commissione regionale araldica 1891 - 1947
A seguito dell'Unità d'Italia furono abolite le antiche commissioni dei titoli di nobiltà e gli antichi tribunali araldici esistenti negli antichi Stati preunitari italiani. In loro vece, a partire dal 1869 fu istituita la Consulta araldica (decreto 10 ottobre 1869), che aveva il compito di fornire pareri al governo in materia di titoli nobiliari, stemmi gentilizi ed altre pubbliche onorificenze (il parere era obbligatorio in tutti i casi salvo le concessioni motu proprio del sovrano).
Tuttavia, i più importanti problemi di riconoscimento e di riordinamento dei titoli nobiliari e dell'intera materia araldica sorsero a livello locale, dato che ognuno degli antichi Stati italiani e delle sue regioni storiche adottava criteri e parametri di giudizio in materia differenti ed a volte contraddittori. Al fine di mettere ordine e di sanare le tante dispute sorte in sede periferica a causa dell'unificazione nazionale in materia nobiliare, con il regio decreto 19 agosto 1871, n. 2303 furono istituiti i corrispondenti della Consulta araldica (decreto 19 agosto 1871).
I corrispondenti avevano il compito di giungere ad una precisa conoscenza delle leggi vigenti negli antichi Stati preunitari italiani, degli statuti, delle storie e delle consuetudini locali. Le informazioni ottenute attraverso questo lavoro di ricognizione, studio e interpretazione delle antiche fonti giuridiche, statutarie e consuetudinarie locali avrebbero guidato la successiva opera dei corrispondenti, volta a determinare la conferma, la revoca e la creazione dei titoli nobiliari; tali interventi erano disposti con approvazione regia sulla base dei pareri formulati della Consulta.
Pochi anni dopo, il regio decreto 5 marzo 1891, n. 115 (decreto 5 marzo 1891) sostituì i corrispondenti con le Commissioni regionali araldiche, che mantenevano le attribuzioni funzionali già assegnate ai corrispondenti, ma venivano dotate di una struttura organizzativa leggermente più consistente e con competenza nei territori regionali. Con l'istituzione delle Commissioni regionali araldiche veniva di fatto costituita una rete di uffici decentrati della Consulta araldica. Non essendo tuttavia quest'ultima un dicastero, non si può dire che le commissioni facessero parte dell'amministrazione periferica dello Stato; esse costituivano piuttosto gli strumenti operativi attraverso cui la Consulta poteva reperire in sede periferica le informazioni utili a svolgere il proprio lavoro di consulenza al servizio del Re.
Durante il periodo fascista, il regio decreto 21 ottobre 1929, n. 61 modificò la disciplina della Consulta araldica mutandone la composizione e diede, finalmente, un'organizzazione stabile alle Commissioni regionali araldiche (decreto 21 ottobre 1929).
A seguito della suddetta riforma, le Commissioni furono fissate in numero di 14 con competenza su Piemonte, Liguria, Lombardia, Venezia, Venezia Giulia, Venezia Tridentina, Parma, Modena, Toscana, Roma (con Umbria e Marche), Romagna, Napoli, Sicilia, e Sardegna.
Le Commissioni regionali araldiche, da allora in avanti, furono presiedute ex-lege dal presidente della corte d'Appello o da quello del Tribunale, a seconda che nelle rispettive sedi esistesse l'una o l'altro. Vice presidente della Commissione regionale araldica, nonché membro di diritto della stessa, divenne il sovrintendente dell'archivio di Stato. Gli altri membri della Commissione regionale araldica furono poi indicati dalla legge in rappresentanza degli istituti di storia locale e degli archivi di Stato locali (un membro ciascuno) ed in rappresentanza delle famiglie iscritte, nella zona di competenza della Commissione, nel Libro d'oro della nobiltà italiana (quattro membri). Gli otto membri della Commissione regionale araldica decidevano su tutte le questioni nobiliari ricadenti nella loro circoscrizione territoriale ed offrivano pareri, per il tramite della Consulta araldica, al governo. Le decisioni erano prese a maggioranza ed il presidente della commissione aveva il diritto di dirimere le questioni in caso di parità (voto doppio). Va però ricordato che generalmente le questioni venivano risolte con il voto unanime della commissione.
Come è noto, la quattordicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica italiana, approvata il 27 dicembre 1947 ed in vigore dal primo gennaio 1948, dispone che "I titoli nobiliari non sono riconosciuti" e che "la legge regola la soppressione della Consulta araldica" e, di conseguenza, degli uffici da essa dipendenti come la Commissione regionale araldica.
Se la legge di soppressione della Consulta araldica non è mai stata emanata e se il parere 13 marzo 1950, n. 154 del Consiglio di Stato ha avvalorato una diffusa interpretazione dottrinaria secondo cui la Consulta araldica e gli organi ad essa correlati esisterebbero ancora (almeno formalmente), rimane tuttavia incontestabile il fatto che, a partire dall'entrata in vigore della Costituzione, la Consulta ed i suoi uffici decentrati non si sono mai più riuniti e possono ritenersi sostanzialmente soppressi.
D'altra parte, è stata la stessa nobiltà italiana che, riorganizzandosi attraverso nuove associazioni, ha implicitamente ammesso la scomparsa delle vecchie istituzioni araldiche pubbliche. Il disconoscimento dei titoli nobiliari e la soppressione della loro difesa da parte dello Stato, ha infatti indotto i nobili italiani a creare un organismo che sostituisse, pur nel rispetto della nuova disciplina, la Consulta araldica.
A partire dal 1954, dunque, il ceto nobiliare italiano ha promosso la costituzione di libere Associazioni regionali araldiche; in ogni regione storica italiana è sorta un'associazione nobiliare di diritto privato alla quale possono partecipare, come soci, tutti i nobili iscritti negli elenchi ufficiali nobiliari ed i loro discendenti legittimi. Le Associazioni regionali araldiche sono state stabilite in numero di 14, analogamente a quanto previsto dalle norme disciplinanti le Commissioni regionali araldiche.
Ogni associazione regionale nomina nel suo seno una ristretta Commissione araldico-genealogica con il compito di esaminare eventuali riconoscimenti nobiliari, di emettere pareri in materia araldica e tenere aggiornati i registri araldici ufficiali del periodo monarchico. Le commissioni, a loro volta, nominano una Giunta araldica centrale, che si occupa di coordinare le associazioni regionali; infine, i membri delle 14 commissioni formano, nel loro insieme, il Consiglio araldico nazionale, chiamato a rappresentare il ceto nobiliare del nostro paese, a curarne gli interessi morali ed ideali ed a tutelare le tradizioni e le memorie del passato.
Come la Consulta araldica, anche questi organismi associativi (puramente privati e volontari) svolgono funzioni di carattere consultivo: essi, attraverso la particolare competenza araldica dei consultori delle commissioni regionali, si propongono infatti di:
- tenere aggiornati gli elenchi nobiliari escludendo ogni abusiva inclusione di titoli fasulli;
- offrire consulenti tecnici alla magistratura ordinaria; dare pareri in campo araldico e nobiliare su richiesta di interessati e di terzi.
ultima modifica: 12/06/2006
[ Fulvio Calia ]
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