consiglio generale del comune sec. XII - 1756
Menzionato per la prima volta nel 1118 il consiglio di credenza o consiglio generale era composto dai rappresentanti dei milites, del populus e dall’inizio del 200 dai consoli dei paratici, delle vicinie e dai membri dei collegi dei giudici e dei notai (Astegiano 1895-1898).
Tra il 1334 e il 1356 gli organi consiliari del comune subiscono continue variazioni nel numero dei membri e nella loro composizione, per la cui descrizione si rimanda alla scheda relativa al comune di Cremona.
Secondo gli Statuti del 1388, emanati da Gian Galeazzo Visconti e rimasti in vigore, pur con modifiche, fino alle riforme settecentesche, doveva essere formato da centocinquanta persone, elette dagli statutari ed elencati negli statuti stessi, che rimanevano in carica per tutta la vita. Aveva la piena responsabilità del governo e dell’amministrazione della città (che nella pratica era esercitata dai deputati del mese) e le sue provvisioni dovevano poi essere mandate ad esecuzione dal podestà (Statuti, 1578, cap. XXX; Meroni, 1951, pp. 13-14).
Esso riceveva il giuramento del podestà, del vicario pretorio e del giudice del maleficio all’atto di entrare in carica; nominava gli ufficiali degli uffici del comune e ne sindacava l’operato; rimetteva per competenza ai vari uffici cittadini le supplicationes dei cittadini dopo averle esaminate; controllava l’amministrazione finanziaria attraverso la discussione del bilancio; imponeva la tassa civile e autorizzava le alienazioni patrimoniali. Ad esso spettava concedere procure, imporre nuovi dazii (previa autorizzazione del senato di Milano), ratificare gli atti in precedenza autorizzati. Regolava l’operato dei paratici e delle arti attraverso il controllo sui prezzi dei loro prodotti e l’azione di vigilanza svolta dall’ufficio delle vettovaglie; al consiglio spettava inoltre l’approvazione degli statuti corporativi. Stabiliva inoltre le modalità di celebrazione delle feste, deliberava le elemosine ai luoghi pii e controllava enti di amministrazione autonoma, quali il monte di pietà e l’ospedale maggiore. Gli statuti e le norme non specificano a quale ceto appartenessero i consiglieri. Il consiglio era tuttavia costituito per la maggioranza da nobili e da alcuni mercanti; vi erano inoltre anche alcuni dottori del collegio dei giureconsulti detti “di toga e di cappa lunga” per distinguerli dagli altri membri detti “di cappa corta e di spada”.
All’inizio di ogni seduta veniva redatto l’elenco dei consiglieri presenti per verificare la presenza del numero legale. Quindi iniziava la seduta con l’elezione degli assistentes ad suffragia ; dopo la discussione di ciascun argomento secondo l’ordine del giorno comunicato dai deputati del mese si procedeva alla votazione ad bussolas et ballottas. In età spagnola prendevano parte alle congregazioni del consiglio: il conservatore degli ordini; i due dictatores; due contradicentes partitis; un advocatus civitatis e un sindicus civitatis; un sollecitatore alle liti. Facevano parte del consiglio: il vicario di provvisione e gli ufficiali delle vettovaglie, il commissario e i sei conservatori del Patrimonio; erano inoltre tutti o in parte membri del consiglio: i deputati dell’ufficio del Naviglio, i deputati dell’ufficio degli Argini e Dugali, i prefetti al Decoro, i reggenti dell’Ospedale Maggiore, i prefetti all’ufficio della Sanità, i protettori dei carcerati, i prefetti alla Fabbrica del Duomo, i reggenti dell’Ospedale dei Mendicanti i reggenti degli orfani, i prefetti all’ufficio degli Alloggiamenti, gli eletti sopra le suppliche dei condannati e gli eletti alla processione del Corpus Domini (Meroni 1951, pp. 13-15).
La modalità principale attraverso la quale il consiglio si rinnovava era quella dell’autocooptazione, principale, non solo perchè a partire dal 1567, ne escluderà ogni altra, ma perchè anche in precedenza, la maggior parte delle elezioni si svolse con questa modalità. La procedura si articolava in tre momenti: quando il consiglio doveva eleggere un nuovo membro veniva pubblicata dai deputati del mese una lista di persone idonee alla carica (fase della nominatio); i nomi venivano quindi messi ai voti del consiglio (balottatio) e l’esito era riportato sulla lista a fianco di ciascuno dei nomi in essa contenuti, coloro che avevano ottenuto più voti risultavano eletti (fase dell’ellectio); tuttavia prima di poter prendere possesso della carica i nuovi consiglieri dovevano essere approvati dal governatore dello stato di Milano. Un altro modo per entrare in consiglio era la nomina diretta da parte del governatore (Politi 1976, pp. 75-78, 97-100).
ultima modifica: 19/01/2005
[ Valeria Leoni ]
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