregare almeno trecento membri (Statuti di Brescia sec. XIII).
Dopo la dedizione a Venezia, erano stati concessi alla città ampi privilegi, tra cui quello di conservare le proprie magistrature ed i propri statuti; in base a tali privilegi in consiglio maggiore potevano sedere tutti i cittadini bresciani (quelli che avevano cioè ottenuto precedentemente la cittadinanza, che risiedevano in città e che contribuivano agli oneri) ritenuti dai rettori veneti degni di ricoprire l’incarico (Zanelli 1898). Il numero come si vede non era rigidamente predeterminato ed inoltre soggetto ad interpretazioni variabili (Pasero 1963); a titolo di esempio si segnala che mentre e dopo la serrata del 1488 i consiglieri erano 150 in tutto (Pasero 1963), nel 1608 erano 432 (Pasero 1969), mentre nel 1644 erano 450 (Zanelli 1898).
Naturalmente le sedute non videro mai la partecipazione massiccia degli aventi diritto; al contrario vi furono molti problemi di legittimità vista la sempre più scarsa partecipazione ai lavori delle assemblee: per il consiglio maggiore il numero minimo di partecipanti affinché la seduta fosse valida era di 80 membri (Zanelli 1898, p. 25).
Nel 1454 s’era deliberato che non potesse sedere in consiglio il cittadino che non abitasse in città e non avesse compiuto i 25 anni e nel 1473 con la riforma degli statuti, le modalità di scelta vennero modificate e limitate. Oltre al limite di 30 anni ed il pagamento degli oneri per trent’anni continui, venne stabilito che i nuovi consiglieri proposti dovessero venire ballotati dai consiglieri già in carica, cioè in pratica cooptati.
Ulteriori restrizioni all’accesso di nuovi consiglieri vennero stabilite nel 1488 per quella che venne definita la serrata del maggior consiglio: il 5 settembre il consiglio speciale e l’11 settembre il maggior consiglio decretarono che l’accesso alle cariche era riservato a quelli che ininterrottamente avevano contribuito agli oneri della città dal tempo della dedizione (personalmente o da parte degli antenati), fatti salvi quelli già ammessi; il consiglio maggiore rese meno rigida l’originale proposta, ma la serrata era ormai cosa fatta (Zanelli 1898, pp. 29-30).
Nel 1644 ci fu un tentativo di rimettere in vigore le norme di elezione e nomina dei consiglieri antecedenti alla serrata, ma il tentativo suscitò la reazione della nobiltà e le cose rimasero immutate (Zanelli 1898, p. 196-200; Mazzoldi 1963).
Il consiglio maggiore era il luogo supremo decisionale del comune e tutte le nomine o le scelte importanti erano decise nel suo seno, dopo le preventive discussioni del consiglio speciale e dei deputati.
Fra le incombenze istituzionalmente rilevanti in rapporto al territorio o distretto bresciano va ricordata la nomina dei rettori, podestà e vicari, che Brescia, per privilegio, provvedeva ad inviare nei vari “reggimenti” ad essa sottoposti, alcuni dei quali erano quadre, altri terre separate, altre terre sole senza quadra. Una volta stabilizzatasi la supremazia sul territorio, modificata dalla presenza della Serenissima, il numero di questi reggimenti rimase stabilito in “XXI, divisi in quattro gradi: quattro podesterie maggiori (Valcamonica, Asola, Orzinuovi e Salò), tre minori (Chiari, Lonato e Palazzolo), sette vicariati maggiori (Iseo, Montichiari, Rovato, Gottolengo, Calvisano, Quinzano, Pontevico) e sette minori (Gavardo, Manerbio, Ghedi, Gambara, Pontolio, Castrezzago e Pompiano); l’elezione avveniva per ballottazione e chi otteneva più dei due terzi dei voti era assegnato alle podestarie maggiori, chi solo la metà era assegnato agli altri reggimenti che erano via via assegnati per estrazione, fino ad esaurimento degli eletti (Zanelli, 1898, p. 86).
Anche le altre cariche più prestigiose ed istituzionalmente rilevanti erano appannaggio dei membri del consiglio maggiore nonché stabilite e votate nel suo seno. All’interno del consiglio esercitavano una netta supremazia il collegio dei giudici (detti dottori di collegio) e quello dei notai. Da quest’ultimo per esempio erano estratti 26 membri che erano destinati a ricoprire i seguenti uffici: due notai del podestà, quattro del suo vicario, quattro dei giudici di ragione, quattro dei consoli della giustizia, quattro dei giudici delle chiusure, due del giudice dei dazi, e sei che servono all’ufficio del giudice del maleficio; vi erano poi quattro notai definiti archiviani che erano incaricati di fare eseguire i processi inespediti (Zanelli 1912, pp. 88-89).
Merita di essere ricordato il fatto che durante l’occupazione francese e spagnola degli anni 1509-1516 i due principali consigli cittadini, benché non ufficialmente aboliti, risultarono marginali nella vita politica e solo il 27 maggio 1516 il consiglio maggiore venne di nuovo radunato recuperando le sue prerogative solo dopo il 26 luglio 1517 (Pasero, 1963; Pasero 1957)
ultima modifica: 19/01/2005
[ Giovanni Zanolini ]
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/2002049/