comune di Cremona sec. XII - 1797
La prima attestazione del comune di Cremona risale al 1098, data del documento con il quale la contessa Matilde concedeva nomine benefitii a tre uomini che agivano a nome della chiesa di Santa Maria e del “comunum ipsius Cremone civitatis” Crema e tutto il comitato dell’Isola Fulcheria, investitura che fu tra l’altro all’origine di continui dissidi con i Cremaschi e i Milanesi. Già nei primi decenni del XII secolo si ha la testimonianza dello sviluppo, accanto alla città vecchia che aveva il suo centro nella piazza della Cattedrale, della “Città Nuova” che si raccoglieva invece intorno alla chiesa di Sant’Agata ed era popolata perlopiù da persone che svolgevano attività artigianali. Nel 1114 l’imperatore Enrico IV emanò un importante diploma con il quale concedeva al comune di Cremona la giurisidizione sul territorio su entrambe le rive del Po dalla confluenza dell’Adda nel Po fino al porto di Cremona e la libera navigazione sul fiume da Pavia fino al mare. Questo diploma costituì il riconoscimento da parte dell’imperatore dell’esistenza del comune come nuovo organo di vita pubblica cittadino. Dal secondo decennio del XII secolo il comune cominciò ad assoggettare alla propria giurisdizione il territorio legato ab antiquo alla città per tradizione e coincidente in linea di massima con l’ambito della diocesi. Non fu difficile per il comune estendere il suo controllo su castelli e ville appartenenti al vescovo o alla nobiltà cittadina, mentre elementi frenanti furono costituiti dalle signorie dei marchesi Estensi, Pelavicino, Malaspina e Cavalcabò che si estendevano sulla sponda destra del Po, di fronte a Cremona; da quelle di alcune stirpi staccatesi dai conti di Brescia che comprendevano Sabbioneta e altri territori attualmente parte del Mantovano; e soprattutto dalle signorie di vari rami derivati dai conti di Bergamo che occupavano molti dei luoghi nella zona settentrionale del territorio cremonese.
Nel 1118 il popolo cremonese, radunato in assemblea nella corte del vescovo, dopo essersi impadronito di Soncino già soggetto ai conti della stirpe dei conti di Bergamo, elesse sette rappresentanti per investire i militi soncinesi del feudo costituito dalla corte e dal castello di Soncino con tutte le sue pertinenze. Il documento è di fondamentale importanza.
Soncino infatti fu il primo di una serie di borghi franchi costituiti dal comune di Cremona nel suo contado, in genere in zone di confine, per necessità strategiche e difensive soprattutto nella seconda metà del XII secolo (Pizzighettone, 1132; San Bassano, 1157; Ticengo, 1170; Belforte, 1180; Robecco, 1185; Castelleone, 1188; Fornovo, Bariano, Mozzanica, 1189; Genivolta, Camisano, 1191; Romanengo, Binanuova, 1192; “Casale Bertori”, 1200; Dossolo, 1292). A questi luoghi il comune di Cremona riconobbe nelle carte di franchigia ad essi concesse, particolari privilegi giurisidizionali e fiscali rispetto al resto del contado controllato dalla città (Astegiano 1895-1898; Menant 1993). Altre località equiparabili per condizione giuridica ai borghi franchi, per le quali tuttavia non furono emesse carte di franchigia, furono Guastalla, Luzzara, Viadana, Isola Dovarese, Castelfranco d’Oglio, Castelnuovo Bocca d’Adda.
Nel documento del 1118 appare nominato per la prima volta il consiglio della città; quindi a quest’epoca dovevano essere operanti l’arengo, cioè l’assemblea generale dei cittadini, e il consiglio del comune, successivamente detto di credenza, che era un organo consiliare più ristretto. Emerge tuttavia una discrepanza formale tra gli organi previsti nelle clausole – il consiglio della città, il comune come controparte in un’operazione pattizia – e la situazione reale in cui il comune ancora in formazione appare ancora molto legato al potere del vescovo (Vallerani 1998/1, p. 230).
Nell’atto di affrancamento di Soncino e successivamente in un altro documento, datato 1120 (Astegiano 1895-1898, I, n. 45), agiscono uomini delegati dall’arengo cremonese, che appare qui come “sede di elaborazione collettiva delle decisioni politiche” e conferisce al populus civitatis menzionato nell’atto una maggiore definizione istituzionale (Vallerani 1998/1, p. 230). Nel 1150, in un atto con i Piacentini che investono il comune di Cremona della metà della corte di Castelnuovo Bocca d’Adda (Falconi 1979-1988, II, p. 230, n. 349), il comune cremonese sembra aver raggiunta la piena maturazione politico istituzionale: sono infatti esplicitamente citati il commune civitatis e i consoli che lo rappresentano (Vallerani 1998/1, p. 230). Nel 1182 risulta per la prima volta eletto un podestà in sostituzione dei consoli al governo della città. Nello stesso periodo la città nuova si staccò dalla città vecchia, eleggendo nel 1184 un proprio podestà e governandosi quindi autonomamente. La frattura fu ricomposta grazie all’arbitrato del cancelliere imperiale e nell’anno successivo risultano nuovamente eletti i consoli. Tra la fine del XII secolo fino al 1216 consoli e podestà si avvicendarono al governo del comune. Nel 1209 le due parti, milites e populus, elessero nuovamente due podestà e la vertenza si concluse nel 1210 grazie all’arbitrato del vescovo Sicardo: nel lodo da lui emesso, documento di grandissimo interesse per la storia del comune cremonese, si stabilì che le società dovevano sottomettersi ad un unico comune legittimo e che gli uffici del comune dovevano spettare per un terzo ai popolari e per due terzi ai militi (Vallerani 1998, p. 402). Dopo il 1216 i contrasti tra le due componenti si riaccesero e trovarono una pacificazione solo nel 1233 quando il comune chiese all’imperatore Federico II di inviare un suo vicario per ricoprire l’ufficio di podestà della città. Podestà imperiali governarono Cremona fino alla fine del regno di Federico II che ebbe termine nel 1250 (Vallerani 1998; Vallerani 1999). Ultimo tra i vicari imperiali che ricoprirono l’ufficio di podestà del comune, fu Uberto Pelavicino, signore di Cremona che riuscì ad estendere il suo controllo su gran parte della Lombardia e su alcune città del Piemonte e dell’Emilia. Accanto al Pelavicino operava in qualità di podestà della potente corporazione dei mercanti Buoso da Dovara. Nel 1266 Buoso da Dovara patteggiò con i legati pontifici e aderì alla coordinazione guelfa, guidata da Carlo d’Angiò. La signoria di Buoso ebbe tuttavia vita breve: nel 1270 il comune si pose sotto la diretta protezione di Carlo e in Cremona si stabilì il governo della società del popolo. Accanto al podestà e al consiglio generale del comune, il comune fu amministrato in questo periodo dal capitano del popolo, dai consoli, dagli anziani del popolo, dal consiglio generale del popolo, costituito da 60 persone, 15 per porta, che eleggeva quattro gonfalonieri, quattro capitani ed il notaio. Dopo il 1282 accanto ai consigli del comune e del popolo abbiamo notizia di altri due organi consiliari: il consiglio della Campanella, più ristretto e del comune, e della Caravana, più allargato e del popolo (Astegiano 1895-1898).
Il governo del popolo durò in Cremona fino al 1311, quando i fuoriusciti ghibellini rientrarono in città per esserne nuovamente espulsi dalla parte guelfa capitanata dai Cavalcabò. Nel 1313 Cremona si sottopose quindi al dominio di Roberto d’Angiò re di Napoli, che diede alla città nuovi statuti: in esso particolari privilegi furono riconosciuti alla società del popolo e fu istituito l’ufficio dell’esecutore di giustizia. Secondo la costitutizione del 1313 risultavano operanti il consiglio del comune, il consiglio del popolo, il consiglio della parte Cappelletta e il consiglio dei paratici e dell’esecutore di giustizia (Astegiano 1895-1898).
Seguirono tra il 1313 e il 1331 anni tormentati durante i quali il dominio su Cremona fu tenuto alternativamente da Giacomo Cavalcabò, che operava in nome di re Roberto, e dai suoi alleati, da una parte, e dai seguaci della famiglia Ponzone, dall’altra. Nel 1331 la città si pose sotto il dominio di Giovanni, re di Boemia, per entrare infine a far parte nel 1334 del dominio visconteo (Astegiano 1895-1898).
Secondo gli statuti emanati nel 1339 il comune era amministrato dai seguenti organi consiliari: il pubblico arengo o concio, ancora in funzione, pur avendo perso gran parte dei poteri dei quali un tempo fruiva, che riceveva il giuramento del podestà e degli altri ufficiali podestarili; il consiglio dei quattrocento o consiglio generale (per il quale non sono chiari i criteri di nomina dei membri) che eleggeva i gabellatori, i componenti del consiglio dei sedici sapienti nominati mensilmente, e altri ufficiali del comune; il consiglio dei duecento, composto da cinquanta persone per porta, elette da due o tre persone per vicinia, a loro volta scelte dai sedici sapienti, che emanava disposizioni con carattere esecutivo; i sedici sapienti che collaboravano con il podestà, avevano facoltà di assumere provvedimenti relativi all’amministrazione finanziaria del comune o urgenti, eletti dal consiglio dei quattrocento, rispondevano del proprio operato al consiglio dei duecento; accanto a questi organi sembra continuasse ad operare anche il consiglio della caravana, a cui spettava la nomina di vari funzionari, dipendenti ed agenti del comune. La riforma statutaria del 1349 introdusse alcune modifiche riguardanti in particolare i sedici sapienti, la cui attività, soprattutto in materia finanziaria, fu sottoposta a più rigidi controlli da parte del consiglio dei duecento e del signore. Con decreto del 1351 Giovanni Visconti ordinò la soppressione dei consigli dei quattrocento e dei duecento, ridusse da sedici a dodici i sapientes nominati mensilmente, e creò il consiglio dei centocinquantadue, i cui membri dovevano essere nominati da suoi stessi funzionari. Non sembra subissero modifiche l’arengo e il consiglio della caravana, il cui ruolo era tuttavia sempre più limitato. Nei successivi statuti emanati da Bernabò Visconti nel 1356 risulta abolito il consiglio dei centocinquantadue e ripristinato il consiglio dei duecento, che tuttavia aveva caratteristiche diverse dal consiglio dei duecento previsto dagli statuti del 1339: i membri erano nominati, non dai cittadini, ma dal referendario, ufficiale del signore; divenne quindi in sostanza il consiglio del signore con competenza sulla città di Cremona e probabilmente sul suo territorio. Fu confermata dagli stessi statuti la magistratura dei dodici sapienti, che assunse la denominazione di consilium camerae; i dodici erano nominati dal signore tra i membri del consiglio dei duecento e i loro provvedimenti avevano valore solo se approvati dal consiglio dei duecento. Nel 1388 furono approvati da Gian Galeazzo Visconti gli statuti che la città aveva sottoposto alla sua approvazione nel 1387 e che rimasero in vigore fino alle riforme settecentesche. Organi principali del governo cittadino erano il consiglio generale e i deputati del mese, che nominavano diversi ufficiali per l’amministrazione del comune, accanto ai quali operavano il podestà, i componenti della sua curia, e altri ufficiali nominati dal governo centrale.
Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, nel 1403 il dominio sulla città fu assunto da Ugolino Cavalcabò, passò nel 1404 a Carlo Cavalcabò e nel 1406 a Cabrino Fondulo, che nel 1420 lo cedette nuovamente ai Visconti. In virtù del matrimonio con Bianca Maria Visconti, che gli portò la città in dote, Francesco Sforza divenne nel 1442 signore di Cremona (Gualazzini 1978).
Il dominio degli Sforza su Cremona subì un’interruzione nel periodo delle guerre d’Italia: nel 1499 infatti Cremona fu ceduta dai Francesi alla Repubblica di Venezia che mantenne il potere sulla città fino al 1509. Durante il periodo della dominazione veneziana furono inviati in città dal senato della Repubblica il podestà, che unitamente ad alcuni giureconsulti, giudicava le cause civili e criminali, e il capitano con il compito di sovraintendere ai dazi, alle entrate della città e del territorio, alle porte, alle truppe e alle opere di difesa; podestà e capitano erano coadiuvati ciascuno da un cancelliere, due collaterali e altri ufficiali minori; furono inoltre nominati il camerlengo che riscuoteva i tributi e pagava i soldati e il castellano (Picenardi 1866).
Riconquistata da Massimiliano Sforza nel 1512, ritornò sotto il dominio francese negli anni 1514-1522, quando il potere fu assunto da Carlo V che nel 1524 restituì la città agli Sforza. Da questo momento le vicende politiche della città seguirono quelle dello stato di Milano che nel 1535 passò sotto il dominio della Spagna.
Nel 1578 fu pubblicata una nuova edizione statutaria che comprendeva: gli statuti del 1388, alcuni decreti di Francesco Sforza, ordini e lettere del Senato di Milano; norme e regolamenti riguardanti diversi uffici del comune istituiti successivamente alla compilazione statutaria (in particolare gli ordini per l’ufficio del Naviglio del 1551 del 1553 e del 1564; gli ordini per l’ufficio delle Vettovaglie del 1562; gli ordini per l’ufficio Argini e Dugali del 1568) e, soprattutto, gli ordini del governo della città di Cremona emessi dal Senato di Milano nel 1576 che regolavano in maniera organica l’amministrazione cittadina e istituivano l’importante ufficio del Patrimonio (Statuti 1578).
In età spagnola e fino alla metà del Settecento in città operavano i seguenti ufficiali inviati dal governo centrale: podestà, giudice delle cause criminali, vicario pretorio, giudice del maleficio, giudice dei danni dati, giudice regio delle vettovaglie, giudice regio delle acque e delle strade, referendario, sindaco fiscale, avvocato fiscale, capitano del divieto, ufficiale delle bollette, luogotenente del giudice delle monete. Principali organi posti al governo del comune erano, come precedentemente accennato, il consiglio generale e i deputati del mese. Dal consiglio generale erano in genere nominate le persone preposte ai principali organi ed uffici dell’amministrazione cittadina, tra i quali il conservatore degli ordini, due dictatores del consiglio, i cancellieri del comune, due contradicentes partitis, l’avvocato e il sindaco della città, il sollecitatore delle liti, il giudice comunale delle strade, i prefetti all’ufficio del Decoro, all’ufficio della Sanità, all’ufficio del Naviglio, all’ufficio del Decoro (eletti dai deputati del mese), all’annona, all’ufficio degli alloggiamenti, i deputati e il commissario dell’ufficio del Naviglio e dell’ufficio degli Argini e Dugali, i rettori dell’Ospedale maggiore, il vicario e gli ufficiali delle Vettovaglie, il commissario e i conservatori del Patrimonio (eletti dai deputati del mese), i revisori dell’estimo delle case e della mercanzia, i censitori dell’estimo civile, il casellarius, i protettori dei carcerati, i ragionati, i conservatori del Monte di Pietà (del 1611) , i prefetti alla Fabbrica della Cattedrale, l’oratore della città a Milano, ed altri ufficiali minori (Meroni 1951).
Il governo di Cremona e della sua provincia fu oggetto della prima delle riforme amministrative emesse dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria per le diverse città e provincie dello stato di Milano tra il 1755 e il 1758. La riforma, datata 9 gennaio 1756, prevedeva che a capo della città e della provincia cremonese, vi fosse il consiglio generale della città e della provincia, affiancato da un organo esecutivo più ristretto, la congregazione dei prefetti o del patrimonio. Alla congregazione del patrimonio furono affidate le competenze dei deputati del mese o presidenti al governo e della camera del Patrimonio, uffici che furono quindi aboliti, mentre rimasero in funzione gli altri organi dell’amministrazione comunale (editto 9 gennaio 1756). Nel 1766 “l’amministrazione civica” risultava composta dai seguenti “corpi”: consiglio generale dei decurioni della città e provincia di Cremona; congregazione dei prefetti al governo della città e provincia; ufficio delle Vettovaglie; ufficio degli Alloggiamenti (la cui composizione era stata modificata in seguito alla riforma); prefetti alla Fabbrica della Cattedrale; ufficio della Sanità; ufficio degli Argini e Dugali; ufficio del Naviglio; ufficio del Decoro; ufficio dei protettori dei carcerati; camera del mercimonio; dagli ufficiali della curia pretoria, da deputati eletti all’amministrazione dell’Ospedale Maggiore e a diversi luoghi pii; dai “sovrintendenti alle riparazioni dei due palazzi pubblico e pretorio” e dagli “eletti sopra li sensali” (Corpi civici città di Cremona, 1766).
Con editto emanato da Giuseppe II datato 26 settembre 1786 la congregazione del patrimonio o dei prefetti al governo fu abolita e sostituita dalla congregazione municipale, le cui competenze si estesero a tutti i settori dell’amministrazione civica. Ai diversi dipartimenti che la componevano furono perciò affidati i compiti svolti in precedenza dai diversi corpi prima nominati.
Nell’allegato B al dispaccio emanato da Leopoldo II il 20 gennaio 1791 fu stabilito che l’amministrazione della città e della provincia di Cremona dovesse tornare ad essere regolata “a norma di quanto … stabilito dalla riforma censuaria e dal relativo editto 6 gennaio 1756, anche in riguardo al diritto d’elezione alle cariche e agli impieghi da essi dipendenti”. Principale organo di governo rimase la congregazione municipale, che non subì mutamenti nelle sue competenze e la cui struttura in dipartimenti rimase con ogni probabilità invariata (AC Congregazione municipale).
ultima modifica: 03/04/2006
[ Valeria Leoni ]
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