pieve di Porlezza sec. XIV - 1757
Secondo quanto sostiene Barrera nel suo libro sulla Valsolda, Porlezza, un tempo “corte privilegiata delle monache dette del Senatore di Pavia”, passò nel 1114 tra i domini del “Monastero maggiore di Milano” (Barrera 1864, pagg. 50 – 51). Sempre secondo il Barrera (che riporta copia del documento di donazione nell’appendice del suo libro), nel maggio del 1240 Federico di Svevia donò ai Comaschi, suoi partigiani, la pieve di Porlezza e l’intera Valsolda (Barrera 1864, pag. 78). Di tale donazione si ha conferma anche dal documento del 1240 (ripartizione territoriale del marchese Bertoldo di Hohemburg del complesso pievano comasco, confermata nel 1279) in cui la pieve di Porlezza è effettivamente indicata tra quelle assegnate alla Porta Monastero della città di Como (Ripartizione pievi comasche, 1240). L’appartenenza a Como è di breve durata tanto che, nel 1338, nel proemio dei nuovi statuti di Porlezza e di Osteno, viene subito chiarito che la pieve di Porlezza appartiene alla diocesi di Milano.
A regolare la vita della pieve vennero appunto formati nel secolo XIV idonei statuti: compilati dal podestà e dal consiglio generale della pieve nel 1338, entrarono in vigore dal 1 gennaio 1339 e vennero pubblicati solennemente in Porlezza il 12 agosto 1340. Ebbero poi nuova pubblicazione il 7 dicembre 1348 (Anderloni 1915, pag. 20).
Secondo tali statuti, la pieve era divisa in quattro squadre ognuna delle quali nominava annualmente, senza possibilità di proroga per l’anno successivo, un proprio console (cap. CXIIII). Questi erano tenuti a presentarsi almeno due volte al mese al podestà per ricevere da lui “inquisitione, accusa da fare o da mandare ad essecutione …” .
La comunità di pieve doveva inoltre eleggere ogni tre mesi un esattore, detto anche canevaro, destinato a ricevere tutte le taglie e le entrate della pieve e a provvedere al pagamento delle spese (cap. CXXVI). Di tutti i movimenti di cassa doveva tenere nota in apposti registri (cap. CXXVII).
Organo deliberante era il consiglio generale di pieve, composto da dodici consiglieri, tre per ogni squadra. A loro era affidata l’amministrazione della comunità con il potere di “consultare, provedere e essaminare quello che gli parerà meglio per il bono, pacifico e miglior stato della pieve di Porlezza”. I consiglieri venivano eletti “ogn’anno a calende genaro” e non potevano essere confermati l’anno successivo (cap. CXXX). Avevano infine l’obbligo di partecipare ai consigli, pena il pagamento di una multa (cap. CXXXII), e di tenere segrete le decisioni assunte in consiglio (cap. CLXV). Altri ufficiali della pieve indicati dagli statuti erano i fanti e i servitori, ai quali veniva dato obbligo di obbedienza al podestà (cap. CLXX) (Anderloni 1915, pagg. 307 e segg.).
Dal 1470 la pieve di Porlezza venne infeudata dal duca Galeazzo Maria Sforza ad Ambrogino Longagnana con atto d’investitura del 20 marzo 1470. Il feudo fu in seguito concesso, nel 1486 dal duca Gian Galeazzo Maria Sforza al cavaliere Ugo Sanseverino e, successivamente al conte Paolo Camillo Trivulzio. Con diploma imperiale di Carlo V del 1 gennaio 1552, Porlezza con l’intera pieve passò nelle mani della famiglia d’Este (Casanova 1904).
Dal “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 emerge che la pieve di Porlezza risultava composta dalle comunità di Buggiolo, Carlazzo, Cavargna, Claino, Osteno, Cima, Corrido, Cusino, Gottro, Piano, Castello, Porlezza, San Bartolomeo, San Nazzaro, Seghebbia, Tavordo e San Pietro Agria (Compartimento Ducato di Milano, 1751).
Dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751 del comune di Porlezza, emerge che tutta la pieve era infeudata al marchese Carlo Filiberto D’Este, a cui non veniva corrisposto alcun carico. La comunità generale della pieve, costituita da circa 4.000 abitanti, comprendeva sotto di sé il borgo di Porlezza, con Begno (Begna), Agria, Piano, Gottro con Castello, Carlazzo con Sovera, Cusino, San Bartolomeo, San Nazzaro, Cavargna, Corrido con Bugiolo, Seghebbia e Pramarcio.
La comunità generale della pieve di Porlezza disponeva di un consiglio generale che si riuniva nel pretorio di Porlezza alla presenza del giudice ed era composto da due consoli del borgo oltre ad un console per ogni comunità. Intervenivano al consiglio anche il cancelliere generale ed il deputato generale della pieve, eletto da tutti i consoli riuniti nel consiglio. A loro era affidata la conservazione e l’amministrazione del patrimonio di tutta la pieve, nonché la vigilanza sul riparto dei carichi, e la custodia delle chiavi dell’archivio, posto nel palazzo pretorio, dove erano conservate le pubbliche scritture.
Il cancelliere, che percepiva un salario annuo, aveva l’obbligo di spedire tutti i riparti, di assistere ai consigli, di fare tutti i rogiti, redigere gli atti di causa nell’ufficio di Porlezza, ed esigere i carichi personali e dei focolari.
La comunità generale disponeva inoltre di un console, detto anche cassiere della pieve, eletto all’incanto ogni tre anni con un salario del 5 per cento all’anno.
La pieve era sottoposta alla giurisdizione del podestà di Porlezza per i servizi del quale tutte le comunità pagavano una quota del salario annuo.
Ogni comunità disponeva poi di un proprio consiglio che deliberava sulle questioni particolari di ogni comunità, di un proprio console eletto dalle stesse ogni anno, e di un proprio cancelliere che custodiva le scritture della comunità unitamente al console, in una cassa conservata nelle rispettive case parrocchiali. Il cancelliere inoltre era tenuto ad effettuare i riparti dei carichi locali. Ogni comunità eleggeva per pubblico incanto ogni tre anni un esattore o canevaro (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3029).
A seguito della morte avvenuta nel 1752 del marchese Carlo Filippo d’Este, senza discendenza, il feudo tornò nelle disponibilità della regia Camera (Casanova 1904).
L’“Indice delle pievi e comunità dello Stato di Milano” del 1753, delineava la politica di aggregazione dei comuni che venne ufficializzata quattro anni più tardi dall’editto teresiano del 10 giugno 1757 per il comparto territoriale dello stato milanese. Secondo tale indice il numero dei comuni che componevano la pieve veniva ridotto da diciassette a quattordici, cioè Buggiolo con Prà Marcio, Carlazzo, Cavargna, Claino con Osteno, Cima, Corrido, Cusino, Gottro, Piano con Castello, Porlezza, San Bartolomeo, San Nazzaro, Seghebbia, Tavordo con San Pietro Agria (Indice pievi Stato di Milano, 1753).
ultima modifica: 03/01/2006
[ Domenico Quartieri ]
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